
“Credo nei miracoli dell’arte”. Vita in versi di Jane Kenyon, l’Achmatova d’America
Poesia
Fabrizia Sabbatini
Lo struggimento per l’attesa, sotto tutti i punti di vista, e soprattutto la percezione della musica del tempo, della crisi della cultura borghese, l’approssimarsi della tempesta, viene cantata più di ogni altro dal poeta Aleksàndr Blok. Nelle sue prime poesie Blok cantava il mito della bellissima Dama, Anima del Mondo. Tende l’orecchio a ogni fruscio, a ogni confuso richiamo che annunzi il misterioso approssimarsi della Bellissima Dama.
Servus Reginae
Non chiamare. Che senza chiamata
io verrò al tuo altare.
Chinerò la testa ai tuoi piedi
senza parlare.
E ascolterò le tue richieste
attenderò con timore.
Per catturare i tuoi fugaci incontri
per desiderare ancora.
Prostrato alla forza della tua passione,
sono debole al tuo giogo.
Ora un servo, ora un amante;
sono tuo schiavo eternamente.
Nelle poesie successive (1904 – 1908), la Bellissima Dama perde l’epiteto mistico e diventa una donna terrena, una prostituta ma nella quale Blok cerca sempre il riflesso di un’altra vita e i lineamenti della sua amata celeste. Se prima era un ideale atteso, ricercato, amato, le poesie del periodo successivo descrivono il distacco da questo ideale; prevalgono le forze della natura: la neve, la tormenta, i demoni segreti della città. Tra le poesie più belle di questo ciclo, ricordiamo Neznakomka, “La Sconosciuta”. Blok stesso ci illustra la genesi di questa nuova figura femminile nel saggio O sovremennom sostojanii russkovo simvolizma, (Sulla condizione attuale del simbolismo russo): “La spada d’oro si è spenta, i mondi color lilla mi hanno irrorato il cuore. Il mio cuore è un oceano, tutto in esso è ugualmente magico: non distinguo la vita, il sogno e la morte”. La Sconosciuta appare come l’anima del mondo in preda al caos.
“E ogni sera, all’ora consueta,
nella nebbia che appanna la finestra,
si muove (o è solo un sogno?) una figura
di fanciulla fasciata nella seta.
Lentamente, passando fra gli ubriachi,
sempre senza compagni, sempre sola,
in una scia di nebbie e di profumi
si va a sedere accanto alla finestra. […]
Infine la Bellissima Dama gli appare sotto le spoglie della Russia, misera e immensa, “La Russia resta sempre la stessa: un’entità lirica”, scriveva alla madre nel 1909, e aggiungeva: “Qualunque cosa accada, essa resterà sempre la Russia dei sogni”.
Leggiamo nella poesia Russia, del 1908:
Io non so compatirti,
e porto cautamente la mia croce
Concedi la bellezza brigantesca
allo stregone che più ti piace!
Che egli ti alletti e ti inganni,
non ti perderai, non perirai
e solo l’apprensione annebbierà
le tue bellissime fattezze…
Ebbene? Per un affanno di più.
per una lacrima il fiume è più fragoroso,
ma tu sei sempre la stessa: foresta e campo,
e fazzoletto rabescato fin sopra le ciglia
E l’impossibile è possibile,
la lunga strada è lieve,
quando sfolgora nella tua lontananza
uno sguardo improvviso di sotto il fazzoletto
quando risuona con angoscia di carcere
il sordo canto del postiglione!…
L’impossibile diventa possibile, dunque. Ma in che modo, secondo Blok, l’impossibile diventa possibile? A mio parere, uno sguardo trasfigurato attraverso cui si guarda il mondo, può rendere ragione di tutto. Scrive Blok “guai a quelli che pensano di trovare nella Rivoluzione l’adempimento solo dei propri sogni comunque alti e nobili che siano. La Rivoluzione come turbine di bufera, come tempesta di neve porta sempre il nuovo e l’inatteso; essa inganna crudelmente molti… ciò non cambia né la tendenza generale del torrente, né il rombo minaccioso e assordante… La vita è bellissima. Che scopo hanno di vivere quel popolo o quell’uomo che in segreto sono delusi di tutto? Val la pena di vivere soltanto così, presentando smisurate esigenze della vita” (da A. Blok, La Russia e L’intelligencija). Sarà lo stesso che scriverà nelle sue riflessioni sulla democrazia: “è tutto talmente senza scampo, nell’anima e nel corpo c’è un indicibile peso, il denaro vola, la vita diventa mostruosa, turpe, insensata, depredano ovunque”. Sarà lo stesso che morirà a soli quarant’ anni per esaurimento e denutrizione.
Ma… se in quegli anni quasi tutto il mondo diceva “Dio è morto” e parte del mondo diceva “vivremo senza di Lui”, la Russia o parte della Russia diceva: “se Dio non c’è, lo facciamo noi!”. Se la rivoluzione russa sembra essere, con tutte le peculiarità del caso, una tra le più grandi conseguenze di quest’affermazione, è bene però affermare che senza la poesia, tutto quello che “è passato in mezzo”, non si vedrebbe. Non si vedrebbero ad esempio i bagliori tragici e gloriosi della battaglia, non si vedrebbe la ricerca spasmodica di qualcosa di grande seppur incontenibile nei suoi sviluppi:
Questi versi sono tratti da Nuovamente sul campo di Kulikovo (1908) e sembrano riprendere l’atmosfera di quello che da lì a poco sarebbe successo.
Eppure ti riconosco, principio
di giorni grandi e tumultuosi!
Sulle schiere nemiche, come un tempo,
Il rumore e le trombe dei cigni.
Il cuore non riesce a vivere di pace,
non per nulla le nubi si sono raccolte.
Greve è l’armatura, prima dello scontro.
Adesso è giunta la tua ora. Prega!
*
Mentre per Vladimir Majakovskij (1893-1930), la rivoluzione d’ottobre non suscitò dubbi di sorta. Per lui il dilemma dell’aderire o del non aderire non esisteva. La rivoluzione proletaria era il suo elemento naturale. Il teatro, il manifesto politico, la satira, le parole d’ordine, insieme alla poesia lirica, diventano i suoi mezzi più immediati ed efficaci d’espressione.
Una delle sue peculiarità che lo rendevano così simile a un tuono era il fatto che non sopportava la quotidianità. Tutto doveva essere grandioso, non poteva essere altrimenti. Se esisteva l’amore allora deve esserci anche la rivoluzione! Qualcosa di cosmico, enorme!
Amare
significa
correre in fondo
al cortile
e fino alla notte corvina
spaccare legna
con la scure lucente,
giocando
con la propria
forza.
Amare
è balzare
dalle lenzuola
strappate dall’insonnia,
gelosi di Copernico.
Lui
e non il marito di Maria Ivanovna
considerando
il proprio
rivale
Ma a fianco delle iperboli e delle metafore vivissime, delle arguzie, dei giochi di parole, si inserisce a tratti un singhiozzo, uno scoppio di pianto. L’immagine di Majakovskij è dunque eminentemente «drammatica», basata sull’unità del contrasto. La Rivoluzione, gli ideali attesi e vanificati non facevano altro che esaltare questo contrasto fino a condurlo al suicidio.
Tratto da “All’amato se stesso dedica queste righe l’autore”
Oh, s’io fossi
silenzioso
come il tuono,
gemerei,
stringendo con un brivido il decrepito eremo della terra.
Se urlerò a squarciagola
io
con la mia voce immensa,
le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
gettandosi a capofitto sulla malinconia.
Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti
se fossi
appannato
come il sole!
Che bisogno ho io
di abbeverare col mio splendore
il grembo dimagrato della terra!
Passerò,
trascinando il mio enorme amore.
In quale notte
delirante,
malaticcia,
da quali Golia fui concepito,
così grande e così inutile?
Isabella Serra
(continua)
*La prima parte di questa riflessione sulla Rivoluzione russa e i suoi poeti la leggete qui