26 Febbraio 2018

“Borges vince sempre”: intervista a Nicolas Helft, il biografo di uno scrittore inafferrabile. La madre di JLB? “Decideva cosa doveva mangiare. E quali donne poteva frequentare”

Con quella scrittura in miniatura, scavata, sumera, come tracce di puma nella neve, Dearest Mother, scriveva il figlio, vampirizzato dalla madre ‘carissima’, cauterizzato al vivere. Leonor Acevedo Suárez, di stirpe uruguagia, nata a Buenos Aires da famiglia di militari di fama, aveva vezzi da gran dama e traduceva dall’inglese. Katherine Mansfield e William Saroyan, Herbert Read e Le palme selvagge di William Faulkner. “Come va con Tree of life di Machen?”, chiede il figlio, in una cartolina natalizia, riferendosi ad Arthur Machen, lo scrittore gallese celebre per i racconti del soprannaturale. E poi, Madre, te extraño muchísimo, mamma mi manchi moltissimo. “La prima conferenza (Martin Buber) mi dicono che è andata bene; ti scrivo mentre sto organizzando la seconda, che riguarderà Joyce”. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta Jorge Luis Borges, tra i grandi scrittori del secolo scorso, tiene lezione su Melville, Poe e Emerson, su Hume, Defoe e Kafka, su Yeats, la kabbala ebraica, il buddhismo, Oscar Wilde, con quella canonica fame verbale e culturale che gli fu propria. Si appropria di Eraclito e di Zenone, del Beowulf e di Beda il Venerabile: nel 1941, in un volume griffato ‘Sur’, la rivista e casa editrice della vulcanica dama delle lettere argentine, Victoria Ocampo, pubblica El jardín de senderos que se bifurcan. “Opera esotica e decadente”, che “riprende una certa devianza della letteratura inglese contemporanea, il racconto fantastico”, lo giudicano i giurati del Premio Nacional de Literatura. Il premio andò a Eduardo Acevedo Díaz per l’oggi misconosciuto Cancha larga, ambientato nei recessi della pampa argentina, opera realista, regionalista, provincialissima, allora utile a consolidare un tonto nazionalismo. Sono anni in cui Borges subisce l’ingeneroso ostracismo dei compatrioti (a parte il raffinato gruppo capitanato dalla Ocampo), in cui il governo (siamo al 18 giugno 1943) “emette una comunicazione ufficiale che rinnega artisti e intellettuali che dimostrano ‘poco interesse per i temi storici’”, e i racconti di JLB, che cambieranno la letteratura del Novecento, sono dichiarati “uno spreco intellettuale, senza linfa vitale e senza respiro”. Questi sono alcuni aspetti, tra i tanti, estremamente colti ma anche intimi – che bello shock vedere Borges, nel pieno dei Trenta, con canotta, pizzetto, “un corpo muscoloso, un aspetto affascinante, un po’ spaccone”, che alterna lo studio del mistico svedese Emanuel Swedenborg agli esercizi “di canottaggio e al nuoto” – raccolti da Nicolás Helft in Borges. Postales de una biografía, edito da Emecé nel 2013, un vero ‘caso’ in Argentina. Helft, che si definisce nella placca biografica “collezionista e lettore fanatico di Borges fin dall’infanzia”, ha avuto una idea illuminata.

Borges
Nicolás Helft ha pubblicato ‘Borges. Postales de una biografía’ nel 2013, rivelando un Borges inedito

Ha raccolto le cartoline di Borges – ne ha scritte tantissime, fin da ragazzo – e a partire da quelle testimonianze (inedite anche in Argentina) ha raccontato la vita del geniale scrittore di Finzioni e L’Aleph. Segnalando il destino di grandezza e di solitudine, spesso di dolore, dell’audace veggente della letteratura occidentale. Il libro l’ho beccato a Buenos Aires, su ispirato consiglio di un libraio vero, uno che traffica tra tomi pieni di polvere e di magia. Helft l’ho bloccato durante le sue peregrinazioni per il globo.

Nella nota biografica lei si descrive come “un lettore fanatico di Borges”: quando è nata la sua passione per il grande scrittore argentino?

“Borges crea dipendenza. Non tutti ne soffrono: alcune persone leggono Borges e poi tornano alla loro vita. Nel mio caso, dopo aver letto Il vangelo secondo Marco, un racconto recente, che il mio insegnante delle scuole elementari ci ha dato quando avevo 12 anni, ho sentito il bisogno di leggere tutto ciò che potevo di Borges e su di lui, per cercare di capire cosa mi stesse accadendo. Avevo la sensazione che ci fossero molte idee magiche in quel racconto che non avrei saputo afferrare a meno che non lo leggessi più e più volte. A quel tempo non sapevo che forse è proprio questo il contributo più importante di Borges alla letteratura: un testo che evolve, che dice cose diverse in seguito a letture diverse, ciò che dice dipende da quando e dove lo leggi e da altri fattori. Oggi, dopo così tanta critica letteraria, non siamo ancora sicuri di cosa significhi Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, e il piacere che proviamo leggendolo aumenta”.

Come è nata l’idea di scrivere un libro su Borges? Che cosa ha scoperto di Borges che non ci era già noto?

“Casualmente. Il libro è nato dopo una conversazione con Alberto Díaz, noto editore, che ha conosciuto e pubblicato Borges durante la sua vita. Ho capito che la cartolina, un genere che ahimè è quasi del tutto scomparso, era particolarmente adatta a Borges perché è breve. Allora ho scoperto che Borges ha scritto cartoline durante tutta la vita, le prime quando era un ragazzino in vacanza in Uruguay, le ultime da scrittore famoso che viaggiava per il mondo. Poi ho pensato che avrei potuto scrivere una sorta di biografia di Borges mostrando quelle cartoline e spiegando il contesto, i momenti decisivi della sua vita legati alla scrittura di quei testi”.

Nel libro lei mostra le fragilità di Borges. Il suicidio ‘scritto’ nel 1940; le relazioni difficili con le donne; la relazione claustrofobica con la madre… Forse per Borges la letteratura è una grande fuga dalla vita?

“Non dimentichi la morte di suo padre nel 1938. Borges si sentiva abbandonato, o peggio, lasciato solo con la madre. Ricorderà che Borges era miope e che presto divenne cieco. Dipendeva dalla madre nelle necessità quotidiane più banali. Lei non soltanto decideva come doveva vestirsi il figlio, cosa doveva mangiare, quali donne poteva frequentare: voleva anche imporgli quello che avrebbe dovuto scrivere. Non importava che Borges fosse ammirato dai più grandi scrittori e intellettuali argentini e stranieri (ad esempio, Pierre Drieu La Rochelle, che una volta tornato in Francia dall’Argentina scrisse Borges vaut le voyage, ‘Borges vale il viaggio’, parafrasando il modo in cui la guida Michelin qualifica con 3 stelle una attrazione turistica particolare): la madre di Borges voleva di più, decise che la letteratura di Borges l’avrebbe aiutata nel far recuperare la gloria perduta alla famiglia (gli antenati di lei erano eroi militari del XIX secolo, ormai dimenticati). Il 1938 è il momento chiave nella vita di Borges, il più infelice. Era attraversato da pensieri suicidi. Forse per questo, pensava di non avere più nulla da perdere. Così scrisse Pierre Menard… e nulla sarebbe stato più lo stesso”.

Nel libro lei racconta, inoltre, le difficoltà affrontate da Borges contro il mondo politico e letterario del suo tempo, quando fu pubblicato Finzioni. Che idee politiche aveva Borges?

“La risposta può essere ricavata da La scrittura argentina e la tradizione, in cui Borges scrive la più convincente analisi sul nazionalismo, argentino e straniero (cioè: peronisti e germanofili): ‘Qual è la nostra tradizione Argentina? Credo che possiamo rispondere facilmente a questa domanda, e che non vi siano problemi di sorta. Credo che la nostra tradizione sia tutta la cultura occidentale, e credo che noi abbiamo diritto a questa tradizione, un diritto maggiore di quello che potrebbero avere gli abitati di una nazione occidentale o di un’altra. […] Per questa ragione ripeto che noi non dovremmo essere allarmati, dovremmo percepire come nostro patrimonio l’universo; dovremmo scrivere di tutti i temi, senza limitarci a soggetti puramente argentini per poterci dire argentini; perché essere argentini è un atto inevitabile del destino – e in questo caso noi saremmo così in tutto – altrimenti essere argentini è una mera attribuzione, è una maschera’”.

E ora? A cosa sta lavorando? In che direzione si muove la ricerca nella biografia e nella bibliografia di Borges?

“Sto leggendo e cercando di capire un po’ di più. C’è così tanto da scoprire, ma non credo che ci sarà mai una biografia ‘definitiva’ su Borges, ma solo un lento progresso per tentare di comprenderlo. Temo che quelli che cercano il ‘centro del labirinto’ di Borges non siano più in grado di venirne fuori. Borges vince sempre”.

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