30 Giugno 2023

“Basta guardarsi intorno e scriver come si sogna”. Bïf§zf+18: Soffici capolavoro!

Nel 1913, Ardengo Soffici lascia la redazione della «Voce» e fonda con Giovanni Papini la rivista di orientamento futurista «Lacerba», atto che sancisce l’adesione dei due al progetto di Marinetti, nonché la nascita del futurismo fiorentino. Il sodalizio e la rivista, però, non sono nati per una totale adesione ai dettami dell’avanguardia milanese. Si ricordi, infatti, che sia Papini che Soffici, ai tempi della «Voce», non avevano certo risparmiato critiche e stroncature ai protagonisti del futurismo. D’altronde, questo asse Milano-Firenze nacque a seguito di una spedizione punitiva organizzata da Boccioni per vendicare, appunto, una stroncatura ricevuta da Soffici.

Il nuovo gruppo fiorentino, dunque, è ben conscio delle differenze che corrono con la creatura marinettiana, ma decide di percorrere comunque la strada futurista in nome della lotta contro il comune nemico: la cultura accademica e la stagnazione artistica del Bel Paese. Ovviamente, queste basi si riveleranno ben presto poco solide, e, complice anche l’atteggiamento troppo dogmatico dei milanesi, il sodalizio non durerà che due soli anni. Il tempo fu però bastevole a far confezionare a Soffici quello che, probabilmente, è il miglior risultato poetico della stagione avanguardista italiana: Bïf§zf+18. Simultaneità. Chimismi lirici.

La silloge vide per la prima volta la stampa nel 1915; ebbe poi una seconda edizione nel 1919 e un’ultima versione nella raccolta Marsia e Apollo del 1938, in cui però l’autore ebbe la pessima idea di “riordinare” lo splendido caos che caratterizza la raccolta originaria. I tipografi della «Voce», a cui fu affidata la stampa della prima edizione, impazzirono letteralmente nel cercare di seguire le difficoltose indicazioni tipografiche fornite da Soffici; tra di loro ribattezzarono il volumetto “Bizzeffe”.

La raccolta è divisa in due sezioni, la prima intitolata Simultaneità e la seconda Chimismi lirici. Simultaneità contiene poesie in versi liberi composte nel corso del 1915, in un periodo successivo alla presa di distanza da Marinetti; Chimismi lirici sono dei poemi in prosa, composti nel corso del 1913, tendenti alle parole in libertà. Come si può comprendere dal titolo, la raccolta è caratterizzata da una estrema libertà espressiva e creativa, in alcuni casi influenzata dalle proposte formali contenute nei manifesti tecnici del futurismo. Il vero modello artistico a cui Soffici si ispira, però, è Guillaume Apollinaire. In particolare, il poeta-pittore sembra risentire molto l’influenza del manifesto dell’Antitradition Futuriste e dalla famosa raccolta Alcools, entrambi datati 1913. Il manifesto nasce dall’incontro di Apollinaire con Marinetti e Boccioni, nel corso della prima mostra a Parigi di quest’ultimo. Scritto in forma sintetica e con una certa creatività tipografica, Apollinaire raccoglie nell’Antitradition una sua scelta delle soluzioni formali futuriste, le uniche seguite da Soffici nelle sue poesie. Riguardo ad Alcools, invece, il poeta toscano rimane folgorato probabilmente dalla freschezza e ariosità delle liriche, nonché dalle ambientazioni urbane, immortalate nel loro colore e nel loro frenetico scorrimento vitale.

Proprio il tempo accelerato e caotico della vita cittadina ispira a Soffici il tema preponderante della raccolta, esplicitamente confessato nel titolo Simultaneità. Ora, quello del tempo è uno degli argomenti più caldi, nella riflessione culturale e artistica del primo Novecento. Le teorie di Einstein e di Bergson avevano messo in crisi lo storicismo romantico, ponendo le basi per un ripensamento del concetto di “passato”. D’altronde, le avanguardie artistiche nascono proprio in ragione di un approccio nuovo alla tradizione, che spazia dal rigetto totale a un tentativo di adattamento arbitrario alla modernità. Nel caso di Soffici, non ci troviamo di fronte a un netto rifiuto del passato, cosa che lo pone sin da subito in contrasto con il futurismo, di cui effettivamente mal sopporta l’eccessiva drasticità dei proclami.

Agli slogan dogmatici milanesi, Soffici preferisce un approccio dialettico: l’artista si muove tra contrasti e contraddizioni, alla ricerca di una sua sintesi personale. Traccia di questo atteggiamento la si ritrova anche nella questione temporale: la simultaneità è da leggersi infatti come sintesi perfetta tra presente e passato. Da una parte, c’è la forte volontà di non rinnegare la storia personale e collettiva. Soffici è consapevole che ciò che è stato è oramai un seme impossibile da estirpare, poiché ha messo radici salde più che nel pensiero nell’inconscio dell’autore. D’altro canto, una forte vitalità spinge il poeta a voler vivere «nella contingenza al pari dei fiori», con il presente identificato come l’unico momento temporale in cui è possibile affermarsi completamente e in totale libertà. La soluzione a questo contrasto sta nell’abolire ogni tipo di distanza, rinnegare la profondità temporale e vivere il presente e il passato nello stesso istante. Per ottenere questo risultato, è necessario procedere per associazioni, analogie ispirate dalla realtà sensibile, in un processo psicologico che vuole riaffermare il primato dell’intuito sul pensiero.

Per avere piena contezza di quanto affermato, soffermiamoci su una delle liriche più iconiche della raccolta, ovvero Arcobaleno. Si tratta di un componimento in versi liberi presente nella prima sezione, che prende inizialmente spunto da un avvenimento autobiografico specifico: il trentasettesimo compleanno del poeta. I primi versi recitano così:

«Inzuppa 7 pennelli nel tuo cuore di 36 anni finiti ieri 7 aprile
E rallumina il viso disfatto dalle antiche stagioni»

Il riferimento ai trentasette anni è un richiamo indiretto ad Arthur Rimbaud, morto proprio poco dopo averli compiuti. Per Soffici, ma anche per molti poeti della sua generazione, Rimbaud rappresenta il vertice della poesia, sia da un punto di vista della produzione scritta, sia per la leggendaria vita bohémien da lui condotta. Soffici gli dedicò pure una breve monografia, con lo scopo di diffonderne la conoscenza in Italia. Ora, in questo periodo Rimbaud arriva a simboleggiare il poeta puro, totale, che riesce a produrre arte ma anche a fare della sua vita un’opera d’arte, fuori dai dettami borghesi alla ricerca di una libertà inquantificabile. Il riferimento al poeta francese, dunque, è in verità un riferimento al doppio artistico di Soffici stesso, che il poeta denomina infatti con la seconda persona singolare “tu”:

«Tu hai cavalcato la vita come le sirene nichelate dei caroselli in fiera
In giro
Da una città all’altra di filosofia in delirio»

Altra caratteristica che accomuna l’artista a Rimbaud è appunto la vita girovaga, fatta «di filosofia in delirio». I luoghi e le esperienze vissute si sovrappongono in maniera inconscia nel poeta, risvegliate e stimolate da richiami esterni.

“La storia e fuggevole come un saluto alla stazione
E l’automobile tricolore del sole batte sempre più invano il suo record fra i vecchi macchinari del cosmo
Tu ti ricordi insieme ad un bacio seminato nel buio
Una vetrina di libraio tedesco Avenue de l’Opéra
E la capra che brucava le ginestre
Sulle ruine della scala del palazzo di Dario a Persepoli
Basta guardarsi intorno
E scriver come si sogna
Per rianimare il volto della nostra gioia”

L’abolizione della distanza interessa dunque non solo il tempo, ma anche lo spazio, dato che la stessa immagine può evocare tanto l’avenue de l’Opéra, quanto le rovine di Persepoli. L’artista si fa dunque deus ex machina totale, evocando luoghi e tempi diversi e lontanissimi, mettendoli tutti al suo personale servizio. Tutto questo ha l’effetto di ravvivare quel «viso disfatto delle antiche stagioni», rianimando «il volto della nostra gioia» («nostra» perché tanto dell’artista quanto dell’uomo). Il processo di dissoluzione spazio-temporale provoca un benefico effetto di leggerezza, ariosità e vitalità, che si riflette su tutto il componimento. In tutto questo, però, non mancano incursioni malinconiche, quando il poeta stesso ricorda a sé e al lettore che questa immensa libertà, questo immenso potere, è limitato al momento poetico. Nella realtà il tempo continua il suo abituale scorrimento, immutato e forse immutabile dai sogni dell’artista. In un’altra poesia della raccolta, Noia, Soffici scrive:

«Tutto si ripete e ricalca le vie di ogni giorno
L’orologio che non batte le ore
Che ogni sessanta minuti precisi
E non riposa mai
Né fa lo scherzo di mettersi a girare all’indietro
È il simbolo legalizzato di questa vita
Che ci annoia» 

L’hic et nunc non può fare a meno di riaffacciarsi, facendo presente che tutto passa, tutto invecchia perché l’orologio continua nonostante tutto a ticchettare. Se il passato ispira nostalgie poetiche, il presente è il luogo di affermazione viva della libertà artistica, il futuro, appena evocato dal prevedibile ticchettio dell’orologio, con la sua regolarità e la sua routine, non può che farsi simbolo di morte. E come stupirsi dunque, che dopo la Grande Guerra Soffici abbia rinnegato il suo periodo futurista?

Nicolò Bindi

Gruppo MAGOG