“Alla letale volgarità del mondo, al suo reale fetore”. Una lettera
Politica culturale
Tra le rare figure in cui la legge si mesce al verbo, l’arte del buon governo si coagula con quella dell’ascesi spirituale: Basava – o Basavanna –, nato nel 1131 in Karnataka, nell’India meridionale, è riconosciuto tra i grandi riformatori e i poeti più importanti di quel lato di mondo. Di famiglia braminica, approfondì per dodici anni la pratica dello shivaismo, innovandola. Divenuto primo ministro del regno, governò insieme agli eremiti: in vaste assemblee pubbliche i problemi sociali ed economici venivano trattati insieme a quelli spirituali. Le leggende dicono della generosità di Basava, della sua integrità morale, dell’assenza di integralismo religioso. Adorava Shiva, “l’asceta erotico”, improntando, però, la sua filosofia all’ascesi personale rispetto al culto tradizionale, a suo dire corrotto; ai riti amministrati dai bramini preferiva la ricerca solatia, la comunione solitaria con il dio, che si esprimeva in inni. In questo modo, il culto di Shiva, lungi dall’essere primizia di uno stretto gruppo di aristocratici, si diffuse nei meandri di ogni casta.
Basava non era un mero interprete dei testi, ma un creatore: la poesia improntava i criteri del suo governo. Per questo, i suoi testi sono fitti di osservazioni quotidiane, minime frugali: in ogni frammento del mondo si rispecchia la volontà – più o meno obliqua – del dio. Rispetto ai grandi imperatori-scrittori – Marco Aurelio, ad esempio – Basava non usa la poesia come diletto, alta distrazione filosofica: è formulario che informa i suoi atti, parola su cui calcare un’etica, moria della morale comune. Come Marco Aurelio, però, anche in Basava è chiaro il criterio dell’addestramento: elevarsi dalle storture di questo mondo, sprigionarsi spezzando le catene. Chi governa il mondo, in fondo, lo disprezza: governa per distruggerlo. Difficile cifra coniugare il governo di sé con quello degli altri, calarsi in un marziale equilibrio. Eraclito – per dire di altra area culturale – rifiutò di piagare il proprio verbo per consegnare la costituzione agli abitanti di Efeso: lo credeva un ripiego dalla propria solenne e selvaggia ricerca. Solone, a contrario, fu poeta e arconte. Affascina il sibillino legame – a sobillare i vocaboli – tra la parola che deve asserire e quella che preferisce sussurrare.
Ad ogni modo: Basava morì nel 1196 – sul suo corpo fiorì una perenne primavera di agiografie. Si esprimeva in kannada, la lingua dravidica parlata in quella parte dell’India. Le sue poesie, dalla bellezza frugale, semplici e spiazzanti, tigri di corallo intorno al collo, sono state tradotte nel 1973 da A. K. Ramanujan in un testo a suo modo centrale, e costantemente ristampato da Penguin, Speaking of Siva. Nato a Mysore nel 1929, da un genio della matematica – A. A. Krishnaswami Ayyangar –, Ramanujan, cresciuto nell’allora British India, ha insegnato linguistica all’università di Chicago, città dove è morto, trent’anni fa. Ha alternato la traduzione di diversi testi classici indiani a una personale ricerca lirica: nel 1966 esordisce con The Striders, nel 1997 pubblica, per la Oxford University Press, i Collected Poems. Con queste parole spiega la particolarità della poesia di Basava, le Vacanas:
“Le Vacanas sono letteratura, ma non meri oggetti letterari. Sono letteratura loro malgrado: disprezzano l’artificio, l’ornamento, la sapienza, il privilegio; sono letteratura religiosa perché la forma in cui si presentano è letteraria; grandi voci di un profondo movimento di protesta e riforma della società induista; testimonianza di lotta e di estasi di straordinari uomini mistici. Le Vacanas sono la nostra letteratura sapienziale. Sono chiamate da alcuni studiosi ‘Vacanas Upanishad’; alcuni percepiscono in questi testi i toni dei profeti dell’Antico Testamento, o del taoista Chuang-Tzu. Le Vacanas sono i nostri salmi e i nostri inni. Per alcuni, sono una versione dell’alto lignaggio della Filosofia Perenne – rischieremmo però di minimizzarne così la particolarità”.
Le poesie di Basava sono piene di serpi: il mondo è un pitone che ci avvolge nelle sue spire; il cobra ci incanta, ma il sapiente sa trarre dal veleno la cifra dell’antidoto. A volte, occorre pregare il dio che ci renda storpi, inabili ad andare in luoghi dove lui non è, a fuggirne l’odore, periglioso, la tratta, la grande caccia.
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I detti di Basava
Guarda: il mondo monta
in onde, sbatte sul mio viso.
Perché dovrebbe risalire al cuore
dimmi;
dimmi: perché
desidera decollarmi?
Signore
non posso parlare:
sei troppo in alto
signore
ascolta
il grido
signore dei fiumi che si intrecciano
ascolta
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Ogni giorno aggiungo
un alluce alla luce
come fa la luna.
Ma il mondo è un pitone:
il re delle serpi mi divora.
Oggi il mio corpo
compie l’eclissi.
Quando riuscirà
a realizzarsi, Signore
dei fiumi che si intrecciano?
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Padre: poiché ero ignorante
mi hai conficcato nel grembo di una madre
mi hai trascinato tra mondi improbabili.
Era sbagliato che nascessi
o Signore?
Perdonami se sono nato.
Mi lego a questo voto
Signore dei fiumi che si intrecciano:
non tornerò più in questa dimora.
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Come una scimmia sull’albero
vaga di ramo in ramo:
come potrei confidare
in questo mondo che brucia
in questo cuore in fiamme?
Non abbandonarmi
Padre mio, mio Signore
dei fiumi che si intrecciano.
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Come nove segugi
scatenati su una lepre
urlano i desideri
del corpo:
vieni!
vieni!
vieni!
allo stesso modo urlano
le lussurie della mente:
o Signore dei fiumi che si intrecciano
il mio cuore ti raggiungerà
prima di diventare preda
delle sensuali concubine
che toccano per corrompere?
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Sono un bue caduto nel pantano:
muovo la bocca ma nessuno
mi cerca, nessuno mi trova:
soltanto il mio Signore
saprà sollevare la bestia per le corna.
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Fammi storpio, padre:
che non possa andare qua e là.
Accecami, padre,
che non possa guardare questo e quello.
Rendimi sordo, padre
che non possa ascoltare nulla.
Legami ai tuoi piedi
non voglio cercare altro.
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Shiva, non hai pietà
Shiva, non hai cuore:
perché mi hai esiliato dall’altro
mondo, gettandomi su questa
miserabile terra?
Dimmi, o Signore,
non hai un piccolo
albero, una pianta appena
fatta apposta per me?
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Come una madre corre
presso il figlio che tiene
una mano sul cobra
o sul fuoco – così
il Signore dei fiumi che si intrecciano
resta sempre con me
ha cura di ogni mio passo.
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Il padrone di casa è assente?
Erbacce sulla soglia, sporco nelle stanze.
Il padrone di casa è assente?
Menzogne nel corpo
lussuria nel cuore:
no, il padrone di casa non c’è
il Signore dei fiumi che si intrecciano
è assente.
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Non conta quanto la pietra
resti sommersa nelle acque:
non diventerà mai morbida.
Non importa quanto il mio moribondo
cuore trascorra il tempo in adorazione:
inutile come uno spettro
vigilo sull’oro nascosto:
il tesoro del Signore
dei fiumi che si intrecciano.
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Un incantatore di serpenti e la moglie senza naso
camminano con attenzione con un cobra in mano:
cercano di interpretare i presagi
perché il figlio si sposa:
quando incontrano una donna senza nome
con il marito, incantatore di serpenti,
gridano: “Questo è un segno diabolico!’
La donna non ha naso
tiene il serpente in pugno.
Cosa possiamo dire
di questo cumulo di sciocchi?
Non conoscono se stessi
ma si occupano di guardare gli altri.
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I mulini ad acqua scuotono la testa:
è forse il segno della loro devozione?
Gli attrezzi si possono afferrare:
sono gli umili servi del Signore?
I pappagalli parlano:
possono carpire i pensieri del Potente?
Con possono gli schiavi del dio ineffabile,
il Desiderio,
conoscere la via dell’Uomo di Dio
la postura del suo addestramento?
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L’agnello sacrificale divora
le foglie che lo decorano:
non sa nulla dell’assassinio
né del rito, vuole soltanto
riempirsi la pancia:
nasce e muore lo stesso giorno.
Ma dimmi, Signore dei fiumi
che si intrecciano: sopravviveranno
quei macellai?
**
Anche se li morde
una serpe
riescono a parlare;
anche se li colpisce
un malvagio meteorite
continuano a parlare:
soltanto la ricchezza
li ammutolisce. Eppure
quando Povertà il Potente
entrerà in casa
saranno rapidi a prostrarsi.
**
Se il ricco
costruisce templi per Shiva
cosa farà un povero?
Le mie gambe sono i pilastri
del tempio, il corpo il sacrario
il cranio la cupola d’oro.
Signore dei fiumi che si intrecciano:
ciò che è immobile cadrà
ciò che si muove danzerà a te per sempre.
**
Indossa soltanto una
delle tue ottantaquattro mila facce
e mettimi alla prova.
Se non vuoi, snocciolerò
al cospetto degli anziani
il rosario dei tuoi nomi.
Indossa almeno una faccia
Signore dei fiumi che si intrecciano
e ne saggerò ogni dettaglio.