Quando Kuno Meyer, nel 1911, per Constable & Company, a Londra, pubblica Selections from Ancient Irish Poetry sa di compiere un gesto, per così dire, politico. Contro “l’ignoranza degli storici inglesi che scrivono senza conoscenza diretta delle fonti”, contro la loro “ingerenza”, l’accademico ribadisce la grandezza della cultura irlandese, il primato della poesia d’Irlanda:
“Lentamente, si sta riconoscendo in circoli sempre più ampi che la letteratura volgare dell’antica Irlanda è la più primitiva e originale tra le letterature dell’Europa occidentale”.
Cosa vuol dire? Che secondo Kuno Meyer l’Irlanda è una enclave lirica che non ha subito “la potente influenza denazionalizzante di Roma”, a differenza dei “Galli romanizzati” e della “Gran Bretagna occupata dalle milizie romane”. Perfino il monachesimo irlandese testimonia la vivacità autoctona della cultura d’Irlanda, legata a “un cristianesimo che proviene dalla Britannia, non direttamente da Roma e che forgia una Chiesa distante dal centro d’influenza romano, tagliata fuori dal resto della cristianità, che si sviluppa intorno a idee nazionali”. Cinque anni dopo, nel 1916, l’insurrezione di Dublino, la morte di James Connolly, la repressione nel sangue: preludio alla Guerra d’indipendenza.
Accademico tedesco, nato ad Amburgo il 20 dicembre del 1858, Kuno Meyer si era specializzato in filologia celtica a Edimburgo e a Lipsia; accoglierà l’incarico all’università di Liverpool. Pioniere degli studi celtici, traduce in inglese corrente La visione di Mac Conglinne (1892), l’Immram Brain (1894), il Cáin Adomnáin (1905). L’antologia dell’antica poesia d’Irlanda, Selections from Ancient Irish Poetry, è il suo capolavoro: non ha un impianto accademico, è un libro di lettura. Finalmente, per tutti, in una lingua aggraziata, non priva di ispirazione, è possibile leggere I lamenti di Deirdre, gli antichi canti religiosi irlandesi, le memorabili odi sulla natura – come l’immane Song of the Sea: “Quando il vento scatta da Nord, ispira onde/ feroci, in lotta contro/ il cielo immane/ mentre ascoltiamo i sussurri delle streghe” –, le profezie dei bardi, gli strazianti canti d’amore – il Liadain e Curithir, ad esempio – gli apoftegmi di re Cormac, che, assemblati, costituiscono un rustico libro dei proverbi trapiantato in terra d’Irlanda. I testi – di cui traduciamo un rapido florilegio – hanno spesso una bellezza marziale; il libro diventò una specie di manuale identitario: l’indipendenza d’Irlanda era giustificata dall’indipendenza culturale, dall’intraprendenza lirica, secolare.
Il lavoro di Kuno Meyer era preparato, per così dire, da una serie di fenomeni nati parallelamente ai suoi studi: nel 1893 nasce la Gaelic League (Conradh na Gaeilge), l’anno prima era stato fondato il Gaelic Journal; intorno a William B. Yeats, che nel 1888 aveva raccolto i Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry, si sviluppa la cosiddetta “Irish Renaissance”. Per avere una idea del lignaggio poetico, per così dire, che ha fondato la cultura irlandese bisogna leggere La Dea Bianca di Robert Graves:
“Gli antichi Celti facevano un’accurata distinzione fra il poeta, che in origine era anche sacerdote e giudice e la cui persona era sacrosanta, e il semplice menestrello. Il primo in irlandese era chiamato fili, veggente… Persino i sovrani erano soggetti alla sua autorità morale”.
Kuno Meyer non riuscì ad assistere ai disordini irlandesi: durante la Grande Guerra si trasferirà presso la Columbia University. Un discorso filo-tedesco, tenuto nel 1914, lo rese ostile ai britannici; fu dichiarato non gradito a Dublino e a Cork, gli levarono la cattedra onoraria di studi celtici a Liverpool. Fu lentamente riabilitato: Douglas Hyde, primo presidente della Repubblica d’Irlanda, lo dichiarò “una delle personalità più autenticamente amabili che abbia mai conosciuto, un vero innamorato dell’Irlanda”.
Kuno Meyer era morto a Lipsia, nell’ottobre del 1919: la vita americana gli pareva impossibile. Quattro anni prima, in California, ricoverato in seguito a un incidente ferroviario, conobbe Florence, ventisettenne dal carattere volitivo, di cui si innamorò. Si sposarono, pochi giorni dopo il loro incontro. Non riuscì a fare ritorno nell’amata Irlanda.
***
Antica poesia irlandese
Il canto dell’eremita
O Figlio del Dio vivente, antico, eterno Re,
non desidero che una piccola capanna
confitta nel deserto: che sia la mia dimora.
Una piccola grigia allodola al mio fianco
una pozza di acqua limpida per pulire
i peccati tramite la grazia del Santo Spirito.
Non troppo distante, un bosco, vasto,
per curare gli uccelli dalle mille voci
e dar loro riparo se ne hanno bisogno.
Calore dal volto meridionale
e un ruscello tra gli erbosi, terra
che sappia donare piante.
Pochi uomini di buon senso, umili
e obbedienti per pregare il solo Re:
sei coppie per pregare il solo Re, il nostro sole.
Una chiesa semplice, dimora rivolta al Dio
del cielo: candele che splendono
sopra il bianco purissimo delle Scritture.
Vesti e cibo sufficienti per dedicare
le mia vita al Re: pregare Dio
in silenzio, Lui, che è ovunque.
*
Terrore vichingo
Questa notte il vento è duro:
l’oceano ha i capelli bianchi.
Questa notte non temo soltanto
i feroci guerrieri di Norvegia
che solcano il mare d’Irlanda.
*
Il merlo
Ah, merlo, soddisfatto
del tuo nido tra i cespugli:
eremita senza bastone
dolce, delicato, pacifico
è il tuo canto.
*
Il canto di Crede, figlia di Guare
Durante la battaglia di Aidne, Crede, la figlia di re Guare di Aidne, vide Dinertach degli Hy Fidgenti, giunto in aiuto di Guare con diciassette ferite nel corpo. Si innamorò di lui, che fu sepolto nel cimitero della chiesa di Colman.
Frecce che uccidono il sonno
ad ogni ora della gelida notte:
pene d’amore ad ogni ora del giorno
per il desiderio dell’uomo di Roiny.
Amore enorme per un uomo di terra straniera
venuto da me al di là di ogni circostanza:
la mia fioritura ha carpito, nessun colore
mi è rimasto – non mi dà riposo.
Più dolce del canto il suo dire
perpetua adorazione al Re dei Cieli:
rogo di gloria, nessun orgoglio sulle sue
labbra: compagno speciale per una donna.
Ero una bambina timida
che mancava gli appuntamenti:
ma questa è la mia età ribelle –
eppure, l’audacia mi ha ingannata.
Ogni bene mi è dato da Guare
il sovrano del gelido Aidne:
ma la mia mente, su quel prato,
si è allontanata dal popolo.
Inno sul prato della gloriosa Aidne
intorno ai lati della chiesa di Colman:
fiamma gloriosa scomparsa in una tomba:
Dinertach era il suo nome.
Il cuore, impietosito, soffre:
che razza di sorte mi è toccata
frecce che uccidono il sonno
ad ogni ora nella notte gelida.
*
Dalle Istruzioni di Re Cormac
“O Cormac, genia di Conn, quali erano le tue abitudini da ragazzo?”, disse Carbery.
“Facile dirlo”, disse Cormac.
“Ascoltavo i boschi
fissavo le stelle
cieco per ciò che concerne i segreti
silente nei deserti
loquace in mezzo ai tanti
mite nell’aula dell’idromele
duro in guerra
generoso con gli alleati
ho curato i malati
caritatevole coi deboli
forte coi potenti
non ho tramutato la saggezza in arroganza
non ho voltato l’intimità in sopruso
ho preferito evitare promesse vane
non mi avventuro negli eccessi
da ragazzo non ho deriso gli anziani
da eroe non sono stato presuntuoso
non sparlo di chi è assente
all’accusa e al rimprovero prediligo la lode
non sono uno che chiede, ma che dona –
grazie a questa pratica i giovani diventano guerrieri, vecchi e regali”.
“O Cormac, genia di Conn: qual è la cosa più brutta che hai visto?”, disse Carbery.
“Facile dirlo”, disse Cormac: “I volti dei nemici mentre siamo in rotta”.
“O Cormac, genia di Conn: qual è la cosa più dolce che hai provato?”, disse Carbery.
“Facile dirlo”, disse Cormac:
“Il grido di trionfo dopo la dura lotta
la gloria che segue alla fatica
e giacere sul cuscino di una dolce ragazza”.
“O Cormac, genia di Conn: come puoi distinguere le donne?”, disse Carbery.
“Facile dirlo”, disse Cormac:
“Le compagne che si mutano in granchi
altezzose durante gli incontri
impossibili quando sono trascurate
consigliere civettuole
avide di averi
dal volto rivelatore
salde nell’odio
litigiose in mezzo agli altri
dimentiche dell’amare
scaltre nelle alleanze
abituate alla calunnia
testarde nelle liti
a cui non puoi confidare un segreto
chiassose nella gelosia
elaborano qualsiasi scusa
geniali nella calunnia
sprezzanti verso i giusti
cupe e implacabili
virili nella lotta
patetiche mentre ascoltano una musica
lussuriose a letto
arroganti e false
godono dell’ira altrui
non sono prodighe
malsopportano i viaggi
sono sorde all’istruzione
fatue in società
schiave delle raffinatezze
languide, chiacchierone
eloquenti nella vanità:
beato chi da loro non si fa avvincere!
devono essere temute più del fuoco
temute più delle bestie feroci:
è bene guardarsi da loro, non fidarsi
meglio calpestarle che accarezzarle
meglio schiacciarle che adorarle:
sono onde che ti affogano
rogo che ti incenerisce
armi che ti feriscono
tenaci come falene
astute come serpi
fiotti di tenebre nella luce
crudeli tra i buoni
tra i cattivi, le peggiori”.
“O Cormac della genia di Conn: qual è la cosa peggiore per il corpo di un uomo?”, disse Carbery.
“Facile dirlo”, disse Cormac: “Stare seduti troppo a lungo, stare sdraiati troppo a lungo, e troppo a lungo in piedi; sollevare cose pesanti, sforzarsi oltre il limite delle proprie forze, correre troppo, saltare troppo, cadere di frequente, dormire con la gamba oltre la sponda del letto, fissare i tizzoni ardenti, bere troppa birra nuova, mangiare troppa carne di toro, cibo secco, alzarsi troppo presto, stare al freddo o al sole, bere e mangiare troppo, dormire troppo, troppo peccare, gridare contro il vento, asciugarsi al fuoco, smuovere la cenere, nuotare a stomaco pieno, dormire supini, scatenarsi in modo insensato”.
“O Cormac, genia di Conn, dimmi come comportarmi tra i saggi e gli stolti, tra gli amici e gli sconosciuti, tra i vecchi e i ragazzi, tra i giusti e i malvagi”, disse Carbery.
“Facile dirlo”, disse Cormac:
“Non essere troppo saggio né troppo sciocco
non essere troppo presuntuoso né troppo diffidente
non essere troppo superbo né troppo umile
non essere troppo loquace né troppo silenzioso
non essere troppo duro né troppo morbido.
Se sei troppo saggio da te ci si aspetterà molto
se sei troppo sciocco, sarai ingannato
se sei troppo presuntuoso ti giudicheranno molesto
se sei troppo umile non otterrai onori
se parli troppo non ti ascolterà nessuno
se stai troppo in silenzio non sarai considerato da nessuno
se sei troppo duro verrai spezzato
se sei troppo debole sarai schiacciato”