L’opera del lutto. L’Occidente ha “disneyficato” la morte. Un saggio di Roger Scruton
Filosofia
Roger Scruton
Al giorno d’oggi, da tutti i versanti possibili, è indispensabile adoperarsi per un’autentica Resistenza – da cui il titolo del mio saggio Astrazione come Resistenza – a quella che ormai può venire indentificata come una deriva materialistica della società nel suo complesso e quindi dell’uomo. Deriva che ne preclude la felicità sia dal punto di vista individuale che da quello collettivo e quindi sociale. Ormai da molti anni è in atto un processo apparentemente inevitabile della sostituzione del prezzo sul valore, della visibilità sulla qualità, del tornaconto fine a se stesso, dell’ossessione del consumo, dell’ipocrisia finalizzata. Un “Nuovo Mondo” presagito come Era dei Titani dal filosofo Ernst Jünger a più riprese: dal Trattato del Ribelle, fino Al muro del tempo, secondo cui, fin dagl’inizi del XXI° secolo, forze gigantesche costringeranno l’arte e la poesia ad un lungo silenzio.
Considerazione preliminare da cui assurge a ruolo essenziale la funzione sociale dell’artista – inteso anche come disponibilità teosofica di servizio per la collettività – che si pone come interlocutore, veicolando ed elaborando anche quelle intuizioni che menti sottili hanno indicato nel corso del tempo, come nel caso di Robert Musil, grande autore dell’incompiuto romanzo L’Uomo senza qualità, nel suo saggio Sulla stupidità (1931):
“Non vi è praticamente pensiero importante che la stupidità non sia in grado di utilizzare; essa è mobile in ogni direzione e può indossare tutte le vesti della verità.
La verità invece ha una sola veste e una sola via, ed è sempre in svantaggio”.
Può divenire quindi un grave errore dare ascolto a tutte le tesi, anche le più improbabili e grossolane, visto il presupposto minimo di partenza, rispetto alla stupidità o meno dell’interlocutore e alla fondatezza documentata di quanto sostiene. Indicazioni contenute nel libretto La voce del silenzio, di H.P. Blavatsky che mette in guardia contro la diffusione dell’ignoranza e della falsa conoscenza, divenute preziose in un periodo storico dove le opinioni più improbabili – diffuse a livello planetario da una comunicazione asservita – sono diventate autentica arma di distrazione di massa.
In merito alla funzione dell’Arte, puntuale anche la citazione di Hans Georg Gadamer, ultracentenaria coscienza filosofica del ’900, già allievo di Martin Heidegger, sulla sua atemporalità:
“In realtà il più grande mistero dell’Arte sta nella sua atemporalità – in questo emancipandola dalla storia – […]
Una “logica storicistica” all’interno dei processi di evoluzione artistica non c’è mai stata. È una cosa inventata dagli storici […]. L’attività dell’artista moderno si esplica su due piani: prima bastava saper trasmettere in contenuti senza doverli scoprire, mentre oggi succede l’esatto contrario.
Un artista oggi, oltre a saper dire, deve essere in grado di scoprire ciò che deve dire”.
Riconoscendo in questo modo implicitamente all’artista una funzione intuitiva, rabdomantica, allineata con la potenzialità visionaria espletata poi nel processo creativo dell’opera. All’artista va riconosciuta come irrinunciabile la libertà interpretativa del pensiero, cui segue quella indispensabile per l’autenticità della creazione artistica. Sempre Gadamer, definisce perfettamente questo stato interiore dell’artista:
“In base alla mia esperienza gli artisti autentici sviluppano quella che si potrebbe definire una propria “privata” filosofia a carattere molto autodidattico, forse molto personalizzata, ma comunque indicativa della loro esigenza di lucidità e chiarezza in relazione a problematiche filosofiche”.
Intuizione essenziale e del tutto condivisibile che, da artista, corrisponde anche al mio modo di pormi, da astrattista, nei confronti della Teosofia, in continuità con molte altre adesioni da parte di grandi artisti, pure provenienti dall’ambito astratto.
Sarebbe quindi un errore contestualizzare le posizioni degli artisti, negli anni, nei confronti del messaggio teosofico, attribuendo loro più o meno rigore tematico: l’artista rivendica appunto la sua funzione rabdomantica che applica alla sua ricerca e sarà quel tipo di visibilità che amplierà, a caduta, il messaggio originario. Senza Kandinskij, Arp, Ball, Richter, El Lisitzkij, Tobey, Pericle, il Der Blaue Reiter al completo e molti altri, la vicenda di Monte Verità sarebbe un’altra, molto più raccolta e meno esemplificativa.
L’artista non è che l’amplificatore di quelle istanze interiori, filtrate attraverso una sensibilità che poi, come esito finale, produrrà il miracolo della creazione dell’opera, compiendo, di fatto, l’unicità teosofica della vita, unendo la conoscenza alla pratica.
Attraverso l’agire quotidiano del perfezionamento della perizia e dello studio, grazie ad uno sviluppo evolutivo continuo che gratifichi il significato stesso della vita, l’artista deve mirare quindi ad uno stadio superiore di consapevolezza che conduca poi alla crescita del messaggio attraverso la realizzazione dell’opera, tramite con cui l’artista si relaziona con il mondo esterno, fornendo la parte migliore di sé.
L’opera, quindi, non può prescindere da un autentico atto di responsabilità, di onestà, di autenticità. L’insegnamento teosofico per l’artista non deve assumere contorni dogmatici che si riferiscano al messaggio originario, ma divenire naturalmente il suo sviluppo, seguendo il flusso progressivo della vita, reso riconoscibile poi dalla funzione teorica dell’artista, cui seguirà l’indispensabile passaggio alla pratica artistica: opera intesa quindi anche come servizio reso alla collettività, alimentato dalla parte migliore di sé.
Astrazione che diviene quindi una sorta di Teologia applicata.
La realtà storica ci riporta al coinvolgimento degli artisti verso le tematiche teosofiche negli anni aurei della comunità di Monte Verità d’inizi Novecento, rispondendo ad una chiamata verso lo spirituale concentratasi su Parigi, a cavallo tra ’800 e ’900, in risposta all’egemonia razionale del Positivismo degli ultimi decenni dell’Ottocento: Una liberazione dalla dittatura del Positivismo, come la definirà Benedetto Croce. E prospererà proprio a Parigi la più variegata e scelta comunità artistica internazionale, negli anni in cui lo Spiritismo diventerà anche pratica popolare, diffuso trasversalmente in ampi strati della popolazione.
In Italia, la diffusione del pensiero teosofico in ambito artistico è delegata soprattutto alla figura di Arturo Reghini, alias Alaya, Piero Negri, Maximus, Fratello Terribile, Signore dell’anima, già membro della Società Teosofica nel 1898, nonché creatore della sezione romana, fondatore prima della Biblioteca Teosofica di Palermo (1903), divenuta poi Biblioteca Filosofica di Firenze (1905). Già co-fondatore e nel direttivo di svariate riviste seminali di quegli anni, come Leonardo e soprattutto Lacerba (1913-14), Reghini influenzerà significativamente gran parte delle migliori intelligenze di quegli anni: da Prezzolini a Soffici, da Papini a Tavolato, fino ai futuristi al gran completo, primo fra i quali Umberto Boccioni. Sarà proprio la figura di Giovanni Papini, nel 1907 ad agognare l’avvento di una sensibilità che vada oltre la materia, rispondendo ad una irrefrenabile pulsione interna:
“Da qualche anno, in Italia, l’aria spirituale è cambiata […] si sente parlare dell’idealismo e dello spiritualismo […] del trionfo della vita interna […] del dominio dello spirito […] della morte del materialismo…”
Rispondendo anche all’affermazione di Gadamer circa l’interpretazione teorica soggettiva e autodidattica degli artisti, in quegli anni, il sottile filo rosso che tiene legate la Teosofia, l’Antroposofia (dal 1913), la Cabala, l’Esoterismo, l’Alchimia, fino alla Teologia, sarà l’urgenza da parte degli artisti di un’affermazione prepotente in ambito spirituale.
Così sarà per Kandinskij e il suo Spirituale nell’arte (1912), definito puntualmente dalla storica dell’arte Elena Pontiggia – curatrice di una preziosa edizione italiana – come un manuale di profezie laiche, così per il retroterra ordinato di Mondrian, così per la fuga nell’indefinito di Balla, prima della sua Ricostruzione futurista dell’universo (1915), così, anni prima, per Previati, unico italiano invitato ad una mostra a Parigi organizzata dai Rosacroce, così per Boccioni, influenzato dallo spiritualismo teosofico di Romolo Romani che gli farà affermare che i futuristi non potevano che essere alimentati e guidati da un retroterra esoterico. Lo stesso Marinetti affermerà l’esistenza di un Uomo moltiplicato, con differenti stati di coscienza coesistenti tra loro.
A Mondrian si deve un’opera compiutamente, rigorosamente teosofica: Evoluzione, realizzata nel 1911, prima dell’avvento della grande stagione dell’Astrattismo, dove si assiste in modo tematico all’unione di universale e individuale, interiore ed esteriore, seguendo pedissequamente il messaggio teosofico originario.
Di recente rivalutazione anche la figura di Luigi Pericle che percorrerà nei suoi cicli pittorici, l’intero periplo espressivo approdando ad una calligrafia astratta ricca di suggestioni.
Indicazioni che non impediranno allo stesso Mondrian – diploma n°1690 della Società Teosofica, datato 1909 – una vita di eccessi culinari e femminili e una passione accesa per il Charleston, molto distanti dal rigore ascetico che gli è stato attribuito storicamente. Aspetti per alcuni versi sorprendenti, messi alla luce dalla scomoda ma documentatissima biografia dedicatagli recentemente dal conterraneo olandese Hans Jenssen e che ribadiscono la non organicità dell’artista ad un pensiero dogmatico. Influenze spirituali nell’arte indagate – in modo efficace ma troppo francocentrico – dalle grandi mostre al Centre Pompidou di Parigi nel 2008 (Trace du Sacré), continuazione di quella passata alla storia come una rassegna leggendaria: Les Magiciens de la Terre, sempre al Pompidou, nel 1989 (non casualmente nel bi-centenario della Rivoluzione), dove appare con chiarezza che la componente iniziatica nell’uomo è antropologica e quindi senza latitudini. Quanto all’Astrattismo in particolare, la prima, grande mostra in cui il sovra-naturale in senso lato verrà indicato come la sua autentica scaturigine, sarà Abstract Painting 1890-1985 al Los Angeles County Museum of Art (1985).
Ma un discorso diverso, un nuovo focus si può fare sull’atteggiamento di fondo che porta l’artista verso la natura più intima dei principi teosofici, forse più interessante del semplice calcolo numerico, in gran parte fatto fino ad oggi, su quali e quanti aderirono, negli anni e a vario titolo, alla Dottrina Segreta. Non è tanto dotare l’opera di retroterra suggestivi relativi a paesaggi in penombra, affidando cioè l’adesione ai principi abbandonandosi alla semplice rappresentazione carica di pathos, oppure inserire riferimenti esoterici, declinati banalmente dai canoni rinascimentali. Così facendo si rischia di impoverire la reale portata del messaggio originario, di renderlo una cartolina per i turisti dello spirito: fedeli per un giorno.
Sono in particolare le Avanguardie storiche d’inizio secolo, il Futurismo e l’Astrazione su tutte (con il Cubismo troppo immobile, autoreferenziale, egocentrico; il Dadaismo e Duchamp schiacciati dal nichilismo; il Surrealismo schiavo di una visionarietà spesso troppo spettacolarizzata, esteriore) a sviluppare una condotta fortemente vitalistica di positività psicologica, attivando così un formidabile spirito di relazione, sia a livello fisico-verbale che “sottile”, tra i componenti dei gruppi. Condivisione e disponibilità di servizio all’interno del Futurismo che lo porterà a raggiungere una durata di trentacinque anni (1908-9/1944), del tutto inusitata per un’Avanguardia, pur nelle contraddizioni del bellicismo e dell’aggressività verso i “passatisti”: aspetti del tutto distanti rispetto ai dettami teosofici.
Un vitalismo permeato dalla forza primigenia dell’attimo, dell’hic et nunc, della costruzione di una vita giocata su una sorta di presente allargato medianico, dove si assiste alla fusione del passato con il futuro istante per istante, in un percorso vertiginoso di moltiplicazione delle intenzioni. Un presente gravido di energia propulsiva, quindi.
Quanto all’Astrattismo, presuppone, fin dagli esordi, una forte centralità psicologica, affiancata da una solida consapevolezza interiore, una motivata tenuta mentale focalizzata sull’obbiettivo, nonché un retroterra eterico in grado di innescare il processo fortemente emozionale della creazione dell’opera, che diviene quindi un ponte naturale tra la componente grossolana della manipolazione dei materiali e la sintesi superiore e insondabile della sua realizzazione, mutuando il significato teosofico del sentiero Antahkarana che conduce oltre la morte e il tempo.
Astrazione che richiede una forte componente preliminare di concentrazione, troppe volte scambiata erroneamente per “freddezza” espressiva e che invece organizza in un flusso tutte le intenzioni prima di renderle operative nella costruzione dell’opera che, da un certo punto in avanti, segue l’urgenza generata dalla pratica che, a sua volta, non può che seguire i presupposti della meditazione.
Astrazione come forma artistica meditativa, quindi, dove ogni artista si dota della propria tecnica pittorica, citata come indispensabile dallo stesso Boccioni quando parla di stile, nonché dell’importanza, spesso sottovalutata, della decorazione nell’arte, dove la minuzia risulta imprescindibile. Procedimenti che, nelle modalità del loro farsi, seguono i principi più autentici della meditazione, intesa non come tecnica, ma come concentrazione consapevole nel fare.
Astrazione che segue il principio che da Krishnamurti conduce ad un’osservazione della natura senza giudizio, al fine di trasfigurarla e condurla verso una nuova interpretazione complessiva, dove l’osservazione non è più esteriore, descrittiva, ma interiore, dove ogni opera non diviene che un autoritratto sottile. Ciò che l’ateo suprematista Malevič definirà: Astrazione come dominio sulla natura (1915), soggiogando con l’impeto pre-rivoluzionario la misura dell’ascolto.
L’opera è quindi un atto di responsabilità che divide il tempo del prima dal tempo del poi, il crinale che sintetizzala razionalità della preparazione minuziosa dei materiali e l’istante creativo della loro combinazione, dove il modello precede la forma – declinata da Mondrian in: l’Arte precede la vita – dove la dimensione intuitiva, rabdomantica appunto, guida l’artista verso un luogo sempre sconosciuto di cui ignora l’approdo, dove le tenebre della profondità s’illuminano, divenendo un percorso abbagliante che conduce al compimento finale dell’opera stessa.
Un percorso fortemente meditativo, dove ogni singola fase viene vissuta con il controllo consapevole della mano che mesce, divide, compensa, stende, copre, svela, conclude, riapre, aggiunge, sposta, accumula, toglie, con fasi che si ripetono sempre diverse e sempre uguali e non giungono mai, miracolosamente, alla stessa conclusione. Un miracolo, appunto, dove la consapevolezza del percorso, compie il suo giro approdando oltre le stesse intenzioni iniziali.
L’opera astratta è quindi una creazione meditativa, creata dalla punta del compasso che guida la composizione circolare del pensiero.
È la materia il corpo della pittura, è la sua elaborazione paziente, meditativa che conduce al risultato dell’opera. È la materia la partenza e, allo stesso tempo, il percorso nella sua elaborazione, dove il compimento finale dell’opera non è che la sintesi di questi due procedimenti circolari alimentati dall’unicità dello spirito che li guida e che rendono l’esito finale armonico rispetto alle intenzioni, pacificandole. Quindi il principio di unicità tra le intenzioni dell’artista e la realizzazione dell’opera, evocano l’unicità teosofica della vita e l’assenza di distinzione manichea tra la materia e lo spirito.
È quindi la natura stessa della costruzione dell’opera il compimento del percorso teosofico nella sua sostanza archetipica, dove i principi teosofici illustrati da Blavatsky non sono il presupposto ma bensì il risultato del procedimento artistico stesso. Non si tratterà quindi di un’adesione organica vera e propria alla Teosofia da parte degli artisti e degli astrattisti in particolare, quanto di una seduzione verso l’indistinto, dove la figura magnetica di Blavatsky giocherà un ruolo essenziale. Esemplare in questo senso, la dichiarazione del 1942 di un Mondrian maturo, rivolgendosi ad una delle sue allieve, Charmion von Wiegand, che obiettava la coerenza di una delle ultime opere rispetto agl’intendimenti iniziali:
“Dovresti sapere che prima ho dipinto tutti i miei quadri e poi ne ho ricavato la teoria. Quindi, ora dovremo forse modificare la teoria”.
Da cui deriva, in stretta continuità, che l’opera non può che essere (anche) un veicolo per un messaggio di natura spirituale, finanche teosofico nelle sue analogie più profonde. Naturalmente, le differenti modalità artistiche rendono alcune di queste più indicate a potersi collegare ad un principio di elaborazione dell’opera innescato dalla nostra anima sottile, tra le quali l’Astrazione ha lasciato e lascia, in oltre cent’anni di vita, le testimonianze più pregnanti.
Jean Baudrillard, nel suo saggio Il complotto dell’arte, uscito a metà degli anni ’80, riconosce all’Astrazione un ruolo centrale nel contemporaneo:
“L’Astrazione è divenuta la grande avventura dell’arte moderna […] l’Astrazione fa ancora parte di una storia eroica della pittura, di una decostruzione della rappresentazione, di una frammentazione dell’oggetto…”
Affermazioni apparentemente in contrasto con il suo esser stato, un decennio prima, uno degli esegeti della ricerca di Andy Warhol, probabilmente agli antipodi naturali rispetto ai presupposti teorici contenuti nell’Astrazione, che rendono però l’urgenza e l’importanza di questa classificazione.
Il filo conduttore resta l’adesione dell’Astrazione a ciò che Baudrillard chiama storia eroica, riferendosi alla continuità superiore che conduce l’astrattista a cimentarsi, ad ultima istanza, in un progetto comune che attraversa i decenni, i secoli, ad oggi (primogenitura che va attribuita alle intuizioni di Giacomo Balla e alle sue Compenetrazioni iridescenti del 1912), superando il desiderio inesausto di ogni artista di fagocitare il maestro, di andare oltre, di seguire la scia luminosa dell’intenzione profonda, alimentato dalla sabbia aurifera della propria anima. L’Astrazione è l’unica forma espressiva del contemporaneo che riguarda l’evoluzione di un progetto iniziale che attraversa i secoli senza smarrire l’energia originaria, concentrando la propria attenzione sull’unicità del rapporto circolare materia-spirito nella realizzazione dell’opera.
Quanto alla decostruzione della rappresentazione e alla frammentazione dell’oggetto appare del tutto evidente che si tratta di un’autentica sublimazione delle intenzioni verso uno scopo superiore che prescinda dalla realtà materiale.
Intento superiore che farà scrivere al filosofo francese Gilles Deleuze, dopo aver letto Astrazione ed empatia di William Worriger (1907), che l’Astrazione è:
“Il vero inizio dell’Arte”.
Astrazione in cui lo Spirituale, declinato in principi teosofici, antroposofici, cabalistici, teologici, esoterici, alchemici, non è che un’attitudine connaturata con le modalità della pratica, sfuggendo ad ogni definizione dogmatica aprioristica e quindi implicita nell’unicità imprevedibile della creazione dell’opera.
L’Arte precede la vita
Roberto Floreani
20 marzo 2023
(dedicata a maman Yvette, nel giorno del suo 97° compleanno)
*Si pubblica per gentile concessione vasta parte del saggio di Roberto Floreani discusso sabato 25 marzo nel contesto del Seminario Internazionale Teosofico di Ascona dedicato a “Il rapporto tra Arte e Teosofia e il ruolo della Società Teosofica”