Pare li confezionino tutti così. Fascinosi e agiatamente depravati. Più prosaicamente, belli, ricchi e licenziosi. Si parla di scrittori francesi, ça va sans dire. E ciò che sosta all’infuori dal suddetto cliché neppure si valuta di prenderlo in considerazione.
Fra gli avvenenti membri di quel che potremmo appellare ‘canone Carrère’ – per mero inabissamento nella contemporaneità –, figura Frédéric Beigbeder, sfacciato polemista e agitatore delle scene editoriali e letterarie d’oltralpe, scapigliato ed edonista fino al conformismo più spinto.
Non si indulgerà in tal caso in ordinarie note biografiche né tantomeno bibliografiche – premi, riconoscimenti, traduzioni, affari giudiziari – indossando le vesti di lirici motori di ricerca. La situazione è ben più superficiale. Beigbeder è l’uomo con cui si intende uscire a cena, tastare lo smisurato ego dell’autore lasciandosi sedurre da parole che incantano nel decantare il suo vient de paraître, per poi proseguire, inebriati, il dopocena altrove.
Confessions d’un hétérosexuel légèrement dépassé, dunque, il volume prescelto – il duo Aragon-Fitzgerald in esergo pare di buon auspicio – appena edito in Francia per le edizioni Albin Michel.
Niente preliminari, quindi, si va dritti al sodo, deflorati da un florilegio di etero-confessioni. (Fabrizia Sabbatini)
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Per molto tempo ho creduto che l’esistenza fosse una festa; dopo i cinquanta, la vita si riduce a un interminabile hangover. Per molto tempo ho voluto essere trasgressivo, senza sapere di essere un conformista. Oggi mi sento meglio in un monastero agostiniano che in un bordello, e i militari mi divertono più dei modaioli. Non c’è nulla di conservatore in queste confessioni; continuare a lodare le droghe richiederebbe molto meno aplomb che rinunciarvi. Un libro di confessioni non garantisce l’assoluzione; passate oltre, se vi aspettate da questo memoir qualcosa di diverso da un uomo che cerca di indagare se stesso.
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Ho deciso di prendere appunti, in questo monastero agostiniano, per tenere traccia della mia bancarotta emotiva. Fra Dominique mi ha fatto visitare il campanile ristrutturato dell’abbazia romanica. […] Gli ho chiesto quante persone si siano lanciate dalla cima del campanile. «Solo Sylvain Tesson, ma con una corda; e tre fratelli che lo hanno coraggiosamente seguito», mi ha risposto.
Non sembrava particolarmente scioccato dal mio etilismo. Suppongo che la maggior parte delle persone che si recano spontaneamente in ritiro spirituale siano allo stremo delle forze. La gente appagata non chiede di essere rinchiusa in un monastero. Si è reso conto che normalizzando il mio disagio me ne aveva appena liberato? Non mi sarei calato con una corda, ma avrei ricordato la mia discesa personale. Sono lo Zelig di Cristo. In presenza di chiunque mi trovi, mi adatto come un camaleonte umano. Con i monaci mi suggestiono al punto di farmi crescere un cappuccio dietro la schiena. Cantatemi i vespri in gregoriano e mi inginocchierò; il fervore è contagioso. Tra tre giorni, tornerò all’hotel Grand Amour con la moquette a motivi fallici e ricomincerò ad essere un erotomane. Quando si è privi di spina dorsale, immagino che l’anima vaghi alternativamente tra il cuore e il cazzo. Questa frase potrebbe essere di un Bossuet 2.0.
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La mia casa e la mia auto sono ricoperte di insulti rosa. Il muro bianco della mia residenza basca è stato imbrattato con graffiti che mi definiscono stupratore e bastardo. I vandali hanno dovuto spostare il passeggino del piccolo e scavalcare un delfino blu per insudiciare di vernice acrilica la nostra casa piena di bambini che dormono. Lunghe scie d’odio formano un’opera di action painting alla Pollock sulla mia terrazza, solitamente tranquilla. Certo, ho firmato la petizione “343 bastardi” contro la penalizzazione dei clienti delle prostitute, ma è sempre meglio insultarsi da soli, come Cyrano de Bergerac.
Credo vi siano diverse ragioni per cui la mia casa sia stata attaccata dai terroristi durante la notte, fra cui il mio lavoro: leggere e scrivere. Amo i libri che raccontano nefandezze. Difendo la libertà di espressione, anche per gli autori che non godono di buona reputazione. Non faccio nulla di orribile, ma a volte leggo cose orribili, talvolta raccontate da persone orribili. Moralizzare il mondo può essere cosa auspicabile, sterilizzare la letteratura no. Ancora una volta potrei sbagliarmi, ma non mi pare un buon motivo per violare casa mia. Se credete che la letteratura debba essere scritta solo da santi e che nessun romanzo debba descrivere atti illeciti, vi suggerisco di discuterne con calma, senza versare letame sul mio zerbino o pugnalarmi agli occhi come accaduto a Salman Rushdie nel 2022.
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Una giornalista di Elle ha scritto su Twitter nel gennaio 2020: “Da Moix a Matzneff, fino a Frédéric Beigbeider. Da sei mesi il suo nome compare in tutti i salotti di Saint-Germain-des-Prés. Vogliamo parlarne?”. Molte donne in questo momento desiderano “cancellarmi”, e io le ringrazio, perché sono stanco della mia vita sociale e sarei felice di non poter uscire di casa. Probabilmente la mia famiglia dovrà lasciare la Francia dopo la pubblicazione di questo libro. Ho dovuto fare pubblica ammenda due volte in due anni su France Inter. Per una satira alla radio che avrebbe offeso i conduttori della Matinale. E per aver (forse) riso durante una conversazione privata da Flammarion, vent’anni fa. I miei due mea culpa sono stati la conseguenza di un’ilarità fuori luogo. Mi sento come un intellettuale cinese nel 1966, sotto il potere delle guardie rosse: continuo a chiedere perdono, con un berretto da somaro in testa e un cartello al collo con scritto “rappresentante della borghesia”, ma qualcosa mi dice che verrò sterminato comunque. Ritenendomi un bobo tollerante in una democrazia moderna, non ho preso sul serio i woke. La loro minaccia mi sembrava materiale sufficiente per un dibattito su CNews. Non volevo essere Coleman Silk, l’eroe de La macchia umana di Roth, inseguito dalla folla (il primo “cancellato” della storia della letteratura), ma dal giorno in cui i militanti vengono a farti visita a casa in piena notte, cambi prospettiva e ti rendi faticosamente conto di essere diventato un bersaglio da colpire.
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Si può giocare a fare la vittima per tutta la vita, come Annie Ernaux. È ricca dal 1984, ma ha ripetuto per cinquant’anni di essere una disertrice di classe (anche se essere figlia di droghieri è un destino piuttosto invidiabile: in un negozio di alimentari c’è sempre abbastanza da mangiare).
A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi incontrato Annie Ernaux nel 1984, quando ricevette il premio Renaudot. Cosa avrei visto? Una quarantaquattrenne bionda e sexy della Normandia, arrabbiata, timida ed erudita, socialmente complessa e letterariamente ambiziosa. Avevo vent’anni e mi sarei innamorato subito, anche se ovviamente non eravamo destinati a stare insieme. È sbagliato? Cosa c’è di sbagliato nell’idea di un desiderio costruito su basi errate? Sono talmente condizionato dalla mia eterosessualità da non intravedere il problema. Vedo l’amore eterosessuale come un’occasione, acconsentita da entrambe le parti, in cui la ruvidezza maschile è controbilanciata dall’intelligenza femminile. Nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel, Annie Ernaux ha detto di aver scritto per vendicare la sua razza e il suo sesso. “Vendicare il mio sesso” è ciò che proclama la marchesa di Merteuil ne Le relazioni pericolose. Finché tale vendetta rimane letteraria, va tutto bene. È quando la vendetta della Ernaux si traduce nell’assalto alla mia dimora privata che diventa fascista. […] Annie Ernaux è riuscita a creare un’opera vuota e piatta allo stesso tempo. I fisici si interrogano ancora sulla possibilità di un simile manufatto. Normalmente, quando è cavo, non può essere piatto, e quando è piatto, non può essere cavo. La Ernaux rappresenta un’eccezione unica nella storia della trigonometria. Il modo in cui ha denigrato Houellebecq quando ha ricevuto il Nobel è stato inelegante quanto il gesto del portiere della squadra argentina vincitrice della Coppa del Mondo di calcio, Emiliano Martinez, nei confronti di Kylian Mbappé dopo la vittoria. Non basta che vengano consacrati, devono pure abbattere i perdenti. Perché la gloria non rassicura mai gli impostori: dubitano sempre del proprio valore. Sono afflitti da una lucidità, da un senso di usurpazione che rovina tutti i trionfi quando sono immeritati.
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Bisognerebbe smettere di credere che gli uomini eterosessuali stiano minimizzando l’orrore del femminicidio e dei crimini sessuali. Mi ha molto turbato il fatto che non mi sia stato permesso di partecipare alla manifestazione del 25 novembre 2022 organizzata da alcuni attivisti di Bordeaux. Sul loro volantino c’era scritto: “Manifestazione notturna non mista, no uomini cisgender”. Ho capito allora che ero stato rifiutato, condannato, bandito per la mia stessa esistenza. Perché mi avevano distribuito questo volantino, visto che ero vittima di un’apartheid etero anti-maschile? Ero molto favorevole al loro approccio, ma in quanto uomo cisgender (cioè nato maschio e rimasto maschio), non ero il benvenuto a questa manifestazione. In che modo la mia presenza avrebbe diminuito la forza della loro giusta lotta?
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Vorrei concludere queste confessioni di un eterosessuale con una nota felice. Né l’anestetico colombiano, né la religione cattolica, né la disciplina delle focene sono riuscite a guarirmi dalla mia peggiore dipendenza: il sesso. Sono d’accordo con tutte le femministe più radicali. L’eterosessualità è un orrore. Il desiderio ci tormenta costantemente. Non pensate mai a un uomo che sia cosa altra da un sesso in cerca di piacere, una mano in cerca di un seno, una pelle desiderosa di carezze, una bocca che anela a mordere un collo. L’uomo è una minaccia d’amore. Sarei disposto a dire qualsiasi cosa pur di baciare. Siamo tutti bastardi? No, ma siamo delle bestie, è vero, e soffriamo quanto le donne. Soffriamo per essere stati programmati per desiderare. E ora soffriamo per essere stati deprogrammati. Soffriamo quando desideriamo e soffriamo quando ci impediamo di farlo. E tanto peggio se è vietato scriverlo. L’unico momento in cui un uomo eterosessuale può esprimersi sinceramente con una donna è nei minuti successivi all’eiaculazione.
Ecco cos’è il romanticismo: una licenza poetica per trascendere la nostra frustrazione sessuale. Tutto, decisamente tutto, nella società di oggi, eccita il nostro desiderio fisico: la moda, il lusso, i film, le serie, le riviste, le pubblicità, i crop top, l’assenza di reggiseno, le microgonne, i minishort, i piercing ai capezzoli sotto le canottiere strette… Dobbiamo masturbarci costantemente per non cadere nella follia criminale. L’erezione maschile è un inferno portatile. I racconti autobiografici degli omosessuali mi affascinano per questo motivo. Sono gli unici scrittori che osano descrivere nei minimi dettagli la sazietà sfrenata del desiderio maschile: Tricks di Renaud Camus, Dans ma chambre di Guillaume Dustan, Fou de Vincent di Hervé Guibert, le Journal sexuel d’un garçon d’aujourd’hui, di Arthur Dreyfus. Non sono altro che un susseguirsi di fellatio, backroom, sodomia, eiaculazioni facciali e fist-fucking senza preliminari.
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Sono un omosessuale fallito. Se solo potessi andare a letto con persone che mi capiscono, la mia vita sarebbe molto più facile. Nel mio lavoro ha senso essere gay. Dovrei essere in grado di fare sesso con i ragazzi, ma mi vergogno di non riuscirci. Non ci riesco, nonostante tutti i miei sforzi. Non riesco a superare la binarietà. La mia situazione è ridicola. Essere un uomo che desidera una donna è angosciosamente banale. Sogno di elevarmi al di sopra di questa umile dicotomia biologica. Mi dispero all’idea di continuare a innamorarmi di seni burrosi, fianchi generosi, labbra carnose, capelli ondulati e dita dei piedi curate. Sono una caricatura etero. Su di me funzionano tutti gli stratagemmi più volgari: la vernice lucida, la spallina del reggiseno che sporge oltre la spalla, l’ombelico che si intravede sotto un top troppo corto, il piede arcuato nello stiletto. È patetico. Non sono libero, perché sono eterosessuale. Sono schiavo del mio desiderio all’antica. Mi dà fastidio essere così preistorico. Vorrei rivolgermi ai giovani che, come me, non riescono nemmeno ad andare a letto con gli uomini. Siete in difficoltà ma non siete soli.
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Per incanalare la barbarie maschile, la società ha inventato dei sotterfugi, delle cornici per racchiudere la nostra erotomania. Per evitare che ogni giorno completassimo la lista finale dei Centoventi Giorni di Sodoma, è stato necessario creare religioni, costruire discipline, inventare sedativi. E imprigionare i colpevoli. Uno dei migliori sistemi inventati per controllare la smania degli uomini si chiama matrimonio. Il matrimonio permette di canalizzare questa cavalcata sessuale. L’uomo smette di desiderare in ogni dove: costruisce una famiglia. Ama sua moglie e cresce i suoi figli. È sotto controllo, circondato da tutti i lati e ora monitorato dalla polizia digitale dei social network. Non muove un muscolo. È sereno perché è uscito dal suo inferno mentale. Il satiro selvaggio è diventato un animale domestico. L’altro termine per definire un uomo decostruito è: marito.
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È sorprendente che tanti uomini continuino a prendersi cura dei loro figli quando la legge permette loro di andarsene. Arrivano senza preservativo e poi restano per venti, trenta o quarant’anni di preoccupazioni quotidiane, mentre nessuna legge li obbliga a prendersi cura della loro prole se non dal punto di vista economico. Questi padri amorevoli e presenti avrebbero potuto continuare a eiaculare all’infinito in diverse vagine ma no, hanno scelto di portare carrozzine pieghevoli. Ogni volta che vedo uno di loro rimproverato da una bisbetica in un aeroporto, vorrei andare da sua moglie e dirle: “Tesoro, tieniti stretta la tua felicità, ti rendi conto che avrebbe potuto andarsene e non l’ha fatto?”.
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Fingo di essere uno stronzo sensibile, che si sforza di vestirsi bene e di lavarsi regolarmente con sapone profumato. Sono un uomo barbuto con i testicoli che però pensa di essere ben dissimile da un gorilla. Rivendico l’eleganza della condizione maschile, che non è né superiore né inferiore a quella femminile. Semplicemente uguale, e come tale degna di rispetto e amore. Odio gli uomini che disprezzano le donne; peraltro, non hanno l’ombra di un successo con loro. Ma odio altrettanto le donne che disprezzano gli uomini. […] Il femminismo avrà vinto solo quando le donne ci proveranno con gli uomini. È il caso della Svezia e del Quebec. Gruppi di ragazze escono insieme per scopare con i ragazzi. Si avvicinano ai maschi e offrono loro da bere. Fissano le natiche e le cerniere degli uomini come fonti di desiderio, con il loro fare femminile. Non ho ancora visto una sola donna francese compiere questo miracoloso atto di liberazione finale. La vera ed equilibrata eterosessualità germiglierà il giorno in cui una donna fischierà a un uomo per strada. Per il momento, quando sono solo in un bar parigino, vedo altri ragazzi single che si ubriacano in branco e gruppi di donne in compagnia di donne.
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Vorrei raccontare qui la sconfitta dei vincitori. Poiché sono maschio, bianco e nato borghese negli anni Sessanta, sono cresciuto nel campo dei dominanti. Ma non ne ho tratto beneficio. A sette anni sono stato picchiato da un prete della mia scuola. A dieci sono stato bersaglio di un esibizionista al Bois de Boulogne. Nel 1979, al sesto piano di rue de La Planche, un pedofilo mi ha molestato. A tredici anni ero molto carino, come dimostrano gli archivi audiovisivi. Credo di poter dire di essere stato il Tadzio del VII arrondissement. Fortuna non aver incrociato Matzneff all’epoca. Ho raccontato tutto nel 2009 in Un roman français. Siamo tutti vittime di qualcosa. Il 100% degli esseri umani ha un dossier nel proprio passato. Tutte le donne sono state sedotte, drogate, molestate, abusate o peggio. Ma anche gli uomini. Perché dovremmo essere risparmiati? […] Ecco perché non minimizzo mai la sofferenza delle donne. Perché molti uomini vivono la stessa esperienza.
Quanto al patriarcato… questa parola mi ha sempre fatto sorridere. Quale patriarcato? La mia generazione non sa cosa sia. I padri se ne sono tutti andati da casa. Non ci sono stati padri non divorziati negli anni Settanta. Dov’è il famoso patriarcato di cui le femministe continuano a parlarmi? Sono stato cresciuto da una madre single che lavorava per sfamare i suoi due figli. Non ho altri modelli di famiglia se non quello di una donna sola, e mi dicono che il patriarcato deve essere superato?
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Si dice che Dorothy Parker al funerale di Scott Fitzgerald abbia mormorato: “Povero figlio di puttana, povero figlio di puttana, povero figlio di puttana…”. Noi etero siamo dei poveri figli di puttana. Mi sento un povero figlio di puttana quando vengo definito un maschilista tossico, quando il mio unico impegno maschilista è stato quello di fare una campagna per un congedo di paternità più lungo, in modo che i padri possano aiutare le madri a prendersi cura del bambino per più di undici giorni. Una vittoria dopo una petizione, lanciata dalla rivista Causette nel 2017, per la quale nessuno si è mai congratulato con me. Dal luglio 2021, il congedo di paternità dura venticinque giorni. Sto ancora aspettando il graffito di gratitudine sulla mia finestra. Scott Fitzgerald è morto a quarantaquattro anni, la stessa età in cui sono morto io per overdose nel 2009, la notte del mio Renaudot, rinvenuto da emiplegico nei bagni dell’Hotel Lutetia. Non so perché Dio mi abbia rimandato sulla terra quella notte. Perché nessun biografo cita la cocaina come responsabile della morte di Fitzgerald? Arresto cardiaco a quarantaquattro anni? Pronto? E Boris Vian, morto a trentanove anni? Neanche questo? Chiedo una controinchiesta sulla coca nella vita degli scrittori dagli anni Trenta ai Cinquanta.
La citazione di Dorothy Parker era di Gatsby il Magnifico. “Povero figlio di puttana” è ciò che pronuncia l’uomo dagli occhi di gufo alla fine del romanzo. Nella Pléiade, la traduzione è annacquata: l’uomo dice “Povero diavolo”. Quindi, se volete, noi etero siamo dei poveri diavoli, con la coda tra le gambe, che implorano clemenza da una giuria di lesbiche eterofobe.
*La cura del testo e la traduzione sono di Fabrizia Sabbatini