21 Giugno 2019

Oggi il principe William compie gli anni. Festeggiamo con un articolo di Anthony Burgess sul matrimonio tra Carlo & Diana, in cui ci spiega perché la monarchia è meglio della repubblica

Oggi 21 giugno spegne le candeline il principe William. Difficile trasmettere in Italia cosa voglia dire il compleanno di un reale del Regno Unito. Forse noi siamo più concreti, andiamo al sodo e non ci perdiamo a festeggiare anniversari e onomastici del caso.

Sia come sia, è l’occasione perfetta per rispolverare una volta di più un esempio eccellente di giornalismo in bilico tra attualità e pausa di riflessione: Anthony Burgess. È autore di un pezzo dove corteggia scioccamente l’effimero: fu scritto in occasione del matrimonio infausto di Diana e Carlo, correva l’anno 1981 e sappiamo com’è andata a finire tra i due coronati… e però il nostro scrittore-giornalista strappa qualcosa in più dall’evento, dandoci la sponda per capire meglio cosa siano lassù i regnanti – il suo punto di vista è di grande incidenza perché non fu mai monarchico bensì conservatore, in altre parole ‘giacobita’. L’ultimo re cattolico aveva questo nome, era il Seicento. Eppure nel Regno Unito ha senso usare queste parole.

Del resto, il pezzo di Burgess è anche un utilissimo avviamento a una intesa più comprensiva del termine ‘sovranista’ che di questi tempi è moneta sporca e di cattivo corso. Vi si fa continuo riferimento al ‘popolo’ inglese per spiegare le cose.

L’articolo sui reali inglesi si trova sul sito della Burgess Foundation e fu pubblicato in francese su Paris Match. Serve non solo per rinfrescare la memoria e capire perché ad Albione si festeggiano certe ricorrenze, ma soprattutto per l’esempio limpido di Burgess.

Andrea Bianchi

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Perché amiamo questa famiglia di usurpatori del trono

Sul letto di morte mio padre mi fece giurare che non avrei mai giurato fedeltà alla dinastia degli Hannover, e mi ricordò che l’ultimo vero re di Gran Bretagna era stato deposto nel 1688 e quelli che l’avevano seguito erano stati usurpatori ed eretici.

Questo fu un momento insolito, di quelli che pensavo avrebbero divertito i miei lettori, francesi e repubblicani. È comunque dubbio che questi capiscano appieno quel che succedeva nella mente di mio padre mentre ragionava in quel suo momento di dolore. Lui era di una vecchia famiglia di cattolici inglesi che si erano rifiutati di sostenere la Riforma. Re Enrico VIII aveva forzato l’Inghilterra perché rompesse con la Chiesa di Roma e aveva dato al popolo la scelta di riconoscere il monarca come capo della Chiesa e vivere in pace, oppure insistere nella fedeltà al Papa come capo della sua Chiesa e, al modo di Tommaso Moro, andarsene al patibolo pubblico. La mia famiglia non era importante al punto da vantare qualche martire e si mantenne quieta nella sua adesione a Roma. Venne però un giorno, nel 1685, quando Giacomo Duca di York – notevole soldato che odiava i Protestanti olandesi e che diede il nome a New York – salì al trono come Giacomo II. La nonna di sua moglie discendeva da Maria Stuarda, regina dei cattolici scozzesi ed eliminata dai protestanti inglesi, e Giacomo rimase fedele alla religione familiare. Restaurò il cattolicesimo in Britannia ma il popolo si rifiutò di tornare alla religione precedente. Quindi offrirono la corona a un Protestante olandese di nome Guglielmo d’Orange il quale aveva appena sposato la figlia protestante di Giacomo, Maria; alla morte di costei il trono passò al ramo tedesco della famiglia Hannover, famiglia che fino a oggi è rimasta insediata a Buckingham Palace.

Ma Giacomo II aveva altri discendenti, il più famoso dei quali è il principe Carlo Edoardo Stuart, ‘Bonnie Prince Charlie’. Nel 1745 condusse un esercito scozzese e cattolico contro i protestanti inglesi per tentare di riguadagnare il trono di Britannia. Gestì male le cose ma rappresentò l’ultimo legittimo erede al trono per i cattolici di Inghilterra e Scozia. Costoro erano lealisti e si chiamarono ‘giacobiti’ in onore del nonno di Giacomo II, e mio padre stava con loro. Nell’insieme ho rispettato le sue ultime volontà. Penso ancora che gli Hannover siano degli usurpatori e che se ci fosse uno Stuart cattolico esiliato in Francia che volesse rovesciare i regnanti attuali, probabilmente gli giurerei fedeltà. Questa certamente è pura fantasia romantica.

Interessa di più il fatto che moltissimi dei Giacobiti del genere di mio padre, e di mio nonno prima di lui, non divennero repubblicani. In assenza di un re cattolico preferirono qualsiasi monarca protestante rispetto al presidente eletto: che fosse libero muratore, tedesco, Ebreo oppure Ottentotto non faceva differenza. Ché il repubblicanesimo non è mai garbato agli Inglesi. […] Solo Oliver Cromwell governò la Gran Bretagna come una specie di presidente e gli affibbiarono il nome curiosissimo di ‘Lord Protettore’. Ma quando morì, i Britannici vollero un nuovo re. Da allora, le cose non sono mai cambiate. Diversamente dai Francesi, i Britannici non sono inclini ad appioppare giustificazioni intellettuali ai loro sentimenti da basso ventre; e se vi trovate a chiedere al tipico abitante del Regno Unito di oggi se davvero dovremmo festeggiare il matrimonio reale, vi risponderà che ama la regina e la sua discendenza – vi dirà questo, liscio come l’olio. E magari aggiungerebbe, con un certo ardore, qualcosa del tipo: “Cor blimey guvnor! They’ve never done any wrong to us, have they? I mean to say, they’re not like those dodgy politicians, are they?” (“Perbacco questi padri nobili! Mica ci hanno mai fatto del male no? Non sono come quei rognosi dei politici no?”). E qui, a mio avviso, sta tutta la faccenda. I signori Mitterand e Regan, due buoni presidenti, sono uomini politici e come tali sono pericolosi, perché vogliono potere, non avrebbero concorso per quell’incarico se non avessero pensato che esercitare il potere sia la cosa migliore al mondo. Lord Acton che fu filosofo, storico e statista disse queste parole: “Tutto il potere corrompe. Il potere assoluto corrompe in modo assoluto. Tutti i grandi uomini sono indiavolati”. I Britannici trovano vere queste parole e vedono nella loro monarchia un potere che non è fondamentale, né è desiderato fortemente da chi lo possiede e che quindi, in fondo, non è così rilevante. […]

È probabile che per i Britannici il senso di continuità nazionale, incarnato dalla monarchia, sia il fattore più importante sopra qualsiasi altro esempio di moralità che la famiglia reale possa comunicare. Il popolo non ha mai combattuto contro un sovrano immorale. Edoardo VII era un celebre ubriacone, un devoto del gioco d’azzardo, un mangione e un fornicatore che allestì l’Intesa cordiale con la Francia e amava l’alta cucina; ma il popolo amava anch’esso la sua trivialità carnale, prendendola per una garanzia di virilità. Se la regina oggi mantenesse in segreto qualche gigolò, la cosa la danneggerebbe in quanto madre dei Britannici i quali sono ipocriti e giudicano i due sessi con due bilance diverse. Ma il fatto che le piacciano le macchine sportive e i cavalli di razza pura lo si considera come onorevolissimamente umano. A volte può sembrare un supereroe, quando al cambio della guardia un giovane soldato spara a vuoto nella sua direzione e lei non batte ciglio. I Britannici si aspettano coraggio da parte dei loro monarchi e generalmente questi gliene danno esempio. […]

Vi sono fin troppi esempi, in fin dei conti, di presidenti inutile o venali – negli USA, Nixon ha danneggiato il suo ruolo così tanto che non potrà più tornare quello di una volta. Oltre a ciò, la gente vuole qualcosa di romantico più che qualcosa di onesto. Gli americani, in un timido tentativo di esibire il loro romanticismo, hanno eletto presidente un attore; sembra roba di seconda classe. I Britannici hanno una monarchia.

Mio padre, che sia in Paradiso o in Purgatorio, non assisterà con gioia alle nozze del principe di Hannover. Ma certamente penserà che un sovrano di Hannover è meglio di un presidente. E senza dubbio si consolerà al pensiero che principe Carlo un giorno salirà al trono con la sua moglie incantevole. Però il suo fantasma non si placherà finché la Messa non sarà celebrata ancora una volta a St Paul, quando il monarca dichiarerà restaurati, ancora una volta, i diritti di Santa Romana Chiesa. Questo sicuramente non si verificherà. Re Enrico VIII potrebbe starsene anche all’Inferno, ma la sua Riforma continua come un incendio.

Anthony Burgess

* traduzione di Andrea Bianchi

 

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