04 Maggio 2019

Mussolini, la vendetta: Antonio Scurati continua a inanellare strafalcioni storici. Nel secondo volume del suo ciclo di romanzi sul fascismo ci attendiamo almeno l’indicazione precisa delle fonti

Esalta il 25 aprile come mito sacrosanto della Repubblica; rilascia interviste quasi quotidiane a una miriade di giornali di orientamento culturale diverso; ma distingue un fascismo regressivo da un altro «più moderno e progressivo». Questo il leitmotiv che conclude l’intervista concessa da Antonio Scurati a Luca Mastrantonio sull’inserto settimanale «C7» del «Corriere della Sera» (25 aprile 2019, n. 1615, pp. 70-73).

Nel suo articolo-intervista Mastrantonio annuncia il secondo volume della trilogia che Antonio Scurati sta per consegnare all’editore Bompiani. Ci auguriamo che il nuovo volume, che segue M. Il figlio del secolo, (Bompiani, 2018), non sia zeppo di strafalcioni storici come il primo, considerato dall’articolista un libro «fortunato» per il «largo successo di pubblico» e per la promozione di «accesi dibattiti storico-politici». Che cosa renda un libro fortunato non rientra nella sfera di un commento storico, ma che abbia provocato un acceso dibattito sembra una forzatura derivata dal vezzo giornalistico di attribuire meriti non dovuti anche a libri di scarsa consistenza storica.

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Ad eccezione di Ernesto Galli della Loggia e di David Bidussa, l’uno critico verso il libro di Scurati e il secondo elogiativo, non risulta che esso abbia avuto un così largo dibattito negli ambienti della «communitas studiorum» degli storici. Una campagna pubblicitaria martellante e una spasmodica attività dell’autore hanno trasformato un libro zeppo di incongruenze e di svarioni in un best seller, indicato da G. Caldiron come «un romanzo che dando voce ai protagonisti» del primo fascismo ricostruisce «centinaia di episodi e decine di figure» e «sembra illuminare una nuova consapevolezza un capitolo decisivo della storia italiana» («Intervista ad Antonio Scurati: “Dare voce a Mussolini per liberarsi di lui”, «il manifesto, 23 aprile 2019».

Ci duole l’accoglienza negativa riservata al libro di Scurati da parte di quelli che egli definisce «isterici nostalgici del Duce», che hanno coperto il citofono con un pennarello nero, ma ci rattrista ancora di più che gli storici italiani non abbiano denunciato gli innumerevoli saccheggi perpetrati dall’Autore. E poi a chi può interessare la descrizione dello studio di Scurati, con il suo divano nero e con la statua colorata di Wonder Woman in bella mostra, oppure l’esposizione di una copia originale de «l’Unità» e dei volumi della destrorsa Testa di Ferro?

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In attesa del secondo volume, siamo curiosi di sapere che cosa abbia scoperto di nuovo l’Autore nella descrizione dello scandalo politico-finanziario che coinvolse negli anni 1926-28 il «sindaco» Ernesto Belloni. Possibile che il giornalista del «Corriere» non sappia che in quegli anni il sindaco era denominato podestà e sottoposto all’autorità governativa, ossia al Capo dell’esecutivo Benito Mussolini? Possibile che l’Autore cada in un errore così grossolano da distinguere un fascismo «regressivo» e un altro «più moderno e progressivo»? Per comprendere l’interpretazione erronea dell’Autore, bisogna tenere presente che tutta la vicenda era gestita dal duce, per cui è sbagliato parlare di un fascismo moderno dal momento che i due contendenti della questione sono Ernesto Belloni (1883-1938) e Roberto Farinacci (1892-1945), entrambi lontani dalla concezione attribuita loro da Scurati.

La convinzione trae origine dal tema centrale del nuovo volume, che «sarà centrato sullo scandalo politico finanziario che coinvolse Belloni, sindaco di Milano dal 1926-28». In realtà Belloni, primo podestà di Milano e legato da viva amicizia con Arnaldo Mussolini (1885-1931), fu travolto dallo scandalo di una tangente, che venne strumentalizzata da Farinacci per suoi interessi reconditi. Il caso aveva messo in rilievo il peso della campagna moralizzatrice avviata da Farinacci tramite l’organo «Il Regime fascista», con cui rivolgeva numerose critiche a personalità dell’establishment finanziario, tra cui quella relativa alla nomina di Ettore Conti all’Ente petroli. La critica suscitò l’ira del duce, che – come rileva Matteo Di Figlia nel saggio compreso «Il fascismo dalle mani sporche» (Laterza, Roma-Bari 2019, pp. 32-33) – rintuzzò le lamentele di Farinacci, scrivendogli il 21 maggio 1926 che il petrolio «non è fascista né antifascista ma è purtroppo soltanto straniero» (nota 34, p. 33). Fatto sta che il duce non ammetteva nessuna illazione sul fratello, il cui amore fraterno lo portava a confidargli che durante il processo Farinacci-Belloni (ottobre 1930) «si va determinando una certa resistenza allo scempio della logica e all’atteggiamento subdolo di molta gente al processo di Cremona» («Carteggio Arnaldo-Benito Mussolini», a cura di D. Susmel, La Fenice, Firenze 1954, p. 198).

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Dalla lettura della corrispondenza dei fratelli Mussolini e dai saggi riuniti nel volume ed egregiamente curati da Paolo Giovannini e Marco Palla, si ricava l’erroneità della tesi di Scurati, per cui non si può parlare di un fascismo progressivo per le mire personali di Farinacci e per la feroce dittatura esercitata da Mussolini e (p. 5). Riguardo ai rapporti con Mario Giampaoli (1893-1944?), Scurati considera il gerarca fascista un malavitoso, senza tenere presente che egli godeva di larga simpatia negli ambienti cittadini milanesi. Per esempio, in occasione del suo matrimonio, celebrato nel 1928, Giampaoli ricevette numerosi regali da imprenditori e commercianti per un valore di un milione di lire. Da questi episodi si può dedurre l’inanità della tesi di Scurati, che rilascia interviste su episodi difficilmente intellegibili se non siano documentati e spiegati nei minimi dettagli con l’ausilio anche dei carteggi e della lettura attenta della documentazione. L’augurio è che il prossimo volume sia documentato con l’indicazione precisa delle fonti.

Nunzio Dell’Erba

Gruppo MAGOG