Due anniversari quasi consustanziali. Tomaso Kemeny (nella fotografia di Dino Ignani), poeta audace e arcano, dal nome che pare estratto da un romanzo esistenzialista, nato a Budapest, cresciuto a Milano, ne fa 80. 80 anni devotamente dedicati alla poesia. Il ‘mitomodernismo’, invece, il tentativo di energizzare la poesia italiana, dando al verbo – ancora, era ora – valore di ‘atto’, compie 30 anni. “La prima azione mitomodernista si concretizzò a Riccione (29-30 aprile 1988). Rosita Copioli, Giuseppe Conte, Mario Baudino, Roberto Mussapi, Stefano Zecchi, T. K., rievocarono La Nascita delle Grazie elaborando le 19 Tesi sulla vita della Bellezza”, ricorda Kemeny in un testo complessivo su Il mitomodernismo e il neo-antico. Allora si urlò al mondo (ora è slogan inattuato ma sulla bocca di tutti, ministri, propalatori d’arte, lacchè) che “La bellezza è difesa biologica contro la distruzione della specie”. Gesti che appaiono velleitari agli avvoltoi del rancore, ai principi del fatturato, ma che Kemeny ha portato avanti con nitore e rigore, certo che la parola poetica possa condurre alla conversione, perché – sintesi eccellente – “credo nell’inestinguibile folgorazione del verbo”. Concretamente, per intenderci, scosse l’asfittico, derelitto palazzo di cristallo della cultura italiana la ‘presa’, da parte di Kemeny e di una falange di poeti sodali, della collina di Recanati che ispirò l’Infinito di Leopardi, in concomitanza con i festeggiamenti dell’Unità d’Italia, nel 2011, “un gesto simbolico contro consorterie, mafie e partiti”. All’azione, va da sé, corrisponde l’opera di Kemeny, poeta italiano tra i più riconosciuti e colti (ha tradotto, tra i tantissimi, Byron e Christopher Marlowe, Attila Jòzsef e Schiller, Wordsworth e Dylan Thomas), polimorfico (tra i libri di poesia ricordiamo Il libro dell’angelo, Guanda, 1991; Melody, Marcos y Marcos, 1998; La Transilvania liberata, Effigie, 2005). Tra i fondatori della Casa della Poesia di Milano, Kemeny, accanito difensore delle ragioni della poesia contro la brutalità del mondo odierno, folgorato dall’incontro, negli anni Sessanta, con André Breton, il fondatore del Surrealismo, si è gettato in una nuova avventura. Per l’editore Jaka Book ha inaugurato la collana ‘Cantos’, dedicata ai grandi poeti internazionali. Una sfida impossibile, di quelle che piacciono a Kemeny: combattere l’orrore con la vertigine poetica, seminare meraviglia nell’oscurità. Da qui cominciamo a dialogare.
Parliamo della stato della poesia italiana. Come la valuti? Che tipo di poesia leggi? Che tipo di poesia è leggibile e possibile oggi?
“Dopo l’evaporazione dei canoni, il verso liberato ha facilitato la produzione di una valanga di versi. Mentre scrivere è diventato meno faticoso, il discernere le opere di valore, in questo diluvio di espressioni poetanti, richiede un serio impegno. Al di là delle tendenze, oltre ai versi degli amici mitomodernisti Giuseppe Conte, Rosita Copioli, nonché di Roberto Carifi, leggo volentieri versi di Cesare Viviani, Daria Menicanti, Tiziana Cera Rosco, Flaminia Cruciani, Fabrizio Bregoli, Antonio Porta. Frequentando quotidianamente la molteplicità delle voci più o meno minimaliste o dell’assolutizzazione del soggetto poetante, credo nell’inestinguibile folgorazione del verbo. Essa richiede la pratica della devozione all’ascolto. Maestri di questo comportamento per me sono André Breton, Giuseppe Ungaretti e Mallarmé”.
Perché chiamare “Cantos” la collana internazionale presentata da Jaca Book? Quali sono le motivazioni delle scelte? Quali poeti prossimamente?
“Mi è parso indispensabile accogliere nella lingua italiana poeti di altre lingue-culture di tendenza neo-antica, ovvero poeti innovativi, necessariamente sperimentali, che allo stesso tempo siano in grado di fare rigermogliare i fondamenti archetipici del poetico. Jaca Book, nella persona di Vera Minazzi, ha favorito questo progetto. Il nome della collana ‘Cantos’, allude all’opera di Ezra Pound, poeta che ha rinnovato la poesia di lingua inglese (famoso il suo diktat, make it new), non senza una fedeltà esemplare alla tradizione poetica mondiale. Il primo libro The Essential di Brendan Kennelly, in un’epoca in cui tutto ha un prezzo e nulla un valore, riesce ad elevare le connotazioni del discorso poetico, alle valenze propositive del dono. Il secondo Né l’esistenza né la scala di Gèza Szocs, è un libro in grado di coniugare le valenze sacre del verbo mitigandone le vertigini tragico-trascendenti con libere e irresistibili manifestazioni ludiche. In programma abbiamo il poeta georgiano Besik Kharanauli rinnovatore dei temi storico-popolari della sua gente e il poeta cinese Yang Lian che sorprendentemente contamina le espressioni della poesia classica cinese, con tensioni generate dai testi delle avanguardie europee”.
Chi sono i massimi poeti europei viventi? La poesia italiana è peggiore o migliore di quella delle altre culture?
“Preferisco riferirmi ai poeti di tutto il mondo. In Italia abbiamo poeti ‘sciamani’ come Massimo Maggiari e Angelo Tonelli, la loro virtuosità fonico esecutiva viene portata ai limiti della flessibilità della lingua inglese dal canadese Christian Bok. Mentre eleganti rinnovatori della poesia inglese sono il londinese Tom Raworth e Geoffrey William Hill. L’americano Charles Bernstein, realizzando la sua poetica del poetics of form, evoca contenuti che si riflettono specularmente nella forma, come accade nei versi di Tomas Salamun di Zagabria e di Tadeusz Rozewicz, polacco. Un interessante erede di Pablo Neruda è Justo Jorge Padròn, nativo delle isole canarie, tradotto in 45 lingue. Come campione della ‘libertà espressiva’ si ricorda Knut Odegard, norvegese. Per una insigne rappresentante della ‘Language Poetry’ non si dimentichi la poetessa Cole Swensen di San Francisco. Credo che la poesia italiana offra al mondo una serie di ‘voci’ significative e soggettive che tendono a sfidare la carne sfinita di una tradizione poetica sofferente per l’eccessiva orecchiabilità-banalità delle soluzioni prosodiche. I poeti del mondo ricordati possono venire accomunati dalla vitale intensità delle loro pratiche prosodiche”.
Ti ricordo alfiere della stagione mitomodernista. Sono passati trent’anni. Cosa resta di quel fragore e di quelle intenzioni? Oggi non rischiano di risultare un po’ kitsch?
“A decenni di distanza ricordare ‘una stagione’ non cela un semplice desiderio celebrativo, ma esige l’esigenza di procedere per il cammino intrapreso. Nel contesto nichilista che ha eletto il Brutto come dominante delle forme d’arte, la corruzione e il cattivo gusto nella vita quotidiana, il mitomodernismo pretese l’insurrezione contro noi stessi quando cediamo ai compromessi dell’utile immediato, l’insurrezione contro la massificazione, contro l’appiattimento, in nome dell’eroico, dell’eretico e dell’erotico. Abbiamo assunto la Bellezza come guida alla ribellione ai poteri illegittimi e offensivi della dignità umana. Il nostro lavoro poetico-estetico è documentato da volumi come Le avventure della Bellezza, 1988-2008 a cura mia, (Edizioni Arcipelago, Milano 2008) e Chi ha paura della Bellezza, sempre a cura mia (Edizioni Arcipelago, Milano, 2010). Nel 2011 celebrammo il cinquantenario dell’Unità d’Italia, occupando la collina dell’Infinito a Recanati (Cfr. L’Italia Unita nella Bellezza, 17 marzo 1861-17 marzo 2011 sempre a cura mia, Arcipelago, 2011). L’occupazione fu un gesto simbolico contro consorterie, mafie e partiti tesi ad oscurare ‘il merito’ a favore del ‘do ut des’. A parte altre azioni, il 30. XI. 2016 il mitomodernismo ha generato, a Milano, il ‘Movimento Internazionale Poetry and Discovery’, eleggendo a direzione artistica del Movimento Tomaso Kemeny, Pietro Berra, Flaminia Cruciani, Paola Pennecchi , Simonetta Longo e Mirna Ortiz. La prima azione (verrà documentata tra qualche mese dalle Edizioni Effigie), Affari Poetici. Una poesia in Dono 3.XII.2016, davanti alla Borsa di Milano vide una cinquantina di poeti che hanno letto e regalato poesia alla popolazione. Si ritiene che nel contesto di una civiltà sull’indecoroso orlo del tramonto, la poesia possa risultare rivoluzionaria nel risvegliare le energie dell’immaginazione, del pensiero e dell’entusiasmo esistenziale e altruistico. Si vuole tracciare i confini di un cosmo sorto dall’indecenza contemporanea, contrapponendo, appunto, l’energia poetica intesa come dono, alla Tirannia del Dio Denaro”.
Quale poeta ti ha cambiato la vita orientandoti verso la poesia?
“Mi pare di avere vagito poesia fin dalla nascita. I primi versi, in ungherese, li composi per la squadra di calcio dell’Ujpest. Quando, frequentando il Liceo Classico Carducci a Milano incontrai i versi di Torquato Tasso, sorse in me il desiderio di volgere le sue sublimi armonie nell’italiano contemporaneo. Ora non riesco a trattenermi dal citare l’incipit del Canto Terzo della Gerusalemme Liberata:
Già l’aura messaggiera erasi desta
a nunziar che se ne vien l’aurora:
ella in tanto s’adorna e l’aurea testa
di rose colte in paradiso infiora…
Con l’aiuto del Tasso composi La Transilvania Liberata (Effigie Edizioni, Milano 2005). L’altro incontro accadde nel 1962 con André Breton in persona, ormai anziano ed asmatico. Lui mi aiutò a fare crollare le mura che separano la vita dal sogno e dalla scrittura poetica. Alla sua morte scrissi il poemetto 28 settembre 1966 (data della sua morte). Il poemetto è stato incluso in Poesia degli anni settanta, a cura di Antonio Porta (Feltrinelli, Milano, 1979). Penso che fu Breton a farmi scrivere versi come:
nessuno vuole più essere (diventare) un Autore
si pubblica per cercare nella scintilla
la donna e l’uomo, che s’incontrino nell’eden
gli occhi incendiati dall’estate…”.
E Tu, poeta inossidabile, a cosa stai lavorando, a quale progetto poetico?
“A dire il vero non sono ancora emerso dal mio ultimo parto Boomerang (edizioni del verri, Milano, 2017): si articola in Ghost Poems, dove si evocano i fantasmi in azione di 25 poeti del ’900, da Attilio Bertolucci a Amelia Rosselli. La seconda parte, Voci, voci come quelle di Albert Camus, Larung Ghar e Rosa Parks evocano il sogno sublime di Martin Luther King, sogno in cui donne e uomini di tutte le civiltà e culture ed etnie, si sentono accomunati nei valori fondanti la fratellanza universale”.