Gli scritti dal Messico, esito del clamoroso viaggio compiuto nel 1936, sono “la testimonianza più sconvolgente che Artaud ci ha lasciato”. Per capire l’entità artistica – cioè: mistica – di quell’avventura oltreoceanica abbiamo due documenti. Intanto, Al paese dei Tarahumara (Adelphi, 1966), l’ebbro reportage in cui Artaud, tra l’altro, racconta La danza del peyotl (“Il soggiogamento fisico era sempre presente. Quel cataclisma era il mio corpo… Dopo ventotto giorni di attesa non ero ancora rientrato in me; bisognerebbe dire: uscito in me. In me, in quell’accozzaglia sconquassata, in quel pezzo di geologia avariata”). Messaggi rivoluzionari, invece – ipotesi di un libro mai realizzato, assemblato da Marcello Gallucci per Jaca Book– raccoglie articoli, lettere, conferenze, taccuini che Artaud ha composto laggiù, nella foga messicana. “Il Messico non può, sotto pena di morte, rinunciare alle attuali conquiste della scienza, ma tiene in serbo un’antica scienza infinitamente superiore a quella dei laboratori e degli scienziati. Il Messico ha la sua propria scienza e la sua propria cultura; sviluppare questa scienza e questa cultura è un dovere per il Messico moderno, ed un simile dovere costituisce, per l’appunto, l’appassionante originalità di questo paese”, scrive su “El Nacional” il 5 luglio del 1936, in un articolo intitolato Ciò che sono venuto a fare in Messico. Cercava accoliti, Artaud, rivoluzionari del miracolo: scoprì l’eremitaggio, tra le montagne dei Tarahumara, civiltà residua, ne era certo, dell’antica Atlantide.
Il punto d’intersezione tra Artaud e i Tarahumara – che glorificano l’idea del teatro come rito, del linguaggio come atto sacro – è un poema di Alfonso Reyes, Yerbas del Tarahumara, scritto nel 1929, tradotto in Francia da Valery Larbaud. Artaud fa di quel poema il primo passo della sua escursione mistica, una specie di mappa che forgia il Messico immaginato. Figura capitale della cultura latinoamericana del secolo scorso, poco tradotto in Italia (il suo Goethe è edito da Garzanti nel 1961; Quodlibet ha pubblicato nel 2018 La regione più trasparente dell’aria: saggi di cultura ispanoamericana), nel 1929 Alfonso Reyes è ambasciatore messicano in Argentina, dove frequenta Victoria Ocampo e José Ortega y Gasset, pubblica Borges – suo ammiratore –, Macedonio Fernandez, Ricardo Güiraldes. Figlio di un alto generale dell’esercito, che guidò un golpe, nel 1913, ai danni del presidente Francisco Madero, visse per un decennio in Spagna, visitò l’Italia, fu in contatto con le grandi personalità dell’epoca. Nominato numerose volte al Nobel – nel 1949, tra l’altro, da Gabriela Mistral – fu ambasciatore in Brasile, animatore culturale, omaggiato dalle università di Princeton e Berkeley con la laurea ad onore. Morì nel 1959, autore di un’opera impressionante, creativa e critica. Personalità affatto diversa da Artaud, Reyes avvicina i Tarahumara con curiosità antropologica: Artaud trova tra loro una rivelazione esistenziale prima che estetica, conoscitiva. Entrambi scorgono in quell’arcana civiltà un veleno, che corrode e corrobora.