Non so fare altro che consumarmi. Leggere Emmy Hennings
Letterature
Stefanie Golisch
Il romanzo Crash di James Graham Ballard è stato fonte di eterne controversie fin dalla pubblicazione, nel 1973. Tratta di un gruppo di maniaci che prova eccitazione sessuale per gli incidenti d’auto e cerca il massimo piacere nella messa in scena di articolati tamponamenti a catena nelle sinistre strade della zona ovest di Londra. Il narratore, James Ballard, è affascinato dal teppista intellettuale del gruppo, Vaughan, che sposa una nuova filosofia per autodefinirsi, un’estatica combinazione di psicologia moderna con l’ambito tecnologico e artificiale delle automobili e del sistema autostradale. Non esiste più una sessualità “naturale”, solo queste circostanze perverse, l’umano inserito nel sistema cibernetico, che promette di trasportarci in nuovi stati dell’essere. Infine Vaughan diventa la precisa incarnazione di ciò che Sigmund Freud definì “pulsione di morte”, il segreto impulso di tornare allo stato di non esistenza.
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Ballard mette a punto uno stile nitido, neutrale e disadorno nel riportare un clinico resoconto di questa logica perversa e letale con distacco amorale. In parte, sembra il risultato di un bizzarro esperimento psicologico. La prosa ha un ritmo ipnotico, accumula un elenco dopo l’altro di atrocità, di cui la maestosa avanzata dei periodi non fa che attenuare l’effetto. Una tra le prime frasi recita: “Ripenso agli scontri frontali tra eccitati schizofrenici e camioncini di lavanderia bloccati in strade a senso unico; a maniacodepressivi schiacciati nel corso di insensate inversioni a U su rampe d’accesso autostradali; a sfortunati paranoici lanciati a tutta velocità contro muri di mattoni in fondo a strade senza uscita note a tutti; a bambinaie sadiche decapitate in scontri invertiti a incroci complessi; a direttrici lesbiche di supermercati brucianti a morte nello scheletro rovinato delle loro minuscole auto sotto lo sguardo stoico di pompieri di mezz’età; a bambini autistici schiacciati in tamponamenti, gli occhi meno feriti nella morte; ad autobus pieni di deficienti mentali in atto d’annegare stoicamente insieme in canali industriali a lato delle strade”.
Come dovremmo leggere un paragrafo del genere? Da un lato è l’impressionante manifestazione di un grave stato psicopatologico, innestato dall’ossessione. È questo il contenuto di cui il libro vuole invadere il lettore. Dall’altro lato una natura maliziosa attribuita agli elementi di questa prosa solenne la spinge verso l’assurdo. Perché le direttrici lesbiche guidano minuscole auto e muoiono di fronte a pompieri di mezza età? Tali aggettivi sembrano essere lì apposta per sabotare il tono grave del romanzo e spingere al limite la lunga lista di atrocità, fino a farla sfociare nel comico. Siamo forse nel regno della satira swiftiana, l’impassibile suggerimento di una modesta proposta?
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Le controversie iniziarono ancor prima della pubblicazione del romanzo. La relazione del redattore del manoscritto informava l’editore che a Ballard “non bastava uno psichiatra” (una descrizione che l’autore considerò un’unità di misura del successo del suo libro e che non si stancò mai di celebrare). Uno dei temi del romanzo precedente, La mostra delle atrocità (1970), una raccolta di racconti sperimentali estremi, era la morte di celebrità in scontri d’auto e Ballard si soffermò morbosamente sul fatale attacco al corteo di John F. Kennedy. Gli editori americani inorridirono e mandarono al macero l’intera tiratura della prima edizione, mentre nel Regno Unito un politico del partito conservatore si sentì in obbligo di scusarsi dalla Camera dei comuni con la famiglia Kennedy, per ogni offesa causata loro. In seguito alle sue ricerche, Ballard aveva anche allestito una mostra di auto distrutte, Crashed Cars, presso l’Arts Lab di Londra, nel 1970. La violenta reazione del pubblico all’inaugurazione (Ballard affermò che era stato evitato per poco uno stupro nel sedile posteriore di una delle macchine), convinse l’autore che una nuova psicopatologia stava emergendo e richiedeva un’indagine.
Crash, esito di tali ricerche, risultò così allarmante perché la neutralità del tono, combinata alla fusione tra autore e personaggio non fecero emergere alcuna posizione riguardo agli eventi estremi raffigurati. Cosicché molti lettori asserirono la posizione morale, che trovarono del tutto assente nel libro. “Un autore necessita di un punto di vista morale, un qualche sistema di convinzioni”, si oppose il critico Peter Nicholls. Senza ciò, Ballard “era fautore di uno stile di vita che potrebbe tranquillamente prevedere anche la repentina morte di sé stesso o dei propri cari”. Ballard non fu di nessun aiuto ai lettori in cerca di una rassicurante intenzione autoriale. In risposta a Nicholls, obiettò che il libro rispecchiava una “ironia atroce, in cui neanche l’autore sa dove si colloca”. La fusione tra l’autore e il protagonista James Ballard era l’indizio di tale complicità. In seguito, nella prefazione dell’edizione francese, Ballard affermò che il romanzo era “un monito, un avvertimento sul regno brutale, erotico, accecante che ci invita, sempre più persuasivo, dai margini dell’orizzonte tecnologico”. Senonché, in un secondo tempo, dialogando con Will Self, ritirò del tutto l’attestazione “di cui mi sono sempre pentito… Crash non è un racconto di monito… è un inno psicopatico”. Ballard lascia il lettore a mani vuote.
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In Francia, il filosofo sociologo Jean Baudrillard prese il romanzo di Ballard come esempio di una nuova condizione di “iperrealtà” e simulazione, dedicandogli un intero capitolo del suo importante libro Simulacri e simulazione (1981). Secondo Baudrillard, viviamo sempre più nelle reti mediate e nella circolazione di segni senza riferimenti. Baudrillard elogiò il modo in cui il romanzo di Ballard amalgamava il corpo e la tecnologia, “del tutto immanente, è il capovolgimento dell’uno nell’altro”. La morbosità con cui i personaggi osservano e riosservano le immagini di schianti d’auto, le rimettono in scena e si filmano, aiuta a spiegare il mondo della simulazione di Baudrillard. Il libro di Baudrillard fu alla base delle prime teorie sul “postmodernismo”, anche se il capitolo su Ballard venne tradotto integralmente in inglese solo nel 1991. A quel punto, quella limpida esaltazione della logica perversa di Ballard scatenò ancora una volta polemiche tra gli accademici, scandalizzati da tale sostegno amorale.
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Nel 1996 il regista canadese David Cronenberg diede vita a nuove controversie con il suo adattamento cinematografico di Crash. Il film divise l’opinione pubblica al festival di Cannes, ma la sua uscita in Inghilterra fu accompagnata da un panico morale montato dalle campagne pre-elettorali. Il quotidiano londinese Evening Standard dichiarò il film “oltre i limiti della depravazione”, mentre il Daily Mail chiese di vietarlo. Il ministro dell’ex Department of National Heritage inglese ne esortò il divieto, ma la British Board of Film Classification decise di proiettarlo non censurato, dopo aver commissionato degli studi per verificare se potesse effettivamente depravare o corrompere gli spettatori. Dal momento che le decisioni spettavano ai consigli locali, infine, stranamente i cinema del West End di Londra, sotto l’amministrazione del distretto conservatore di Westminster, si ritrovarono a vietare Crash, che invece fu approvato dal consiglio laburista di Camden. Inutile dire che Ballard pubblicizzò fermamente la pellicola e continuò a rivendicare, con lo stesso stile impassibile e satirico, sempre più sesso e violenza sugli schermi
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Dal momento che le pagine di J.G. Ballard sono custodite nella raccolta di manoscritti della British Library, è stato possibile tracciare lo sviluppo di alcune delle sue opere chiave. Intervistato, Ballard disse di essere dispiaciuto di non aver mantenuto l’assetto iniziale del romanzo, la tendenza a scrivere innanzitutto “rapporti” analitici, spogliati della maggior parte dei dialoghi e delle descrizioni romanzesche. Questi schizzi non sopravvissero, sebbene l’autore conservò l’invito alla sua mostra di auto distrutte e custodì con cura le foto della sua stessa auto schiantata (l’incidente avvenne subito dopo la stesura del libro, come una profezia che si autoadempie). Le due bozze complete che invece si sono preservate sono alquanto interessanti. Vi si trovano ancora più elenchi di celebrità, vive e morte, che ebbero incidenti stradali (Pablo Picasso, Maria Callas, il presidente Nixon, l’attivista per la sicurezza stradale Ralph Nader e il fondatore di Playboy Hugh Hefner). Questa lista di famosi si avvicina, nel metodo, alle provocazioni de La mostra delle atrocità. Per quanto riguarda il nome del protagonista, “Ballard” fu una decisione tardiva, la prima scelta fu Talbot e poi Ballantyne, entrambi già usati dall’autore. Per consolidare la complicità, Ballard sostituì anche quasi tutti i “mia moglie” del manoscritto con “Claire”, il nome della sua storica compagna. Corresse doviziosamente ogni pagina, con penne di almeno tre colori diversi e appare evidente lo sforzo per ottenere il tono freddo e la distanza clinica desiderata. Vaughan diventa sempre meno palesemente psicotico e sempre più ambiguo. Ci è dato inoltre di osservare il modo in cui Ballard affinò la precisione del suo mantra di atrocità in prosa. La frase citata sopra, “a direttrici lesbiche di supermercati brucianti a morte nello scheletro rovinato delle loro minuscole auto” era in principio “cassiere nevrotiche di supermercati”, poi trasformata in “direttrici ipertiroidee di supermercati”, per arrivare poi a un qualificativo meno vistoso, che meglio rispecchiasse l’equilibrio inquietante tra documentario e assurdità della versione definitiva. Le revisioni rivelano il lavoro meticoloso di Ballard nel plasmare un sentiero tra il sublime e il grottesco.
Roger Luckhurst
*Il testo, in origine pubblicato come “An introduction to Crash”, è tradotto da Valentina Gambino; la citazione tratta da Crash è riportata nella traduzione di Gianni Pilone Colombo per Feltrinelli
**In copertina: David Cronenberg sul set di “Crash” (1996), che a Cannes ottenne il Premio della giuria