Grands bois, vous m’effrayez comme des cathédrales;
Vous hurlez comme l’orgue; et dans nos coeurs maudits,
Chambres d’éternel deuil où vibrent de vieux rȃles,
Répondent les échos de vos De profundis.
Je te hais, Océan! tes bonds et tes tumultes,
Mon esprit les retrouve en lui; ce rire amer
De l’homme vaincu, plein de sanglots et d’insultes,
Je l’entends dans le rire énorme de la mer.
Comme tu me plairais, ô nuit! sans ces étoiles
Dont la lumière parle un langage connu!
Car je cherche le vide, et le noir, et le nu!
Mais les ténèbres sont elles-mêmes des toiles
Où vivent, jaillissant de mon oeil par milliers,
Des êtres disparus aux regards familiers.
*
Ossessione
Fitti boschi, m’impaurite come delle cattedrali;
come l’organo ululate; e nei nostri cuori tormentati,
stanze d’eterno dolore dove tremano gli ultimi respiri,
s’insidiano le rispondenze dei vostri De profundis.
Io ti odio, Oceano! le tue somiglianze e rivolte,
il mio spirito le ritrova in sé; questo riso amaro
dell’uomo battuto, ebbro d’insulti e singhiozzi,
lo avverto nel ghigno delle tue acque.
Ti amerei, o notte! senza queste stelle
la cui luce sussurra una lingua conosciuta!
Perché cerco il vuoto, e il buio, e il niente!
Ma le tenebre sono anch’esse delle tele
dove vivono a migliaia, zampillando dal mio occhio,
degli esseri svaniti agli sguardi familiari.
***
Che cos’è, per Baudelaire, l’ossessione? Una poesia grazie alla quale poter tentare di dare una risposta. L’ossessione è la foresta d’alberi fitta che fa tremare l’uomo, come quando si trova smarrito e pieno di stupore davanti alla potenza e alla forza di una cattedrale. L’uomo, come quando (e soprattutto) è bambino, teme il bosco poiché pieno di pericoli e suoni stranieri e ululati. Eppure sa che deve affrontarlo. L’ossessione è la tremenda paura della morte, il solo nominarla, accompagnarla, attraversarla appunto nel buio dei boschi. Ma per Baudelaire l’ossessione è anche l’oceano da odiare, in quanto molto simile alle inquietudini e alle rivolte del suo spirito umano. Egli si riconosce, quando è vinto, nella somiglianza di un riso aspro e abbattuto, lasciato solo agli insulti ed ai singulti, che si riflette nel ghigno beffardo e giocoso delle acque oceaniche. Nella sua ossessione, il poeta amerebbe persino la notte, se non ci fossero quelle stelle a ricamare luci dai linguaggi conosciuti. Giacché egli brama il nulla, il buio totale. Ma sa, infine, che ciò non s’avvererà, perché persino le tenebre non sono altro che quadri nei quali guizzano, forse all’infinito, dal suo occhio, i ricordi di fantasmi ormai scomparsi per sempre.