“Come di fronte a un sacrilegio”. Dialogo con Aurelio Picca, lo scrittore più antico d’Italia
Dialoghi
Francesco Subiaco
Linn Ulmann nasce nel 1966, è la figlia del grande regista Ingmar Bergman e della sua straordinaria musa, Liv Ullmann. Quando nasce Linn, esce al cinema “Persona”, pellicola di culto, interpretata dalla madre e da Bibi Andersson. Bergman visse qualche anno con Liv e la figlia, divorziando dalla quarta moglie, la pianista Käbi Laretei. I due si lasciarono, infine, e il regista, nel 1971 si unì a Ingrid von Rosen. Linn Ullmann appare, bambina, in “Sinfonia d’autunno”, il film di Bergman del 1978, con Ingrid Bergman e Liv Ullmann. Crescendo, Linn è diventata scrittrice di un certo successo: i suoi libri sono editi in Italia da Mondadori (“Prima che tu dorma”, “La luce sull’acqua”, ad esempio) e da Guanda (“La ragazza dallo scialle rosso”). Il suo ultimo romanzo, “Unquiet”, è stato tradotto in inglese.
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Quando il padre di Linn Ullmann aveva superato gli 80, cominciò a riferirsi alla sua vita come all’“epilogo”. La mattina, a letto, sopportava i dolori, concedendosene uno per decennio: se fossero stati meno di otto, si sarebbe alzato, altrimenti no. Queste strategie dimostrano realismo più che quiete, e una incrollabile determinazione a lavorare.
Il padre di Linn Ullmann è il grande regista svedese Ingmar Bergman, il suo ultimo lavoro la collaborazione con la figlia, per scrivere un libro che catturasse i suoi pensieri, definitivi. “Quando un lavoro funziona, lo sai. Stavamo lavorando bene, ci divertiva discutere la forma che avrebbe preso quel libro”. Il titolo che avrebbe preferito, diceva, scherzando, era “Beccati & ammazzati a Eldorado Valley”. Forse avrebbe realizzato un film con quel titolo.
Invece, ciò che è emerso oltre un decennio dopo la morte di Bergman è il sesto romanzo di Linn Ullmann, Unquiet, inquieto, un ibrido di memorie, finzioni, riflessioni, su una struttura frammentaria che ricalca l’amore di Bergman per le suite per violoncello di Bach. È, dice la Ullmann, “la raccolta delle rovine del libro che non ho scritto”. Mentre costruivano il libro, tramite numerose lettere, telefonate, incontri, Bergman “continuava a invecchiare”. Quando il lavoro iniziò sul serio, nella primavera prima della sua morte, alla fragilità fisica si sommò qualcos’altro. “In pochi mesi il suo linguaggio era cambiato, la perdita della memoria era evidente. Era come se le finestre della sua mente fossero tutte spalancate di modo che tra realtà e immaginazione, tra fatti e sogni non riusciva più a capire la differenza”.
Sei conversazioni sono state registrate ad Hammars, la casa di Ingmar Bergman sull’isola di Fårö: sono quelle il filo rosso di Unquiet, anche se per molti anni la Ullmann non le ha ascoltate. “Era fisicamente doloroso ascoltare quei nastri. Voglio dire… avrei dovuto iniziare prima, avrei dovuto insistere, avrei dovuto fare domande diverse, avrei dovuto avere un registratore migliore… non avrei dovuto essere sempre così severa…”. È stato il marito, lo scrittore Niels Fredrik Dahl, a recuperare i nastri a intimarle di ascoltarli. “Ho ascoltato. Ho trascritto. Ho tradotto dallo svedese al norvegese. È stato commovente”.
Linn è nata nel 1966, l’anno in cui esce Persona, in cui sua madre, Liv Ullmann, è protagonista: una donna, attrice, che improvvisamente smette di parlare e viene portata in un cottage da un’infermiera, interpretata da Bibi Andersson. Bergman ha scritto la sceneggiatura rapidamente, mentre si stava riprendendo da una polmonite, pensando alle due donne; il film è stato girato a Fårö, che in seguito diventò non solo la casa, ma il regno del regista, con un cinema e una sala per la scrittura. Bergman e la Ullmann hanno collaborato in una decina di film, iniziando una relazione. Lui aveva 47 anni, era stato sposato quattro volte, aveva otto figli; lei era di vent’anni più giovane, era sposata (in effetti, il marito medico era presente alla nascita di Linn). Dopo che Bergman e la Ullmann, una delle sue muse, si sono separati, lui si è sposato ancora. Linn, il nono e ultimo figlio, trascorreva le estati ad Hammars; il resto del tempo lo viveva con la madre, tra Oslo e gli Stati Uniti, con la nonna e una serie di tate interpellate quando la madre era impegnata. “Ero la figlia di lei e la figlia di lui, ma non la loro figlia: non eravamo mai in tre, quando sfoglio le immagini sulla scrivania non c’è una sola fotografia di noi tre, insieme. Lui, lei, io. Quella costellazione non esiste”, scrive in Unquiet.
La narrazione in prima persona è intervallata da una prosa romanzesca, in cui orbitano le vicende della “ragazza”, del “padre”, della “madre”. I nomi non vengono mai svelati. Tra le fonti cita Rachel Cusk, Emily Dickinson, Pina Bausch… Se Bergman è il fulcro del libro, Liv Ullmann, che ora ha 81 anni, resta ai margini. La solitudine e l’introspezione di Hammars rappresentano il mondo di Bergman, mentre i furori di Oslo, Los Angeles, New York sono i luoghi della Ullmann, spesso in compagnia della figlia, che si fa arruffare i capelli da Margot Fonteyn e nel corridoio di un lussuoso albergo di Manhattan riceve una scatoletta di caviale dall’ennesimo corteggiatore russo della madre. I diversi destini dei suoi genitori raffigurano lati opposti della cultura: “Un artista maschio, tradizionale, un’attrice donna: uno che guarda, l’altra che è guardata”.
Linn ricorda l’amore disperato verso la madre, da bambina. “Ero follemente innamorata di lei. Non solo per la sua incredibile bellezza, e ne scrivo di quella bellezza: quanto era vivida, presente, forte quella bellezza, e quel desiderio, immenso, immeditato. Quando sei bambino non hai le parole per descrivere quell’amore; quando sei adulto, ti è chiaro che quell’amore è disperato, sei consapevole che se quella persona sparirà, morirai anche tu. Non potresti vivere”.
Non è facile essere la figlia di una donna che lavora nel cinema, negli anni Settanta, nata da una relazione clandestina, che vive sotto gli occhi indagatori del pubblico. Linn odiava i paparazzi, le fotografie in cui compariva anche lei, sui giornali, come fosse una cartolina. “Non volevo essere una bambina. Non sapevo cosa significasse essere una bambina. Mi vergognavo di essere una bambina”. Verso la fine del libro, la ragazza di 16 anni parte per Parigi, da sola. Ciò che accadrà è la base del secondo volume di quella che la Ullmann immagina come una trilogia. “Il ritratto della ragazza si ferma qui. Non va oltre e non esplora il legame tra madre e figlia. L’incontro accadrà più tardi. Lo scriverò”.
Quando Unquiet è stato pubblicato in Norvegia, una giornalista ha telefonato a Linn Ullmann, chiedendole se potesse dedicarle “cinque minuti” per esaminare quanto la finzione del libro si discostasse dalla verità della sua vita. Lei si è messa a ridere. Cinque minuti. Non sarebbe nemmeno il principio. In effetti, questo è il lavoro di una vita.
Alex Clark
*L’articolo è stato pubblicato in origine su “Guardian”, qui
**In copertina: Ingmar Bergman e Liv Ullmann: la figlia Linn nasce nel 1966