“Il dribbling è un peccato carnale”. Carmelo Bene su calcio & boxe
Cultura generale
Carmelo Bene
Con Marlene Dietrich, l’“angelo azzurro”, fu solo un amore platonico. Si erano conosciuti a Parigi negli anni Cinquanta. Lei cantava al Théâtre de l’Étoile, lui, Raf Vallone, recitava al Théâtre Antoine in Uno sguardo dal ponte, il dramma di Arthur Miller che l’11 maggio 1958 era andato in scena con la regia di Peter Brook riscuotendo un successo straordinario, tanto da restare in cartellone per due anni di fila. «Ciò che di Raf Vallone mi colpì subito furono la sua eccezionale intelligenza, la sua discrezione, la sua mancanza di vanità», racconterà la diva tedesca a Costanzo Costantini, prima di aggiungere: «Mi disse delle cose lampeggianti. Aveva capito perfettamente com’ero sulla scena. Nessun altro lo aveva capito così lucidamente quanto lui».
Tutta Parigi era innamorata del bel italien. Raf, il ragazzo di Tropea che si era laureato in giurisprudenza e filosofia a Torino sotto la guida di professori come Luigi Einaudi e Leone Ginzburg, era in quel momento la massima vedette del mondo del teatro parigino. Pochi altri spettacoli erano rimasti così a lungo à l’affiche come Uno sguardo dal ponte, che ogni sera registrava il tutto esaurito. «Per di più aveva accettato la sfida di recitare in francese e l’aveva vinta», dirà la Dietrich. Era stata lei a tentare di sedurlo. «Avevo visto le sue foto sui giornali e avevo letto ciò che si diceva di lui come attore. Sapevo che abitava al Raphael e così presi una suite nello stesso albergo. Grazie alle informazioni che mi davano il portiere e il cameriere del piano, facevo in modo di incontrarlo presso gli ascensori, nella hall, all’uscita. Ma non ci fu nulla da fare. Si schermiva, si mostrava indaffarato, trovava ogni pretesto per sfuggirmi. La sola cosa che ottenni fu un mazzo di rose rosse», ricorderà l’attrice. Nel ruolo di Lola-Lola, la cantante di varietà che in calze e giarrettiere fa perdere la testa al professor Rath in Der blaue Engel, si era affermata come una delle prime femme fatale della storia del cinema. Ma da parte di Raf, l’attrazione era solo intellettuale. «Anche se le apparenze potevano far pensare chissà che (lei veniva sempre nella mia stanza al Rapahel, cucinava per me la sua specialità, il rognone, e insieme andavamo a guardare la luna), la nostra fu solo amicizia. Ahimè, non l’ho mai trovata sexy», dichiarerà l’attore in un’intervista al «Corriere della Sera».
Con un’altra donna, invece, non riuscì a resistere più di nove repliche: Brigitte Bardot. I loro corpi si avvicinarono in una sera in cui pioveva a dirotto. Raf, dopo lo spettacolo, uscì da una porta secondaria del teatro e vide BB sotto l’ombrello con i capelli sciolti. Lei si avvicinò per coprirlo dalla pioggia e la passione divampò. «Per lei persi la testa. Ma la prima “avance” fu sua. Per dieci sere venne a vedermi nello “Sguardo dal ponte”. Sempre seduta sulla stessa poltrona, in prima fila. Per nove volte mi barricai in camerino. Quella donna mi faceva molta paura, mi scombussolava. La decima sera cedetti. E fu splendido. Ci incontrammo molte volte in un vecchio convento trasformato in albergo a una trentina di chilometri da Parigi. La sua magia erotica era paragonabile soltanto a quella di Marilyn Monroe», affermerà l’attore.
Fervente antifascista, Raf Vallone era diventato capo della redazione Cultura dell’«Unità» poco più che ventenne, rifiutandosi di iscriversi al Pci in ragione del suo odio verso Stalin. Con la maglia del Torino aveva vinto una Coppa Italia, perché oltre a scrivere divinamente sapeva anche calciare un pallone come si deve. E quando i nazisti lo arrestarono da partigiano delle brigate di Giustizia e Libertà, non ci mise molto a liberarsi: gettandosi vestito nel lago di Como con le SS che sparavano dalla riva. Era anche un eroe di guerra, insomma, uno che lottò fino alla fine e con ogni mezzo per le sue idee. Raf ne aveva viste di ogni nei suoi primi quarant’anni di vita, ma dinanzi a BB rimase profondamente turbato. Come l’americano Gary Cooper che mentre guardava Et Dieu… créa la femme aveva avuto voglia di mettersi un sacco in testa, tanto era imbarazzato per gli inconfessabili desideri erotici suscitati dalla protagonista.
Che anni erano quelli in cui si incontrarono Raf e Brigitte? «Anni luminosi», dirà l’attore italiano. Nella Parigi dei Cinquanta i «grandi incontri professionali, artistici, umani» erano all’ordine del giorno. «Con Carné per Thérèse Raquin, con Peter Brook per Uno sguardo dal ponte, 580 rappresentazioni al Théâtre Antoine. E intanto, in un’altra sala, c’era Antigone di Cocteau, scene di Picasso, costumi di Chanel, musiche di Honegger. Ai caffè s’incontravano Sartre e Beckett. Una volta avevo appuntamento da Maxim’s con Camus. Arrivai per primo. Poco dopo vidi i camerieri precipitarsi all’ingresso. Pensai: è lui. Invece entrò Rothschild. Passarono pochi minuti, stessa scena, ma con il maître in testa. Era Camus. Un poeta meritava maggiori onori di un banchiere», racconterà Vallone. La tragica storia di Eddie Carbone, l’emigrato italiano che lavora al porto di New York e vive a Brooklyn con la moglie e la nipote diciottenne di cui è morbosamente geloso, verrà adattata al cinema nel 1962 da Sidney Lumet. Per l’interpretazione da manuale, Raf Vallone conquisterà il prestigioso David di Donatello come miglior attore protagonista. Quattro anni prima, però, aveva conquistato qualcosa di ancora più ambito: il cuore di BB.
Fu grazie all’amica e produttrice Christine Gouze-Rénal che Brigitte conobbe l’italiano di cui tutte le parigine parlavano con grande trasporto emotivo. «Christine mi portò al Théâtre Antoine a vedere Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller dove recitava Raf Vallone. Mi obbligò ad andare a congratulare gli attori dopo lo spettacolo e mi costrinse ad accettare l’invito a cena che ci proponeva Raf. Non ero mai sicura di me stessa e di niente, ma quella sera ero certa di avere una possibilità col Signor Vallone. Ero molto lusingata nel vedere che non mi toglieva gli occhi di dosso, e anche io ero molto attratta dall’intelligenza e dall’erudizione di quell’uomo, la cui bellezza era la qualità più conosciuta dal pubblico. Lui e Christine parlavano di letteratura, di teatro, di musica. Io li ascoltavo cercando di imparare qualcosa attraverso di loro. Erano rare le conversazioni che mi appassionavano. Di solito tutto girava attorno al cibo, al male ai piedi, all’aumento dei prezzi, all’ultima moda, a chi era andato a letto con chi – tutte cose che mi annoiavano a morte. Christine e Raf, invece, mi fecero passare una serata meravigliosa», ricorderà la Bardot nelle sue memorie.
Con la scusa di farle leggere il canovaccio di una pièce teatrale che, guarda un po’, sembrava scritta “su misura” per lei, Vallone riuscì a strappare un appuntamento per il giorno dopo. «Dopo tutto perché dire di no, ero libera, single, e potevo disporre del mio tempo come volevo. […] Un giorno ho detto che ‘quando non sono innamorata, divento brutta!’. È assolutamente vero. Quando la mia vita è scialba, piatta e senza sale, comincio ad assomigliarle. È sempre il fatto di amare o di essere amata che mi ha dato la grinta, la forza necessaria per tirar fuori ciò che c’era di bello, di buono o di eccezionale dentro di me. Senza l’amore mi sgonfio come un palloncino e divento un parassita. Quell’incontro provvidenziale con Raf non poteva capitare in un momento migliore!», racconterà la Bardot. L’unico problema era trovare un abito elegante perché Raf «era italiano e gli italiani sono molto sensibili alla bellezza, al lusso, all’eleganza!». Nell’armadio di casa non trovò nulla di adeguato per una cena a lume di candela con la star del Théâtre Antoine. Chiese dunque aiuto a Christine, che era anche la sua consulente di moda. Quest’ultima la portò di corsa nella celebre boutique Marie Martine, dove trovò un tubino dorato con spacco sulla gamba che le andava a meraviglia. Ora sì che era pronta per Raf, che l’aveva invitata in un raffinato ristorante russo frequentato da Ava Gardner e Frank Sinatra quando erano di passaggio a Parigi: Le Monseigneur. «Scoprii incantata il lusso dell’antica Russia. Bevevamo lo champagne in dei bicchieri di vermeil. C’era il caviale, c’era il salmone, c’erano i blinis, c’erano i candelabri in argento massiccio, c’erano le posate d’oro, c’erano i singhiozzi dei violini…c’erano gli occhi di Raf! Occhi blu, profondi, quasi inquisitori che scandagliavano il mio animo attraverso il corpo», dirà la Bardot.
Si sentiva di fronte a un uomo che aveva l’aria di amare il suo cuore, la sua spontaneità, la sua ingenuità prima che il suo aspetto estetico, un uomo che faceva l’amore con la profondità di uno sguardo: «Credo si sia accorto del mio abito solo quando me lo sono tolto!». Ogni sera, dopo aver lasciato al Théâtre Antoine le vesti di Eddie Carbone, l’attore italiano correva da Brigitte. La portava a mangiare nei migliori ristoranti russi di Parigi, le faceva scoprire le grandi opere della letteratura e tra un bacio e l’altro ascoltavano Vivaldi. Nella sua autobiografia, BB scriverà che Raf le aveva insegnato «moltissime cose, compreso il silenzio»: «Una notte, mentre stavamo ascoltando per l’ennesima volta Le quattro stagioni di Vivaldi, il telefono ha rotto il silenzio che questa musica meravigliosa esigeva! Visto che non rispondevo, andò lui ad alzare la cornetta…All’altro capo del telefono c’era Gil! La conversazione fu breve: “No, non sono Brige! – Non credo abbia voglia di parlare con lei! – Buona serata”». Gil era Gilbert Bécaud, che dopo aver sentito la voce di Raf Vallone non richiamò mai più.
Il giorno della partenza in terra andalusa per le riprese di Femmina di Julien Duvivier giunse inesorabile. E per la Bardot non fu un giorno felice: «Ho dovuto abbandonare Raf, Vivaldi e la Russia parigina per Siviglia, Femmina e il flamenco! Non sopporto mai lasciare qualcosa che conosco per qualcosa di sconosciuto. Stavo bene con Raf, avevo fiducia in me stessa, mi sentivo realizzata». La loro storia rimase segreta per parecchio tempo, i rotocalchi erano ancora fermi alla storia con Bécaud, e alcuni vaneggiavano su un ritorno di fiamma con Jean-Louis Trintignant. «C’erano alcune foto rubate qua e là all’uscita di un ristorante con Raf, ma i nostri rapporti pubblici passavano ancora come puramente professionali. Dovevamo preparare in segreto un film! La mia partenza per Siviglia troncò sul nascere qualsiasi nuovo scandalo d’alcova!», affermerà la Bardot. In realtà, a troncare lo scandalo fu una certa Oriana Fallaci, all’epoca già firma di punta dell’«Europeo». Un paparazzo ben appostato aveva scattato centinaia di foto che ritraevano Raf a bordo della sua cabriolet bianca con accanto BB. E i negativi, da Parigi, erano finiti nella redazione dell’«Europeo». Per il settimanale milanese, sarebbe stato uno scoop mondiale, ma come rivelerà lo stesso Vallone le foto «non furono mai pubblicate per l’intervento perentorio di Oriana Fallaci. Per la sua affettuosa solidarietà femminile nei riguardi di mia moglie Elena».
La scrittrice fiorentina era coinvolta anche nel film “segreto” che Raf e BB stavano preparando. «Con la Bardot dovevo andare a Vienna per girare gli esterni di un film da me diretto, che avevo scritto ispirato da un racconto della Fallaci sulla rivolta ungherese contro i carri armati sovietici, che avevano invaso Budapest nel 1956. Lei, grafomane, mi mandava all’Hotel Raphael dei bigliettini a forma di margherita, dove su ogni petalo erano scritte un’infinità di parole d’amore. Elena, mia moglie, casualmente li trovò, e quando tornai in camera la trovai seduta su una poltrona che singhiozzava lentamente. Ebbe la forza di dirmi bisbigliando: “Perché non mi hai detto nulla?”. Sentii il suo dolore profondo dominato da quell’abituale, superiore controllo e decisi di annullare tutto. Nulla era per me più importante delle lacrime silenziose di Elena. Telefonai immediatamente alla Bardot per informarla che non sarei andato con lei e che del film non se ne sarebbe fatto nulla. Fu la fine di un sogno, ma anche la rinascita di un amore».
In realtà, Vallone e la Bardot si ritroveranno ancora una volta nella primavera del 1963, quando l’attrice francese era in Italia per le riprese de Il disprezzo. Passarono una serata assieme a Sperlonga, il buen retiro di Raf, località di cui si era innamorato dopo aver girato Non c’è pace tra gli ulivi di Giuseppe De Santis. Lì, a centotrenta chilometri da Roma, si era costruito una villa dove trascorreva le vacanze estive con la famiglia e dove ospitava i suoi amici illustri: Curzio Malaparte, Arthur Miller, Peter Brook, Olivia de Havilland. Aveva conosciuto Elena Varzi sul set de Il cammino della speranza di Pietro Germi. Ebbero tre figli e rimasero assieme tutta la vita. Il ragazzo di Tropea cadde in tentazione solo con BB.
Mauro Zanon
*Per gentile concessione pubblichiamo parte del capitolo “Di poeti e di amanti” tratto dal libro di Mauro Zanon, “Brigitte Bardot. Un’estate italiana”, Gog, 2020