C’è un eroismo che non è fatto per essere esaltato dal mondo. Al contrario, pare compiersi a dispetto di esso, perché l’ispirazione viene da un Altrove che il mondo pretende di fare fuori. La parabola di questo eroismo si risolve allora non in una vittoria da imprimere sui libri, o da esaltare in un film da cinema, edificante per chi creda che gli eroi siano individui straordinari, modelli, ancorché lontani, con cui immedesimarsi in qualche svogliato slancio di fantasia. La crudeltà del mondo, quando si lancia nella persecuzione di qualcuno, quando chiude le porte a se stesso perché ha deciso di sbarrarle alla Misericordia, ci invoglia a desistere dal combatterlo proponendoci simili figure. Belle ma perfette, come tutte le fantasie; alibi con cui noi mortali, impastati di miserie, rinunciamo ad opporci in prima persona alle sue storture.
L’intreccio tra i fatti della Storia e la letteratura ci viene, tuttavia, in soccorso, destrutturando l’immagine e restituendoci molto di più: una speranza, che si serve di persone umilissime e, addirittura, pavide. Un felicissimo esempio di tale intreccio è la figura di Bianca De La Force, uscita dalla penna di Georges Bernanos nella pièce teatrale Dialoghi delle carmelitane. Nel 1789, in Francia, la giovane figlia del marchese De La Force prende i voti nel monastero delle Carmelitane di Compiègne, con un nome preciso: suor Bianca dell’Agonia di Gesù. Insieme a lei, la postulante suor Costanza, compagna nel noviziato verso la ormai prossima e definitiva sventura. A spingerla ad entrare in convento, una paura di stare al mondo che sin da quando era nel grembo materno lambisce la sua vita come un continuo presagio oscuro di disgrazia. Poi, la giovanissima Bianca si imbatterà nelle intemperie della Storia, quando una sommossa popolare, rischia di travolgere la sua carrozza, lungo la via che la porta a Parigi. Ma l’ordine delle Carmelitane non è un rifugio – spiegherà con benevolenza la Priora, che attende gli esiti della Rivoluzione sulla pelle sua e delle altre suore; la morte la coglierà prima di assistere alla disfatta – un luogo sicuro per fuggire dalle paure e dalle miserie che ci inseguono: così il rischio di ritrovarsi una religiosa mediocre è dietro l’angolo. Molto meglio sarebbe essere briganti, ché almeno – loro sì – possono sempre rinascere a nuova vita con una conversione, ma questa porta si chiude per sempre a chi «è nata, ma ha mancato la sua nascita».
La priora prende subito a cuore la giovane Bianca, perché sa cosa c’è in gioco e allora istruisce la creatura paurosissima all’essenziale, cioè a guardare dentro di sé, dentro le proprie piccolezze, meschinità, per non accecarsi in una “sciocca benevolenza”, con cui si finisce per usare gli altri come scusa per distogliere lo sguardo da sé. Uno specchio che non riflette insomma, una vuota carità mai veicolo di vero Bene. Ma attenzione a non disprezzarsi troppo: difficile farlo senza offendere Dio in noi.
Intanto, fuori dal convento, precipitano sempre più gli eventi fino al giorno in cui viene fatto divieto assoluto a chiunque di prendere i voti e ogni religiosità è abolita. Le sedici suore, che già hanno subito due saccheggi, stanno per essere cacciate. Bianca e Costanza, ancora novizie, vengono consacrate di nascosto. Le circostanze drammatiche interpellano le suore che devono decidersi, mentre la nuova priora, suor Maria dell’Incarnazione, si assenta per recarsi a Parigi dai superiori, le carmelitane fanno voto di martirio per la conservazione del Carmelo e la salvezza della patria. E Bianca? Nessuno, neanche le consorelle anziane scommetterebbero su di lei e i fatti danno ragione a loro.
Quando i militari irrompono nel convento, occupandolo, nella concitazione Bianca fugge per fare ritorno a Parigi, nella casa del nobile padre; le consorelle vengono separate e gli viene ordinato di non avere alcun contatto fra di loro. Il marchese finirà ghigliottinato e Bianca sarà ridotta a serva in casa sua. Il 17 luglio del 1794, l’epilogo della triste vicenda: le suore di Compiègne, con i capelli rasati, vengono condotte al patibolo, in Piazza della Rivoluzione. Mentre ad una ad una si appressano alla morte, intonano tra la folla silenziosa accorsa ad assistere il Salve Regina e il Veni Creator. Un coro di quindici voci falcidiato dalla ghigliottina. Poi, si fa strada tra la folla, dopo un momento di silenzio, Bianca dell’Agonia di Gesù. Nessuno è andato a prenderla; con un incedere sicuro – chi mai avrebbe associato un passo così certo alla sua paurosa figura? – intona anche lei il Veni Creator. Risoluta e, allo stesso tempo, infantile, scrive Bernanos. Si fa spazio tra la folla interdetta e sale al patibolo, ad onorare il voto di martirio che tempo prima della fuga aveva pronunciato con poca convinzione, per mera deferenza nei confronti delle altre, in convento.
Anni più tardi, un curato nella sperduta campagna francese, finirà i suoi giorni con queste, essenziali, parole «tutto è grazia». E in una singolare unità di spazio e di tempo, chissà che anche la piccola Bianca non abbia pensato alle stesse parole, sotto la lama tagliente, prima del definitivo gesto del boia. Nessuno avrebbe scommesso su di lei, dicevamo, ma Uno sì. E tanto basta a ricordarci che l’eroismo è proprio un “sì” restituito con la stessa fiducia con cui veniamo messi al mondo.