Parecchio tempo fa Valerio Ragazzini mi fece dono di un libro di poesia. Un gesto che merita attenzione, cura, da parte di chi lo fa, ma persino da parte di chi lo riceve. Sì, perché il libro non era suo. Da quanto ne so, Ragazzini non scrive poesie ma racconti, ed è fine critico. Io, purtroppo, non attratto dalla copertina né dalla fattura del libro (forse perché semplicemente stampato in tipografia), subito lo abbandonai sulla scrivania, lasciandolo (col tempo) immerso sotto mille carte, libri, manoscritti, documenti. E feci male.
Feci male perché proprio ieri sera un altro amico mi segnala lo stesso autore. Decido quindi di prenderlo in considerazione, di andare a cercare chi diavolo sia Antonio Camaioni, ed il nome ‒ appunto ‒ non mi è nuovo.
Non trovando quasi nulla in rete, mi torna alla mente un libro interamente rosso, stampato dalle Edizioni Tracce. Vado quasi sicuro davanti alla libreria di poesia e alla lettera C lo trovo, lo prendo, inizio a sfogliarlo e poi a leggerlo.
La poesia sotto forma di destino mi si palesa nuovamente. L’incontro fortuito, casuale; la perfetta circostanza ribadisce una vocazione. Proseguo oggi, in treno, la lettura. Si tratta di una poesia in metrica, per lo più endecasillabi e settenari; e ciò che leggo mi prende, mi affascina, mi porta nella bellezza di un verso antico quanto potente, mentre in mezzo alla nebbia attraverso le risaie, con quell’acqua specchio che le bagna, tracciando, icastica, quasi un sentiero.
I punti di riferimento di Camaioni sono Rebora e Campana. Dal primo il poeta attinge il grandioso furore morale, che affonda nel male della vita, nell’errore, nell’angoscia della solitudine, del disfarsi delle stagioni, della carne, della mente, dei sentimenti, di fronte al dolore infinito dell’esistenza, ma anche la tensione mirabile verso la luce, la vetta di una primavera che si riaffacci al di sopra del putridume, della confusione e della disgregazione delle cose.
Di Campana la poesia di Camaioni ha il rovello acuminato e doloroso della scrittura come invenzione. Del resto, i suoi viaggi, quei dieci anni in Africa, forse fanno anche di lui un novello e modernissimo Rimbaud, che al suo ritorno conobbe la Comunità San Patrignano di Rimini.
Per chi andava a trovarlo, i suoi racconti erano vita e poesia insieme che si manifestavano e si integravano. La vita chiamava la poesia e la poesia riviveva l’avventura dell’essere. L’uomo e il poeta Camaioni sembrano assumere in sé il peso del dolore, della gioia, della rabbia, della diffidenza, dell’inganno, del gioco, della tenerezza e della contraddizione di un mondo ormai in via d’estinzione che ha, o che ha avuto, in sé, il tarlo del maligno e la grande visione della resurrezione. Forse proprio per questo la sua persona era segnata dalla poesia come destino.
Un poeta minore, dunque. Ma non per questo da dimenticare, come feci io. Anzi, addirittura potrebbe assurgere a poeta imprescindibile tra i minori, per chi ama per davvero fino in fondo la poesia, al punto da dedicarci una vita intera. (Giorgio Anelli)
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Da stelo a sterpo, da testa a teschio:
ossami rosicchiati
da afasie che frugano, affamate,
mucide madie e vuote,
di parole…
…
Ma dove, dove quei cigli, quei palpebrii
di sogni e segni d’orizzonti, dove?
Parrebbe nulla più valga la pena, o appena
un sonno, un breve oblio
la notte non c’è un lume,
più nessun’itineraria stella;
solo abbagli stridenti a vitrei scuri
e polveri, macerie: materie prime
d’ogni umana industria –
o catarro di gemiti, d’ingoiati aneliti!
(Ma ancora, qui,
tra ruderi d’orienti,
tu al mistero attendi:
intesa foglia a un soffio,
sospesa eco tra silenzio e labbro,
tra rinuncia e slancio: nel presagio
che nessuna voce, che nessun annuncio…
*
Rincorsi libertà in ogni partenza –
non volto al giungere ma all’andare incontro –
nei gesti che raccolsero il necessario, il caro.
La intravidi in albe rivolanti
dalle ferite delle serrature,
negl’embrionali sonni degli erranti:
fanciullo in fuga dai lacci degli affetti –
l’ho sfiorata –
per poi intrecciarli briglie lucenti di ritorni:
in asili di vecchiaie tacite e belle,
pupille immerse nel blu: a pescarmi perle…
Antonio Camaioni