24 Luglio 2019

Il successo di Boris Johnson? Nasce nel 2003, con la fatidica intervista a Silvio Berlusconi. Ora vi dico come è andata. Ovvero: elogio ubriaco di Nicholas Farrell, la ‘spalla’ del biondochiomato Boris

Nel settembre del 2003 pensavo che precipitare in un sonetto di Rilke fosse il gesto ‘politico’ più importante che potessi esercitare e che un distico di Emily Dickinson fosse sufficiente per illuminare la ‘situazione’ mondiale. La penso ancora così.

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Nel settembre del 2003 due inglesi, uno alto, alticcio, allampanato, l’altro basso, energico, inelegante, si presentano nella dimora di Porto Rotondo, a casa di Silvio Berlusconi, ribaltano l’arte dell’intervista, mettono a soqquadro il quadro politico di allora. “Sembravamo una coppia di comici, Stanlio e Ollio. Boris è piccolo e robusto, io alto e dinoccolato, lui è biondo, io moro, lui ha fatto rugby, io cricket, lui è un deputato, io un vagabondo. Boris si è presentato con il piccolo autobus che aveva affittato per la moglie e i quattro figli”. Così ha raccontato uno dei due – quello alto – a Claudio Sabelli Fioretti, un mese dopo. Per mesi non s’è parlato d’altro. Berlusconi, nella divisa estiva dell’epoca – informale, piacione, “indossava una specie di pigiama bianco, trasparente”, ricorda uno dei due; all’altro resta impresso il dettaglio dei capezzoli che sporgono dalla camicia – sfoggia quello che dopo sarebbe stato il repertorio di massima – sono tutti comunisti e tutti contro di me, che faccio il bene del prossimo –, dialogando come un imperatore. Esempi sparsi di quella fatidica intervista: “Credo che l’80 per cento dei giornalisti siano di Sinistra, e abbiano rapporti molto stretti con l’informazione estera, e hanno tutti un club a Roma”; “Dovete capire che ho avuto più di 500 visite dalla Guardia di Finanza al mio gruppo, che ho avuto più di 90 indagini. Dovete chiedere, qual è il rimedio se un’intera procura, a Milano e a Palermo, non fa altro che inventare teoremi su di me?… Soltanto l’8 per cento degli italiani ha fiducia in questa magistratura”; “Vi dico la verità, se vivessi in un paese dove non ci fossero le elezioni, diventerei un rivoluzionario, se non un terrorista. E questo è perché io amo troppo la libertà, e senza libertà un uomo non è un uomo. Non ha dignità”.

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Dal giugno 2001 Berlusconi era Presidente del Consiglio dei ministri, incarico che avrebbe mantenuto fino al 2006. Nel luglio 2003 è Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea. Non rilascia interviste. I due intervistatori inglesi si chiamano Boris Johnson e Nicholas Farrell. Il primo è diventato primo ministro inglese. La fatidica intervista fu pubblicata sullo Spectator – di cui BJ era direttore – con il titolo roboante “Forza Berlusconi!”. In Italia, la stessa intervista fu pubblicata da La Voce di Romagna, su cui scriveva Farrell, che da giornale ‘locale’ ottenne lauta gloria nazionale. Lo Spectator lo leggo ancora oggi, per La Voce di Romagna lavorai, con alterna gloria e grave d’imprese, per un tot di anni.

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La copertina dell’articolo di Tom McTague sul ‘The Atlantic’ che ribadisce: l’intervista del 2003 a Silvio Berlusconi, pubblicata sullo ‘Spectator’ e su ‘La Voce di Romagna’, è stata il primo passo della formidabile carriera di Boris Johnson. E ne esplicita i valori

L’intervista è memorabile fin dall’incipit (“Tramonto in Sardegna. Il sole svanisce dietro le falesie. Le cicale si zittiscono, per un attimo. Le guardie armate di mitraglie sbucano dal cespuglio di mirto, tra gli ulivi, e l’uomo più ricco d’Europa mi piglia il braccio. La voce è eccitata. ‘Guarda’, dice, puntando la torcia. ‘Guarda la potenza di quell’albero’. Lo spettacolo è davvero suggestivo”). Alla concisione narrativa segue il dialogo, fitto, netto, senza filtri. Tipico giornalismo britannico: colto senza esagerare, divertito, colpi di frasi-coltello ai fianchi. Di Boris Johnson continuo a vedere, in video, la chioma allucinata, da Joker della politica. Nicholas Farrell è stato, per un flirt di tempo, un collega.

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Che quella fatidica intervista a Berlusconi sia il primo miglio della carriera politica di Boris Johnson non lo dico io. Quando, nel 2005, sono capitato la prima volta alla Voce di Romagna l’allora direttore, Franco Fregni, e l’editore, Gianni Celli, mi parlavano con un certo vigore di quella intervista. Di fatto, aveva cambiato la storia del giornale su cui, improvvisamente, tutti volevano scrivere. Farrell dirigeva un inserto della Voce – nome che rimanda al duo Prezzolini+Papini –, “Le Ragioni dell’Occidente”, con piglio speciale. Voleva articoli molto personali, graffianti, pieni di brio e con una – una! – idea centrale, indiscutibile, meglio se polemica. Era un istrione avvezzo al deprimersi. Ci eravamo simpatici. Su di lui aleggiavano granitiche leggende – beveva fino a mezzanotte, poi scriveva l’editoriale da mandare in stampa. Ogni tanto gli ritiravano la patente per eccesso alcolico. Ogni tanto mi telefonava, con gergo very english, “Brullo, come ca**o fai a vivere di giornalismo, che ca**o significa un poeta che fa giornalismo?”. Era atterrato in Italia nel 1998. Scrisse un libro – vasto, informato, arguto, smaliziato – su Mussolini, che sarebbe stato pubblicato da Le Lettere nel 2006. Aveva casa in Romagna, con reale stuolo di figli (quattro, cinque, sei…). L’ho letto, di recente, sullo Spectator. “It may seem incredibile, but I’d trust an Italian over a Franchman any day”. Un articolo graffiante, come al solito, pieno di vizi, di personalismi, di docili smargiassate. “Ricordo che una volta mia hanno fermato due poliziotti italiani, ero decisamente oltre il limite, era notte. Invece di farmi il controllo, abbiamo iniziato a parlare della biografia di Mussolini che avevo scritto. ‘Mussolini è stato piuttosto frainteso’, ho assicurato al poliziotto. ‘Hitler gli ha fatto un pessimo servizio’. Molto bravo Farrell, mi fa il maresciallo lasciandomi andare, ‘Mi raccomando scriva semplicemente la verità sul Duce, Ok?’”.

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Ma in effetti, chissenefrega di una intervista pubblicata sedici anni fa e dei miei ricordi annebbiati dall’afa. L’interesse, in realtà, è uno e doppio. Il primo. In quella intervista, per la prima volta, un politico di primo piano si espone con un linguaggio immediato, ‘da spaccone’, sorpassando uffici stampa, notiziari, canoni ufficiali, facendo della ‘dichiarazione’ un proclama. Oggi fanno tutti così, aiutati dalla melma social.

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Piuttosto. Sulla prestigiosa rivista di Washington D.C., The Atlantic – fondata nel 1857 da Ralph Waldo Emerson, e scusate se è poco – Tom McTague si lancia in una densa riflessione sul neo primo ministro inglese, “Boris Johnson Meets His Destiny”. Beh, il commentatore ritiene che proprio quella intervista a Berlusconi sia capitale per capire la statura politica di BJ e la sua azione. “La sua intervista fu una specie di prova e di approvazione: l’uomo d’affari diventato politico era la persona migliore per guidare l’Italia… Johnson pare affascinato da Berlusconi, dal suo carisma, dal suo palazzo, da questo Crasso del XXI secolo e dalla sua opulenta assurdità. Johnson non è colpito dalla politica di quell’uomo, quanto dalla sua energia grezza, dalla ‘torrenziale loquacità’, dalla ‘vulcanica propulsione americana’, sinonimo di ‘ottimismo e fiducia’”.

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Nell’articolessa si fa cenno a Nicholas Farrell. A Sabelli Fioretti il caro, allucinato ‘Nic’ confessò che da Berlusconi, nel 2003, si presentò così, “vestito celeste e cravatta rossa a pois bianchi. E il mio panama bianco”. Mi sembra una scena tratta da un romanzo di Anthony Burgess. Boris Johnson è diventato primo ministro inglese. Al “vagabondo” Nicholas Farrell, almeno, diano la direzione della BBC. (d.b.)

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