23 Maggio 2020

“Ora posso finalmente esaudire la mia unica aspirazione, essere dimenticato”: discorso su Papa Giovanni Paolo III (ovvero, John Brannox) e la debolezza al potere

A guidarmi, in quest’analisi, sarà il personaggio d’una serie tv incredibilmente significativa per la nostra contemporaneità, The New Pope di Paolo Sorrentino: si tratta di Sir John Brannox, o Papa Giovanni Paolo III, esemplare d’un’umanità che è pure finissima porcellana. Ciò in un Occidente che spinge sé stesso alla fortezza, al dogmatismo spicciolo, anziché la riflessione sulla debolezza. Che cos’è la debolezza? È forse l’uomo insipido, l’inetto, che (non sapendosi decidere) viene rincorso dai calabroni infernali? È forse colui che non si pone salvezze? Qui vediamo il primo errore degl’accusanti: l’uomo debole non si pone salvezze ultraterrene, ma terrene sì – ciò è alla base di quella trascendenza immanente che è la volontà di potenza nietzschiana stessa (ovvero il concetto filosofico che il contemporaneo maggiormente assume, e nell’assunzione collettiva non avviene l’emancipazione dell’individuo: venendo a mancare di debolezza [la collettività è sempre forte, violando il disordine del singolo]). L’uomo debole è colui che si scopre capace d’una sintesi autonoma rispetto alla favola che abitava il mondo (sempre stando in Nietzsche) e che legge, dunque, il mondo stesso quale favola: quale cosa debole. La debolezza è dunque la nostra stessa capacità ermeneutica (di comprendere che ogni cosa sia interpretazione; e che pure i dogmatici interpretano il mondo [pur ritenendo di sapere il vero]), è ridurre la totalità delle cose che sono a narrazione consolidata dalla storia (ovvero il susseguirsi dell’uomo entro una determinata struttura).

Dunque perché affibbio questo termine a un Papa, dovendo essere questo la guida d’una parte dei dogmatici del mondo? Ma Bergoglio, che nella serie di Sorrentino dovrebbe pure essere un candido passato, non è forse questo prototipo di uomo (la simpatia che Gianni Vattimo gli porta lo battezza, lo renderebbe «L’ultimo dei postmoderni»)? Egli non ci ispira certamente la fortezza di fede ratzingeriana… egli ci presenta la sconsolatezza e la debolezza dell’uomo al potere: è un uomo che non sa (apparentemente) d’un’alterità oltre all’immanenza, è un uomo che vuole lavorare diplomaticamente coi popoli che esistono (di tutta la terra), pur rischiando di gettare irreversibilmente nella minoranza il proprio. Con ciò non intendo sostenere che la Chiesa bergogliana abbia lasciato perdere l’aspetto trascendente della fede (che si manifestò sempre nella ritualità stessa della rievocazione evangelica, basti vedere quella ortodossa che non mutò mai [se non in severità]), sostengo altresì che la detta esperienza viene (da questa attuale Chiesta) demandata alla mera interiorità del fedele (anziché essere patita pure nell’esteriorità, nell’umanità visibile), esattamente come nella dottrina protestante. Ciò, parrebbe, per liberare il fedele delle imposizioni che gli risultavano incomprensibili, e che (effettivamente) non dovevano neppure essergli chiare: giacché il rito è per Dio, non per l’uomo (l’uomo ne dovrebbe essere meramente testimone!). Quella di Brannox (nella serie tv) pare, altresì, una via mediana tra l’imponente trascendentismo del suo indiretto predecessore (vivo e in stato comatoso) Pio XIII, vero (e neo) principe di Dio, e il suo direttissimo predecessore Francesco II (non a caso), che riduce la propria Chiesa a un’ONG gestita da frati cappuccini (giovani, e ancora richiamati dalle forme femminili). Tra la santità terrena (inarrivabile, pure col pensiero) e l’immanenza anticristiana (ma iper-umanitarista), l’avvento di Papa Brannox ci dimostra che Dio non dev’essere reso per forza un essere immanente per arrivare al Suo fruitore (il Suo pubblico), né deve prepotentemente tornare a essere un incontestabile essere trascendente… Semmai, se può essere creduto (nella possibilità, o nel “dovere”), deve essere un essere indicibile: qualcosa di talmente misterioso da essere accolto in questa sola forma, e proprio per ciò assunto – giacché l’uomo che non preserva in sé stesso un accento di mistero (nella, e della, immensità del tutto) è immancabilmente povero.

Ecco, dunque, l’aspirazione di quella Via media (opera teoretica dello stesso Brannox, dal titolo archetipico) spesso accennata nella serie di Sorrentino. Ed eppure questa medianità risulta debolezza, immobilità umana! Di fatto, di fronte al terrorismo perpetrato dai fanatici cattolici (suscitato dall’oscuramento delle condizioni di salute di Pio XIII, che idolatrano), Brannox si rifiuta d’agire, d’essere motore d’un qualsiasi sommovimento storico. Qui, credo, v’è un fraintendimento in Sorrentino del termine che stiamo esaminando: sembrerebbe irreversibile l’indissolubilità della debolezza umana da quella ermeneutica, ed effettivamente dove v’è una teoresi debole c’è sempre un carattere individuale remissivo (ma combattivo contro ogni sopraffazione forte). Ed eppure questo carattere, pur nella sua spinta animosa (in giovinezza) decade nella morte in vita (in vecchiezza). È dunque vero? La debolezza è debolezza (pure se i deboli sono gli uomini migliori, i più savi)? Ebbene, la debolezza è debole: ammettiamolo, e forniamo un altro oggetto da analizzare.

Se Papa Brannox è incapace di rafforzarsi per rafforzare, la sua missione dovrà riguardare la mera emancipazione dei deboli del mondo (in quest’accezione, chi godette d’una vita sofferente; quei tristi che non hanno ancora imparato a morire, per mantenere elevato il loro morale: e per ciò scomunicati socialmente). Notabile è il suo penultimo Angelus, nel quale ammette: «Io sono uno di voi»; ecco la sdivinizzazione ultima del Pontefice, ecco la debolezza (l’avvento della favola). Se la vita, e le sue conseguenze, fossero solamente corrispondenza coi simboli noi tutti saremmo beati, altresì ogni cosa è politica (e, per conseguenza, economia). Immaginiamo dunque un benefattore globale che stia investendo i propri ultimi anni terrestri, e una buona parte del suo patrimonio, in favore d’un indebolimento delle strutture umane dell’Occidente. Diremmo che quest’uomo è buono, giacché il suo scopo risulta positivo: emanciparci dalla fortezza. Ma venendo a sapere che questa sua missione è perpetrata subdolamente, mediante una lenta corrosione d’ogni certezza e al plagio d’ogni mente mediante la creazione di condizioni di pietà (impossibili da condannare), diremmo ancora che questo benefattore è buono? Se il concetto di Società aperta equivale all’apertura degli orizzonti mentali, perché mai dovrebbe tradursi (nell’azione di questo benefattore) pure in un mondo senza frontiere? Sarà davvero un mondo evoluto e in pace? Un mondo debole si crea così? Parrebbe, giacché l’alternativa sarebbe non crearne affatto; e ciò sarebbe un male? Il mondo non si fece sempre disordinatamente e autonomamente? È compito dell’uomo ordinare il tutto?

Ecco, che qualcuno ritenga di dover agire sul tutto è una violenza: pure se l’intento condurrebbe alla debolezza del tutto. Questo agire non sarebbe un agire debole, quest’ultimo non dovrebbe essere mosso da alcuna passione, né da interessi di sorta. Una debolezza che voglia imprimersi sul tutto dimostra d’essere un’ideologia, ciò mentre la debolezza nasce per galleggiare (muovendosi nella gettatezza della propria storia, del proprio tempo). Abbiamo dunque due esempi di debolezza, ora. Chi vincerà? Nessuno, si direbbe; soprattutto perché l’Occidente è in rivolta: esso condanna la debolezza (imposta o no, ma punisce soprattutto quella che non pretende d’essere: l’altra gli risulta troppo potente per essere contestata). Ed ecco, in questa ribellione il nostro benefattore pare inasprire le sue armi di sopraffazione di massa pur di non affondare nell’inesistenza (non lasciando, dunque, vanificare la sua opera sociale). Questa non è debolezza: l’uomo realmente debole sarà sempre disposto ad accettare l’estinzione (pure quella imposta, ma ogni estinzione è imposta [come la vita stessa!]), opponendosi il nostro benefattore perde smalto e socievolezza – contrariamente, Brannox, (scoprendosi inadatto a guidare la Chiesa) si ritira a vita privata, sostenendo: «Ora posso finalmente esaudire la mia unica aspirazione, essere dimenticato». Questa è la vera debolezza: capace di tentare, perdere, scusarsi e morire; ogni altra forma è una fortezza insidiosa e mascherata.

Paolo Pera

*In copertina: una fotografia di Gianni Fiorito sul set di “The New Pope”; Sharon Stone è con John Malkovich

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