
“Non dobbiamo salvare il mondo”. Friedrich Dürrenmatt, l’amministratore del caos
Letterature
Alessio Trabucco
In uno scritto autobiografico, Asterischi, pubblicato nel 1990, poco dopo la morte, accaduta nel maggio del 1989, Arsenij Tarkovskij denuncia il suo esilio dal tempo presente, la sua onnipotenza lirica, la sua veggenza. “In una mia poesia ho scritto di potermi trovare in qualsiasi epoca, in qualsiasi luogo della terra, purché solo lo desideri… L’Iliade e l’Odissea sono per me libri sacri. Ti senti involontariamente contemporaneo di ciò che là accadeva”. D’altronde, nello stesso testo, rischiara la propria genealogia poetica: “I miei poeti prediletti sono Tjutcev, Baratynskij, Achmatova, Mandel’stam, Chodasevic”. A leggerlo, ricorda il cosmo di Pasternak (“Io amo il tardo Pasternak. Quello del Dottor Zivago”), ma proviene dalla poesia cristallina di Anna Achmatova (“In Achmatova vi è una tale perfezione della forma!”), da quel timbro che dona aristocrazia e santità alle cose di tutti i giorni. Pur non amando allo stesso modo la poesia di Marina Cvetaeva, Arsenij Tarkovskij, che nasce nel 1907 a Elisavetgrad – ora città ucraina che si chiama Kropyvnyc’kyj, e non credete a chi crede che cambiare un nome non corrisponda alla modifica di un destino –, l’amò, ne fu l’amante, l’ultimo. “Con Marina Cvetaeva ho fatto conoscenza nel 1939. Era arrivata in uno stato assai turbato, era convinta che suo figlio sarebbe stato ucciso, come poi accadde. Io l’amavo, ma stare con lei era difficile: era troppo brusca, troppo nervosa”. Il figlio Andrej, il regista, era nato nel 1932, all’epoca del rapporto con la Cvetaeva, Arsenij aveva lasciato la moglie per un’altra. A lui, in una lettera, Marina concede la confessione più remota: “Ogni manoscritto è indifeso. E io sono tutta – un manoscritto”. Si vedranno, l’ultima volta, nei primi giorni di agosto del 1941: li sorprende un bombardamento, il loro ultimo dialogo si svolge in un rifugio antiaereo. Nel 1932 Tarkovskij ebbe dei problemi con il regime sovietico: fu accusato di misticismo, accostato “a quel Pantehon Nero della poesia russa a cui appartengono anche Achmatova, Gumilëv, Mandel’stam e l’emigrante Chodasevic, e perciò quanto più talento vi è in questi versi tanto più essi sono nocivi e pericolosi”. Tuttavia, non lasciò la Russia, pur senza diventare il cantore d’altro che della vita (e del suo lato oscuro: “Mi pare d’essere al mondo da mille anni… mi è difficile stare con me stesso… vivere con me stesso”, scrive nel 1982). Nel 1966 pianse la morte di Anna Achmatova; nel 1986, da lontano, quella del figlio Andrej, che nei suoi film fece conoscere le poesie del padre, verso cui nutriva devozione. Tarkovskij, negli anni Settanta, è riconosciuto tra i grandi poeti russi di ogni tempo; nel 1987 è insignito dell’Ordine della Bandiera rossa del lavoro. Nello stesso anno un suo libro è tirato in 50mila copie. Fu Scheiwiller – certo, sull’onda del successo mondiale dei film di Andrej – a pubblicare le Poesie scelte di Arsenij Tarkovskij (1989) e le “prose varie, lettere” con il titolo Costantinopoli (1993); nel 2017 Giometti & Antonello raccoglie in un solo libro, memorabile, Stelle tardive. Versi e prosa, per la cura di Gario Zappi.
***
E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.
Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.
Non mi occorrono le date: io ero, e sono, e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso,
solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.
*
Quando in San Nicola al Mare
giaceva tra i fiori la misera spoglia,
la parola, umile e d’altra natura,
tenebrosa riluceva e severa
sulla cera di quella bocca superba.
Incomprensibile ne era il senso,
anche se compreso non lo si sarebbe serbato.
Ed era, come una fola, confuso
forse soltanto nel trepidio delle macchie
attorno alle candele che si smoccolavano.
L’ombra di quella fierezza vagabonda
sul ghiaccio nero della Neva,
sul deserto di neve del Baltico
e sull’Adriatico azzurro
volava alla vista di tutti.
*
Se ora riuscissi a non svelarmi fino in fondo,
a non dissipare tutto ciò che mi cantò l’uccello,
che cianciò il pieno giorno, che ammiccò la stella,
che fece scintillare l’acqua, che inacidì l’acetosella,
e lasciare per sempre in usufrutto entro me stesso
una dura sferetta nel sangue, colma di luce e d’incanto,
e se non vi fosse più via per il ritorno
riassorbirmi in essa, e non uscire più,
e: a caso, nell’aorta di uno qualunque.
Arsenij Tarkovskij
*Le poesie sono tratte da: Arsenij Tarkovskij, “Stelle tardive. Versi e prosa”, a cura di Gario Zappi, Giometti & Antonello 2017