27 Novembre 2018

“Ascolto i benzinai e le amiche di mia madre – e insegno a leggere”: dialogo con Guido Conti, l’ultimo dei cantastorie, tra Arrigo Sacchi, Guareschi e Stendhal

C’è uno scrittore che se ne sta per i fatti suoi, che ha fatto dello stare appartato una forma di appartenenza. Scoperto da Pier Vittorio Tondelli, fan di Guareschi, su cui, dieci anni fa, ha scritto una biografia di successo, per Rizzoli (“la sua lezione di umanità ha bucato il suo tempo e i confini nazionali, al di là di ogni ideologia”), Guido Conti è un po’ il Ligabue della letteratura italiana contemporanea, lima i suoi romanzi nella melma della provincia emiliana, dove si snoda il Po, quel pitone bruno, paziente, letale (l’esordio è con l’editore Guaraldi, “a cui devo veramente tutto”, nel 1995, con Della pianura e del sangue; il successo accade con il Premio Chiara per Il coccodrillo sull’altare, 1998, e il Campiello, l’anno dopo, a I  cieli di vetro, entrambi editi da Guanda). Così, mentre gli scrittori italiani si dividono tra quelli che vogliono educare e quelli che preferiscono provocare, Conti, che ha appena pubblicato per Giunti Quando il cielo era il mare e le nuvole balene (pagg. 336, euro 17,00), sta per i fatti suoi, tra i rari affabulatori, i cantastorie, quelli che roteando il cappello invocano meraviglie. Nel suo romanzo, per dire, che narra la crescita rustica di Bruno, una specie di Tom Sawyer, c’è “un orso gigante” guidato da “un uomo magro con i baffi e un imbuto di metallo rovesciato in testa come cappello”, che viene stipato nella stanza “dove tenevano i secchi di grano”; poi c’è il nonno che “aveva scritto direttamente a Stalin, in Russia, una lunga lettera dove lui parlava della fatica dei contadini nella Bassa emiliana”; e poi c’è la Seconda guerra che passa, ingurgitata dal “grande fiume” che “correva tranquillo… rispecchiando il cielo, indifferente alla follia della guerra, all’odio degli uomini, alla violenza di Caino e Abele”. Guido Conti ha raccontato la storia memorabile di Arrigo Sacchi (“partendo da una squadretta di prima categoria, è sulla panchina della nazionale nella finale del mondiale: conosci qualcun altro che ha fatto questo?”) e ha stilato l’epica del Po (Il grande fiume Po, Mondadori, 2012), crede che sia più importante imparare a leggere che insegnare a scrivere. Cesare Pavese, molti decenni fa, ci fece capire che il Middle West, cioè la letteratura autenticamente ‘regionale’, fosse in Piemonte; oggi verrebbe da dire che James Agee e Cesare Zavattini, Sherwood Anderson e Giovannino Gureschi, Truman Capote e Guido Conti brindano insieme in una osteria della più profonda, fervida Emilia.

Guido ContiIntanto, un romanzo dove c’è ancora il Po, il luogo delle tue ispirazioni, dove, dallo spettro di una storia fai accadere la Storia. Traggo le conseguenze: pensi che la narrativa sia parlare del proprio particolare – la provincia, i luoghi laterali, ancora incredibili – rendendolo universale: è così?

Sono nato a Parma, sono emiliano. Il Po e la via Emilia segnano il territorio dove sono nato. Sia Tondelli che Bevilacqua (quest’ultimo andrebbe riletto senza pregiudizi), verso la fine degli anni Ottanta quando studiavo a Bologna, mi dissero che prima di tutto, per essere uno scrittore, avrei dovuto leggere tutti gli autori della mia terra. Tutti. E conoscerli bene. “Senza conoscere quelle voci, come fai a riconoscere la tua?” mi dicevano. Ci sono sempre somiglianze e differenze, e proprio in questa dialettica che la tua scrittura prende forza. Io voglio scrivere libri che vanno oltre le mode del momento. È un altro modo di fare letteratura rispetto ad oggi.

Il libro è pieno di aneddoti, di eventi strambi, di leggende locali: dove li hai raccolti, lungo le rive del sinuoso Po? Chi sono le tue fonti?

Io non invento quasi niente, ascolto la gente che parla, che racconta storie. Ascolto benzinai, camionisti, donne, amiche di mia madre, gente comune, recupero memorie di famiglia, insomma, mi accorgo che la gente racconta storie che non trovi nella letteratura contemporanea. Sono i commercianti la prima fonte dei racconti e delle novelle del Boccaccio. Per cui basta ascoltare la gente per capire la scollatura che c’è tra chi scrive e chi vive.

Consegue la domanda: t’importa nulla della letteratura ‘impegnata’, degli scrittori che s’impegnano a ostentare le proprie opinioni politiche? In sintesi: lo scrittore deve stare fuori dal mondo o dentro il proprio tempo? Che rapporti legano scrittura e politica, a tuo avviso?

Dipende cosa vuol dire stare “dentro e fuori il mondo”. Certi scrittori che dicono sempre la loro su tutto sono spesso involontariamente comici o semplicemente ridicoli. Ho scritto Il grande fiume Po (2012) dove ho cercato di far capire come solo attraverso la cultura è possibile l’integrazione vera. Si sono accapigliati per cinque neri da accogliere in qualche comune quando non hanno visto l’invasione silenziosa e in massa di oltre 15.000 indiani del Punjab proprio lungo le rive del Po. E tutto perché il Punjab indiano è identico geograficamente alla Bassa emiliana. Loro sono a casa, noi, che abbiamo tagliato le radici e non vogliamo più fare lavori che sono alla base della nostra cultura e della nostra tradizione, siamo i veri extracomunitari. Il grande fiume Po è un grande libro politico, che riposiziona il ruolo dell’Italia nell’Europa di oggi.

Guido ContiNella tua scrittura c’è sempre qualcosa di ingenuo, di fatale e di fantastico. Ti chiedo qualcosa sui tuoi maestri e preciso: che connessione c’è tra Arrigo Sacchi e Giovannino Guareschi, visto che hai scritto di entrambi?

Non c’è nulla di ingenuo, io parlerei di “innocenza”, che mi ha portato alla scrittura della favola. Nel libro Nilou e le avventure del coraggioso Hadì (Libreria Ticinum Editore), racconto la difficoltà di convivere insieme tra diverse specie di uccelli nelle nostre città dove sono arrivati i pappagalli. Hansel e Gretel è più che mai attuale visti i bambini abbandonati sui barconi nel Mediterraneo. Per Sacchi e Guareschi ho scritto due biografie cercando il cuore dell’uomo. Il giovane Sacchi vede la finale di Italia Brasile nel 1970 in America. Venticinque anni dopo, partendo da una squadretta di prima categoria, è sulla panchina della nazionale nella finale del mondiale. Conosci qualcun altro che ha fatto questo? Che differenza c’è tra una vita come questa, quella di un re, di un artista, o di un personaggio politico? Anche questa è letteratura, dipende come l’affronti. Guareschi è parte della storia del nostro paese, che andava inquadrato nella storia del Novecento. La sua lezione di umanità ha bucato il suo tempo e i confini nazionali, al di là di ogni ideologia.

Che significa essere ‘scoperto’ da Pier Vittorio Tondelli? Allargo la domanda: dagli anni Novanta in qua la letteratura italiana è proseguita peggiorando? Insomma, chi ti piace leggere dei viventi: solo te, qualcuno, nessuno?

Da Tondelli ho imparato molto, per molti aspetti ho continuato la sua strada e la sua ricerca. Ci manca moltissimo.  Dei contemporanei leggo cose molto diverse. Da anni seguo Aurelio Picca, Eraldo Affinati, Alberto Arbasino, un autentico genio narrativo con delle derive stilistiche straordinarie in cui s’insabbia, ma il suo Ritratti italiani è un autentico capolavoro di narrativa dei primi anni venti, dove mescola tutti i registri e tutti gli stili: un vero e proprio Chopin della tastiera del computer. Leggo Aldo Busi anche se con qualche riserva, e poi Luca Doninelli, Andrea Vitali, che ha una verve da commedia leggera, assai rara oggi, molto novecentesca, e Valerio Varesi, uno dei pochi che ha tentato la grande storia narrativa dell’Italia in tre romanzi, un autore che i critici dovrebbero leggere invece di lamentarsi che non ci sono scrittori, e Piersandro Pallavicini, un romanziere di cui amo l’ironia e il sorrisino al veleno che riesce a fondere nella sua prosa.

Guido ContiRicordo la tua ‘scuola del racconto’, che poi è più che altro una scuola di lettura, di buone letture. D’altra parte, la scrittura si può insegnare? Preciso: la tua ‘scuola’ mi pare un progetto anti-Scuola Holden, è così?

Quando mi chiedono se la scrittura si può insegnare, rispondo sempre se sono capaci di costruire un comodino o un armadio. Io insegno a leggere bene e a capire quello che si sta leggendo. Se non sai leggere oltre le righe come fai a imparare a scrivere? Non conosco a fondo la metodologia della Holden e i loro corsi per poterli giudicare. Non mi piacciono le scuole di scrittura tradizionali perché non s’insegna a leggere per capire come lavorano e scrivono gli autori. Si danno delle regole che spesso gli scrittori veri infrangono continuamente.

Qual è il romanzo che vorresti aver scritto, quale quello che scriverai?

Ce ne sono tanti ma uno in particolare è La certosa di Parma. Stendhal è veramente feroce, intelligente, sottile, cinico, divertente e va letto lentamente e con attenzione per capire le sottigliezze e le sfumature della sua scrittura. Non è un autore facile. Sto lavorando a un libro su Cesare Zavattini nella Milano rivoluzionaria degli anni Trenta, un genio della letteratura che non è nemmeno citato nelle storie della letteratura, non so se mi spiego.

Davide Brullo

Gruppo MAGOG