A forza di declamare canoni, ho perso la testa. A cosa serve, in fondo, un ‘canone’? A canonizzare il nulla. A pigliare a cannonate i cretini. Ecco. La top ten è questo. Delineare dei confini. Oltre questa soglia, non si va, non ha senso. Del resto, il bello di un ‘canone’ è che può avviarne altri dieci, altri centro, altrettanti ‘contro’ canoni. Ricordo che in una vita precedente avrei sostituito il selvatico Massimo Ferretti al poligrafo Mario Luzi e il clownesco Dario Villa al noioso Salvatore Quasimodo. In fondo, la top ten serve a farci star svegli, è una pioggia di aghi sul cuore della nostra accidia estetica. Detto questo. Gero Mannella, scrittore (fu finalista al Calvino, di cui ricorda: “Durante la serata della premiazione il Mannella siede in seconda fila, proprio dietro la buonanima di Norberto Bobbio, e per tutta la serata rimane soggiogato dai suoi enormi padiglioni auricolari”), è autore di un sito autoctono, autarchico di ubriaca bellezza e dalla poetica di platino (“scrivo per lo più cazzate”). Ci ha inviato la sua lista dei migliori libri. Logica felice. Tra il pugnalatore e il domatore di palloncini.
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Gero Mannella
Elias Canetti, La lingua salvata: la speleologia della memoria lunga, istantanee in bianco e nero che man mano diventano storie ed acquistano la terza dimensione
Alexander Puskin, La figlia del Capitano: l’epica al grado zero, l’apologia dei sentimenti estremi, il raccontare asciutto, accorato, spietato
Robert Walser, L’assistente: la distrazione perenne, la rinuncia alla decodifica dei rapporti di forza, l’abbandono alla contemplazione del teatro del mondo dalla sua periferia
Carlo Emilio Gadda, Quer Pasticciaccio…: il trionfo della lingua che crea la storia e suona la grancassa e straripa e deborda, e tuttavia sta incollata alla vicenda, rigorosissima
Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso: la lettura del senso della vita attraverso il gioco, la contrainte, l’arte combinatoria, il rituale, i gesti consumati
Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica: l’esplorazione delle possibilità del non creato, un bestiario tutto di testa, senz’afflato, col retrogusto del mito
Michail Bulgakov, Uova fatali: la fantascienza che ride di sé, la tensione al parossismo tra positivismo ortodosso e schegge impazzite della dialettica cellulare, il tutto immerso nella colorita tassonomia sovietica
Henry Roth, Chiamalo sonno: il romanzo sociale per antonomasia, dinamica familiare a trazione yiddish nonché affresco stradale della New York dei 20ies
Mark Sarvas, Harry, rivisto: la più spiazzante, acuta, parossistica autopsia dei rapporti sociali nonché esilarante decorticazione della società USA today
Daniil Charms, Casi: geniale come Beckett, ma più pacificato (“Una volta un uomo andò in ufficio, e per via incontrò un altro uomo che, comprato un filone di pane polacco, tornava a casa sua. E questo, in sostanza, è tutto”).