08 Febbraio 2020

“Essere artista vuol dire tornare bambina, donarsi ai desideri serpeggianti, alle questioni irrisolte…”: Beatrice Orsini dialoga con Matteo Fais

Qui a Pangea ci piace non solo spaziare, ma anche riservare una costante e duratura attenzione a certi autori. In particolare per quel che concerne alcuni di questi, di cui a ragione possiamo vantarci di aver riconosciuto anzitempo tutto il loro valore e di averli visti crescere insieme a noi. È il caso, per esempio, di Beatrice Orsini. Dacché ne abbiamo notato le incontestabili abilità di poetessa, disperse lì su Facebook in mezzo alla mediocrità dilagante, non l’abbiamo più abbandonata, anche adesso che la sua strada artistica ha imboccato inoltre la via della fotografia. Siamo quindi felici che, dopo la pubblicazione della sua prima silloge poetica, Anche l’acqua ha sete (Controluna Edizioni), arrivi sul mercato editoriale una raccolta di immagini da lei scattate Res. I corpi. Le cose. L’uscita dell’opera sarà peraltro accompagnata da una mostra intitolata Corpi spaiati, che verrà inaugurata sabato 8 Febbraio, a Oreno di Vimercate (MB) (vedi locandina). Per quel che ci riguarda, ha la nostra benedizione.

Da Facebook, alle mostre, arrivando addirittura alla pubblicazione di un libro fotografico. Il tutto, peraltro, a passi da gigante – come per la poesia, del resto. Hai anche deciso cosa vuoi fare da grande, oppure è proprio questa la strada, muoversi su più fronti inseguendo qualcosa che sempre sfugge?

Proprio nella misura in cui le cose sfuggono si può continuare a inseguirle, altrimenti non ci rimarrebbe che fermarci e smettere di desiderare. Ma potrei anche risponderti che i percorsi che sto seguendo sono gli stessi che vagheggiavo da bambina e che poi, da “brava e giudiziosa” qual ero, ho ignorato, per intraprendere strade più accettabili e consone alle aspettative di chi mi circondava. Dunque, divenire “grande”, ammesso lo si diventi mai, equivale per me a tornare bambina, ai desideri serpeggianti e alle questioni lasciate irrisolte e ricominciare nuovamente il viaggio, sapendo già in anticipo che non vi sarà una meta predefinita cui tendere.

La mostra si intitola Corpi spaiati, il catalogo Res. I corpi. Le cose. La domanda sorge spontanea: cosa hanno il corpo e le cose di così problematico da catalizzare totalmente la tua sensibilità fotografica e artistica in primis?

Se, dal Novecento in poi, l’identità per l’essere umano si apre al molteplice e come tale non si presenta mai né unitaria né indivisa, altrettanto accade al corpo, le cui coordinate immaginarie, simboliche e reali, vanno, di volta in volta, interrogate e inventate. Il soggetto non è intero, non è integro. Il corpo, per quanto contenuto dentro una forma, patisce della stessa sorte, apparendo, pur nella sua individualità, paradossalmente spaiato e incompiuto, fino ad incarnare lo scarto, il resto, il niente. Per questo motivo non si discosta dalle cose collocate sulla scena fotografica, ma il suo farsi oggetto non deve essere inteso in chiave denigratoria, di corpo fatto oggetto per il godimento dell’altro, quanto nel senso del suo essere gettato, insieme al soggetto che lo indossa e rispetto al quale ne è espropriato, nel mondo dei significanti. Ecco che allora si creano condizioni, surreali e oniriche, aperte allo scambio e aspiranti al dialogo tra corpi (uso il plurale per intendere, non la presenza contemporanea di più corpi, ma la mancanza di una precisa identità del corpo in quanto tale) e oggetti presenti sullo scenario allestito, che, al pari del corpo, sono altrettanto disincarnati e disancorati.

Vedendo le tue foto ho, direi, la sicurezza che tu, nel mostrare il tuo corpo nudo, non abbia la minima volontà di eccitare. Addirittura, ho il sospetto che voglia nascondere qualcosa dietro certi particolari che vengono esplicitati. Di che si tratta?

Fotografandomi accade qualcosa di singolare, percepibile non solo al mio sguardo, ma anche a quello di altri osservatori: il corpo si offre a una plasticità di trasformazioni, apparendo sempre diverso, differente, fino ad assumere sembianze, ora palesemente femminili, altre decisamente maschili. Questo fenomeno dimostra, una volta di più, l’impossibilità di coincidere con un’immagine univoca e con un’immagine chiaramente sessualizzata. La nudità non persegue lo scopo di eccitare, ti do ragione, piuttosto si riallaccia alla ricerca di una necessaria condizione di primitività e primordialità, dove l’erotismo non viene evocato dalla posa ammiccante e seduttiva ma, eventualmente, viene sollecitato nel suo aspetto più tortuoso, tormentato e sfilacciato.

So che stai lavorando a dei progetti ancora a più ampio raggio – voglio dire oltre la poesia e la fotografia. Cosa dobbiamo aspettarci? Anticipaci qualcosa.
Fino a pochi anni fa mai avrei pensato di cimentarmi con la scrittura e, una volta sperimentata questa strada, mai avrei pensato di avviarmi alla fotografia. Ma, nello stesso tempo, le cose non avvengono per caso e, come ti dicevo poco fa, certi percorsi si preparano e sedimentano in tempi non sospetti e in modo non visibile. Perché dico questo? Quando tu mi intervistasti un anno fa, in occasione della mia prima mostra fotografica, ricordo di aver definito la mia fotografia alla stregua di un atto performativo. La centratura sul corpo, in un rapporto di tensione con sé stesso e di tensione dialettica con gli oggetti, conteneva già, seppur non dichiarata, l’evoluzione successiva, cui mi sto, per l’appunto, apprestando: ossia l’ambito della performance, in cui il mezzo espressivo è il corpo in presa diretta e in azione, non più mediato da altri strumenti. Su ulteriori progetti in cantiere tengo un po’ di riserbo, perché sono ancora in fase di elaborazione, ma spero di potertene parlare a breve. Infine, collaboro da alcuni mesi con il fotografo romano Fabio Salvi, con cui abbiamo dato vita ad alcuni progetti fotografici e videofotografici (uno dei quali verrà presentato alla mostra Corpi spaiati) che intendono intrecciare e intersecare diversi linguaggi e mezzi artistici.  Quindi, volendo riassumere e tornando alla tua domanda iniziale, credo che da grande vorrò essere un po’ più bambina.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG