Anthony Burgess è stato un divino poligrafo: pur ridotto, nella palude editoriale italica, ad Arancia meccanica (edito da Einaudi, ora in nuova versione), ha scritto una trentina di romanzi, alcuni da leggere (L’antica lama, Abba Abba, 1985, Il seme inquieto, Un cadavere a Deptford, soprattutto il capolavoro, Gli strumenti delle tenebre), certi racconti, diverse composizioni musicali, innumerevoli articoli. L’unione con Liliana Macellari, sua traduttrice italiana e agente e seconda moglie, effettivamente, non lo ha aiutato. Come tutti, anche Burgess comincia con la poesia: nel 1935, sulla rivista dello Xaverian College, a Rusholme, “The Electrion”, pubblica tre testi, tra cui Girl (tradotto sotto). Il ragazzo aveva diciotto anni, la destinataria della poesia era Llewela Jones, la futura prima moglie; in quell’anno Burgess scopre James Joyce eleggendolo a proprio maestro. Tuttavia, Burgess – di cui non bisogna mai scordare la competenza specificamente musicale – continua a scrivere per tutta la vita: l’ultimo romanzo, Byrne, edito postumo, nel 1995, è scritto secondo lo schema del Don Juan di Byron e dell’Orlando furioso, in “ottava rima”; nel 1976 il grande scrittore pubblica il romanzo in versi Moses, parte dei suoi interessi biblici. Qualche mese fa Carcanet ha raccolto i Collected Poems di Burgess, per la cura di Jonathan Mann: è venuto fuori un volume di 500 pagine, testimonianza che per AB la poesia non era soltanto un passatempo. Burgess incontra T.S. Eliot nel 1950, quando consegna a Faber & Faber una raccolta di poesie: Eliot, delicatamente, rifiuta, pur “approvando” una manciata di poesie, tra cui In This Spinning Room (tradotta sotto). Burgess accusò il colpo, forse felice: nel 1956 esordì come romanziere con Time for a Tiger. Ribadì la sua stima per Eliot in un’opera musicale per soprano, flauto, cello e pianoforte, dedicata alla Waste Land, nel 1978. “È stato autentico creatore, in una doppia accezione: ha creato la sua poesia ma anche la mente dei suoi lettori”, ha scritto di Eliot, nel 1965, “Con grande pazienza ci ha educati, consentendoci di passare dallo sconcerto all’accettazione, e infine all’amore per il suo lavoro. Col tempo, le cadenze di Eliot, in versi e in prosa, sono diventate la nostra musica”. Dicono che Eliot, insieme a Dylan Thomas, D.H. Lawrence, Gerard Manley Hopkins, sia stato il grande maestro del Burgess poeta; che è poeta, per lo più, intriso di ironia, giocoliere nel verbo, di ispirazione fluttuante. Che sia tradotto in Italia pare utopia, noi lanciamo un sasso.
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Tutta la verità sull’Arte, o: un’Estetica per gli Scienziati
Arte e Scienza hanno qualcosa in comune: entrambe = uomo + natura.
Entrambe impongono un ordine alla natura.
La Scienza, applicata, in virtù di un fine.
La pura scienza e la pura arte per fini infinitamente inutili.
(Oscar Wilde ha detto, “L’arte è perfettamente inutile”).
Puoi decorare una parete con un Da Vinci.
Puoi usare la parte di un quartetto d’archi di Haydn per l’inno nazionale.
Questo significa usare l’arte, ma questa non è l’essenza dell’arte.
La scienza pura tende a scoprire e a mostrare la Verità.
L’arte tende a scoprire e a manifestare la Bellezza.
Sono dette Valori.
Le loro scoperte sono considerate preziose e utili.
Sappiamo che Verità e Bellezza esistono.
Esistono soltanto cose vere e cose belle.
Nessuno può dunque pensare che la Scienza sia interessata alla Verità Ultima.
Né che l’Arte si occupi della Bellezza Ultima.
Queste ultime pertengono alla Religione.
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Primavera di guerra, 1941
La guerra diventa tempo, impervia logica
Nei sotterranei; la primavera giunge
Con un cerchio come distintivo, frainteso, profondo,
Vasto, sembra allineato e razionale,
Ma, in piccolo, mostra che tutto ritorna.
Il cerchio è il cerchio, non prova nulla, nulla risolve,
Inghiotte gli schemi e si chiude senza argomento,
Pone nuove immagini su un tempo decrepito.
Qui le baracche sono intaccate da uccelli,
Il sole impone la sua stanza ordinaria,
Il pallido impiegato è infelice perché
La primavera ha l’odore di un’ennesima primavera.
Il camionista canta, libero di guerra,
Il carico dell’inverno e della guerra è ormai
Svanito come un se stesso ragazzo.
Le parole si disgregano; e “guerra” è solo una parola.
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Nella stanza della filatura
Nella stanza della filatura, ridotto a nome comune,
Inghiottito nello stomaco gigante di Eva,
Giungeva sibilando lo sperma pentecostale.
Non ero in nessun luogo, ero qualcuno,
Grazia e musica di facile ascolto,
Energia paziente di un figlio ignoto.
Risata che fermenta nella cella,
Pesce, verme che ghigna per concupire
La rosa della dissimulazione che così bene indossa.
Sebbene, dispensati dalla colomba,
La mia carne abbia redento la carne, se ne vanno
Ustionati da un amore errato, inutile.
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Ragazza
Lei era tutta
Un cristallo fragile;
Le sue mani
Seta d’argento sull’acciaio;
I suoi capelli raccolti
Covoni al centro dell’estate;
La sua grazia, nella quiete
Come il corpo di un nuotatore.
Non riguarda la bontà della natura;
Lei ignora ogni cosa.
Orribilmente ora dovrebbe
muovere le mani.
*
La Terra sorgeva dal vasto bacino del Mare Elettrico
Gettato, gettato, gettato,
E tutto l’essere lo riempie,
Dove il fuoco si spacca in scintille d’oro,
Lava, leviga, la marea trabocca, vi si rovescia dentro.
Lega ogni cosa, oh, con quali corde,
Lega, incatena la terra, l’aria,
Ostenta e conosce, incontra, salta, canta,
Sentiero tra gli spruzzi, tra veli di nebbia.
Grembo di tutti, di tutti tomba, la massa
Dove dita potenti sbattono, ginocchia e stampi,
Lingue in spirale, risata beffarda di passaggio:
Il canto muore, rotolando nell’acqua in uno scintillio.