13 Maggio 2018

“Bel Paese? Bisogna avere orgoglio per il nostro sfacelo: questo è un posto finito, senza speranza e con troppa gente”. L’editoriale di Franz Krauspenhaar

Dopo averlo scritto decine di volte, passiamo dall’orazione alla coltellata. Pangea apre lo spazio dell’Editoriale, una specie di altare da cui tirare pigne, su cui far giostrare la cerbottana, allo scrittore, al poeta. A chi ha occhi rosolati nel verbo, e può per questo sconfiggere la proverbiale ovvietà dell’opinionismo giornalistico. In particolare, abbiamo adottato una formula e uno scrittore. Lo scrittore, che chi legge Pangea e chi legge roba buona in generale già conosce, è Franz Krauspenhaar. Milanese, scrittore dalla poetica polimorfica, bibliografia inafferrabile, libri formidabili in teca (“Cattivo sangue”, “Era mio padre”), per Castelvecchi ha appena pubblicato “Brasilia”. La formula è quella che la domanda la facciamo noi. La risposta, oggi, è un virtuosismo abissale dentro l’idea di ‘beni culturali’ e di Italia come ‘Paese più bello del mondo’.

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Dicono che siamo il paese più bello del mondo: è davvero vero? Ergo: dacci la tua ricetta, realistica o virtuosamente eccentrica, per esaltare i nostri ‘beni culturali’. 

Il bel paese, maiuscolando Bel Paese, così nella versione formaggio insapore industriale della Galbani, proprio la metafora esatta di quello che è questo agglomerato di province con qualche campanile intorno. Perché il bel paese, modo di dire sempre più desueto, è diventato con una marcia inesorabile un paese insipido, nel quale si sbandierano come sempre matti del paese, criptofascisti, comunisti da ultimo litro, democristiani nelle mutande; ma nella base si giocano tutti le stesse partite, dove l’unica differenza è data dalla gastronomia e dall’eccellenza italiana, che è un modo per dire Made in Italy ma mica per scherzo, che qui l’eccellenza non è il vino della casa, ma il pepeincolla, lo sburrato di Sertofafiolo, tutte strombonate dop, che fanno incollare l’eccellenza all’insipienza. Un paese che si rifugia in un cantone e aspetta la prossima guerra. La guerra delle mosche, il sacrificio del petrolio massimo, la morte marrone come le feci in gara. Tutta una gara, una sagra, una coscienza tradita, una parola data come la danno le puttane nelle contrattazioni. Questo paese nemmeno tanto bello, perché strapieno di gente, sfruttato e multinazionale del canotto, è un posto finito, morto, senza speranza. Attaccato a un glorioso passato di feroci guerre intestine. Con la parentesi fascista unica a comprendere in sé il gregge degli italiani. Brava gente, bel paese. L’Italia ti si incolla anche quando ne sei fuori. Il razzismo nei nostri confronti spesso è meritato. Bisognerebbe avere un po’ più di orgoglio per il nostro sfacelo, ma qui la parola orgoglio vale poco, non è, l’orgoglio, un’eccellenza italiana.

Franz Krauspenhaar

Gruppo MAGOG