
“Una spaventosa chiaroveggenza”. Kafka & Dostoevskij: fratelli nell’arte
Letterature
Riccardo Peratoner
Ho letto il romanzo Le cugine di Aurora Venturini (edizioni SUR, unico libro tradotto in Italia), senza conoscere nulla dell’autrice. Tuttavia, nella Postfazione Giù tra le donne della traduttrice Francesca Lazzarato si parla della trappola dell’età in cui l’argentina Aurora Venturini ha esordito: ottantacinque anni. Lazzarato riporta le parole di Liliana Viola, erede e curatrice dell’opera della Venturini che introduce l’ultimo suo romanzo, ideale continuazione delle Cugine: “L’essere stata scoperta a ottantacinque anni la intrappolò nella categoria del fenomeno. Non c’è intervista, studio critico o necrologio che abbia potuto evitare il riferimento all’età e, com’è ormai evidente, neanche in questo prologo ci siamo riusciti”.
L’età pesa così tanto? “Una scrittrice vecchia e mostruosa” chiosa María Paula Salerno, dalla Revista de crítica literaria latinoamericana nel 2016, che suscita interesse, che vende. Nata a La Plata nel 1921, la vecchia Aurora Venturini è stata anche insegnante e saggista. Ma è a seguito del colpo di stato del 1955 – questo, forse, il fatto più interessante – che la scrittrice si trasferisce a Parigi dove frequenta Albert Camus, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Violette Leduc. Amica stretta di Eva Perón, ha raccontato di aver lanciato molotov nei primi anni della Resistencia Peronista e ha rivelato di aver soggiornato, brevemente, nelle carceri della Revolución Libertadora. Insomma: un personaggio, che, sempre nella postfazione, Lazzarato accosta a una grande scrittrice debuttante della terza età, Dolores Prato. Una che aveva scritto per tutta la vita in silenzio e all’ombra della letteratura. E la accosta anche a Manuel Puig di cui sembra idealmente essere una zia “tenebrosa”.
Ma torniamo un momento a Le cugine. Un universo morboso e tenebroso, grottesco, macabro e osceno, tutto femminile. Sì, perché, all’interno di questo sorprendente romanzo, c’è tutto quello che non si può dire e non si deve dire sulla disabilità. Condizione che Aurora Venturini sembra conoscere da vicino, anzi dal suo interno. In quella che è una delle sue opere più autobiografiche.
La voce del romanzo è affidata all’io narrante, una giovane pittrice, Yuna. Accanto a lei, la detestata e amata sorella, Betina, un “errore della natura” che portava “a spasso la sua disgrazia per il giardinetto e i cortili lastricati”, e una madre insegnante che, piano piano con la pensione e senza denti, sfuma nell’oblio.
“Non ho mai confessato che ho imparato a leggere l’ora sui quadranti degli orologi a vent’anni. Di questa confessione mi vergogno e mi stupisco. Mi vergogno e mi stupisco per quello che poi saprete di me e mi tornano alla memoria molte domande. Soprattutto mi torna alla memoria la domanda: che ora è? La vera verità è che non sapevo l’ora e gli orologi mi spaventavano come il continuo girare della sedia a rotelle di mia sorella”.
Una sedia a rotelle che ospita e nasconde tutto quel lato corporeo su cui la sorella Betina non esercita alcun controllo. Compreso il sesso. Anzi, l’abuso. Per quanto la sedia a rotelle venga dipinta dall’arte che Yuna, pittrice, esercita con rara maestria e con il riconoscimento di pubblico e critica, l’handicap di Betina non le impedisce di essere violentata dall’apparentemente innocuo professor José Camaleón, il mentore di Yuna. Gli uomini sono i clienti della cugina di Yuna, Petra, affetta da nanismo, che esercita il mestiere più antico del mondo ed è pure un’assassina.
Non c’è salvezza se non nell’arte, sembra suggerire Aurora Venturini. Non c’è salvezza nemmeno in un universo femminile, dentro la famiglia, tra le braccia d’una madre. E i bambini, neonati, ritratti in questo romanzo, sono intrusi, tutti morti. Annota Lazzarato: “Non è un caso, allora, che Yuna ponga il corpo – e in primo luogo il corpo sessuato, anche quando è appassito o deforme – al centro del discorso e che dia tanto risalto alla figura della nana Petra, prostituta convinta di poter sfuggire al controllo egemonico della sessualità, usandola a proprio vantaggio. È lei a sciorinare informazioni (comicamente fraintese dalla cugina) su come si evitano le gravidanze indesiderate, ed è lei a compiere una terrificante vendetta nei confronti di chi ha abusato della sua sorellina: un delitto segreto, feroce e impunito”.
Una voce singolarissima e senza virgole, diretta al punto, anzi alla pugnalata. La prosa della Venturini è modernissima e femminista. Lei che vedeva fantasmi da bambina, e che quando, diciassettenne, viveva a Buenos Aires era amica di Victoria Ocampo e di Borges. Lei che, come animali domestici, preferiva i ragni e dopo una caduta dal letto con le ossa rotte, aveva stretto amicizia con un esorcista, come ci racconta in Prefazione Mariana Enriquez. E allora chissenefrega, in tutta sincerità, che Aurora Venturini sia un’esordiente vecchia. Il frutto della sua malia è tutto lì, come lei stessa rivela, nel cuore malato di una famiglia. “Non sono molto amante della famiglia, non lo sono mai stata, ma finisco sempre per scrivere sulla mia famiglia, o sulle famiglie”. I suoi mostri non sono da cercare altrove:
“Le mie creature sono tutte mostruose. La mia famiglia era davvero mostruosa. È quello che conosco. Io non sono molto comune. Sono una strana entità che vuole soltanto scrivere. Non sono socievole. L’unica volta che mi capita di stare in compagnia è il 24 dicembre”.
Linda Terziroli
*In copertina: Romaine Brooks, Autoportrait, 1923