“È tempo di cambiare le parole, di spegnere la lanterna”. Marina Cvetaeva contro il regime sovietico
Cultura generale
Ezio Mauro
Caro Antonio,
è poesia del voto, la tua, già nell’esergo di Proiezioni dell’emisfero australe e dell’emisfero boreale (Interno Libri, 2023):
Non dirò più che non credo
ma tu falla dormire
(voto)
Sebbene in parentesi, è esplicito il suo contenuto, diretto. Rappresenta una promessa di venire al dunque con Dio, per un amore, per l’Amore. Ma perché chiedere il sonno?, perché chiedere di dormire? Il lettore entra in un enigma. Dopo è tutta tenerezza il verso, a seguito di quella partenza, anche se è poesia che alla prima lettura si nega al sentimento, perché vuole essere moderna, tormento espressivo, che combatte la poesia sul suo stesso fronte, per dissodare quel terreno, per trovare una verità nuova, e insieme perenne, invisibile, nascosta (“nascondiglio perché qui c’è grazia”, si legge a pag. 58, e forse lo stesso riposo, il dormire dell’inizio è grazia, anzi, nascondiglio e riposo possono significare riparo, ristoro al male della vita).
Il centro è la parola, e sta in un punto felice (Io resto/ fermo bersaglio/ in ogni mio punticino), dentro una costellazione luminosa e ferita che è fatta di nomi eccelsi di grandi poeti, richiama letture e riletture, ma anche luoghi, esperienze che ancora faticano a sciogliersi, insopprimibili, giacché hanno bisogno di un canto, di affidarsi ad esso per vivere, e trovarsi rinnovati nella poesia, nel nuovo che riflette sé stesso, trasceso in memorie, pensieri, eventi.
Il mistero è questo.
Sono mattinate
indugiate
a sognarsi.
Accade, la poesia accade, la sua verità irriducibile si rivela, onirica, di verità misteriosa sognata in un verso. Una sorta di sacro attraversa tutto, nella prima nebbia, nelle nuvole, o in una boulangerie, o d’inverno, o nei passi che si compiono, nel mondo, nel particolare universale del mondo, inverosimilmente abbracciati a esso per proiezione mentale e profondità umana, inoltre poetica, in atto, che vuol dire la forma di una bocca, il vuoto, l’immergersi di un cucchiaino in una tazza, gli incanti, i profumi, i giardini, il mistero del bene, gli sbalorditi concepimenti.
Fruttifera sera:
essere generato,
essere testimoniato
simile a un tronco
a qualsiasi vita.
Qui si nasce soltanto, di continuo. Come la prima volta. Colpo di scena: “Non per poesia” (la negazione fa saltare sulla sedia). A un certo punto ecco che cosa è scritto, nella lirica intitolata Gli occhiali (pag. 43):
Non per poesia, sono diottrie
invincibili, globi fra le nove e le dieci:
completamente la vera, nuovissima ah!
giunge per antichissima tecnica
a questo approdo –
sa bene che vano oblungo
arguire – è vano (non quei tondi
vermigli) (allora qui perpetua-
mente) perché finalmente.
È uno stile che si propaga per grazia, per volontà a un dettato quasi esterno, eppure di metodo. Infatti, da dove viene la tua poesia, caro Antonio, se non dall’esperienza, se non dalla realtà che vivi, che hai vissuto nel tempo, che preme, ed io so quanto ti senti assalito a volte, accerchiato, quanto combatti per emergere, per non smettere. È incancellabile l’ordito che forma intorno a noi l’esistenza, con le sue giornate marce, e le sue attese interminabili, esasperanti; ma se non fosse questo, se la vita non avesse bisogno di una riconsiderazione continua, di un rilancio sistematico, di un accendersi, di un trascendersi in effetto, diciamo così, nel cuore, nella carne, non ci sarebbe, forse, nemmeno poesia, nemmeno sguardo, il nostro, condizione necessaria allo scrivere. Perciò si può parlare addirittura di sacrificio, offerta totale di sé fin nella radice più profonda, problematica dell’anima, in bilico. Cito chi scrive di te, del tuo nuovo libro:
“L’io smette di appartenersi, gioca a morire volontariamente, a disfarsi o a nascondersi, a eludere o a far dileguare la stessa esperienza del presente per rivendicare un inedito spazio di sospensione, tanto impossibile quanto seducente: e invece di segnare, di demarcare o di stabilire qualcosa, la poesia di Trucillo decide di disertare, di sbandare, di abbandonare il campo”.
Così dalla prefazione di Mario Fresa, scalfita fino all’essenziale, fino all’incandescenza! Tuttavia la parola seducente mi colpisce, prende il sopravvento, emblematico direi, perché la poesia rappresenta un accesso privilegiato al mondo, sempre in attesa di dire che cos’è il mondo, la sua meraviglia, qui proiettata.
Vincenzo Gambardella