07 Gennaio 2022

Houellebecq: un’erezione lunga 750 pagine

Annientare di Michel Houellebecq, ovvero come uno scrittore può mantenere viva un’erezione per 750 pagine.

Stile ruvido, zero raffinatezza e penna turgida, l’autore più blandito d’Europa mette in scena una lunga tirata contro il nichilismo moderno e gli umanisti smidollati, confezionata all’interno del suo romanzo più tradizionale e meno originale. La stampa è in visibilio – il libro esce oggi, in simultanea con la Francia, per La nave di Teseo – nell’orizzonte desertificato della narrativa contemporanea qualcosa si muove, quando il divorzio fra pensiero e realtà sembra ormai conclamato, qualcuno ne riunisce gli estremi, plasmandoli in pagine di letteratura. Il recensore medio nostrano, fine esegeta da edicola, ne ha già ingabbiato tempestivamente il pensiero, con burocratica efficienza, entro l’ideologia della testata di appartenenza, eccitandosi febbrilmente nel riconoscere nei personaggi del libro il tal ministro francese o il presidente della repubblica uscente, onorando così la propria natura di retroscenista da sottobosco nonché rivelando un certo deficit di comprensione del testo. Ma tant’è. Monsieur Houellebecq se ne farà una ragione. I giornali che lo elogiano, del resto, sono gli stessi di cui sconfessa ogni credo, dando vita ad un ipocrita cortocircuito di prostituzione intellettuale.

Annientare è un libro privo di morale che non presta fede ad alcuna ideologia, al contrario, le devasta tutte, con avveduta leggerezza, con un gesto della mano che sa di nonchalance le scaccia via come fastidiosi insetti. Spoglia la realtà dei suoi strati superficiali, lasciandola nuda, con i suoi temi essenziali, la vita e la morte, Dio e l’uomo, il nulla e il sesso.

Nel voluminoso tomo dalla copertina rosa shocking è racchiuso tutto il suo pensiero – che sia l’ultimo romanzo? –, le sue concezioni politiche, religiose, filosofiche, poetiche, letterarie. Una summa in cui lo houellebecqiano della prima ora non troverà nulla di nuovo, se non il seducente conforto di parole decadenti, in costante odor di depravazione – i francesi puntano sempre a scatenare gli istinti che si materializzano dalla vita in giù –, parole che sfiorano i lembi della congenita depressione moderna. Col suo vient de paraître Houellebecq fa godere il lettore dal principio alla fine, il libro va letto d’un fiato, in apnea letteraria, scendendo negli abissi dell’umanità, la sua lettura va considerata come una lunga sessione di sesso selvaggio – il grande, onnipresente topos houellebecqiano – in cui tutto è concesso. Meglio prepararsi all’idea che girata l’ultima pagina ce ne vorrà una reale per riprendersi.

La modernità è assediata da ideologie sempre più perversamente tese ad annientare la specie umana, ad annichilirne la natura, afferma fra le righe Houellebecq – “Oggi più che mai, il potere risiede nell’intelligenza e nella conoscenza; e queste ideologie ultraminoritarie sono proprio quelle che hanno più probabilità di attirare le intelligenze superiori” – raccontando i nuovi codici civili di quella borghesia colta che, aderendo al principio della grande decadenza, ha fallito sul piano etico, estetico ed intellettuale.

I cattolici ormai abituati ad essere offesi, avvezzi alle tribolazioni del cristianesimo dell’epoca contemporanea, la gravidanza mercificata, la legittimazione dello scempio dell’utero in affitto – “L’idea di comprare dello sperma, e più in generale di imbarcarsi in un progetto riproduttivo che non aveva nemmeno la scusa del desiderio sessuale, dell’amore o di un sentimento simile, gli sembrava addirittura nauseante”.

Una società che non sopporta l’impermanenza delle cose e nemmeno più la morte, tende a nasconderla e santifica la pratica dell’eutanasia per liberarsi dei pesi superflui. “La vera ragione dell’eutanasia, in realtà, è che non sopportiamo più i vecchi, non vogliamo nemmeno sapere che esistono, per questo li parcheggiamo in luoghi specializzati, lontano dalla vista degli altri. Quasi tutte le persone oggi ritengono che il valore di un essere umano diminuisca con l’aumentare dell’età; che la vita di un giovane, e ancor più quella di un bambino, sia di gran lunga più preziosa di quella di una persona molto vecchia. […] Questo è un ribaltamento completo, una mutazione antropologica radicale. […] In questo modo priviamo la nostra vita d’ogni motivazione e di ogni senso; è puro nichilismo”.

Rade al suolo in un sol colpo tutte le convinzioni progressiste e le ipocrisie della doxa liberale che, pur intuendo il logoramento delle formule tradizionali – la famiglia e la vita coniugale – non è riuscita a concepirne di nuove. “L’entità formata da una coppia, e più precisamente da una coppia eterosessuale, resta la principale possibilità pratica di manifestazione dell’amore”.

La trama in sé è mediamente banale – ma chiaramente non è ciò che interessa –, si autoannienta, la Francia del 2027 – giustapposizione di agglomerati urbani e deserti rurali – la postdemocrazia, le fantasie abbandonate dalla politica di start up nation e la riscoperta del fascino dell’economia centralizzata, il potere tecnocratico ghigliottinato alla francese maniera, i competenti, stimati ma non amati dalla gente, distanti come gli aristocratici dell’Ancien Régime ed ancora i messaggi in codice, i linguaggi da decrittare del nuovo terrorismo del pensiero che colpisce non individui ma bersagli ideologici – siti porno, aziende leader sul mercato della vendita di liquido seminale – ecofascismo e movimenti di deep ecology che predicano l’estinzione dell’umanità.

“La cosa peggiore era che se l’obiettivo dei terroristi era quello di annientare il mondo come lui lo conosceva, di annientare il mondo moderno, non poteva dargli affatto torto”.

Su Annientare c’è poco da far filosofia, il testo va divorato e scarnificato, ridotto all’osso, a due parole, eros e thánatos, giovani alati che scagliano frecce dalla prima all’ultima pagina, privi di indulgenza, in un romanzo che regge la propria struttura sul sottile equilibrio che intercorre fra peccato e misericordia e in cui tutti, per sopravvivere, si aggrappano alla fede religiosa o a forme di attivismo identitario.

Sesso e morte figurano come gli unici elementi di congiungimento delle coppie moderne, che vivono di disperazione standardizzata, spartizioni del frigorifero e genitorialità che rende gli individui orfani di se stessi – al pari di Houellebecq, fra i contemporanei, solo David Szalay riesce a rappresentare in maniera altrettanto efficace il pietoso spettacolo della discordia di coppia – di rapporti deteriorati fra individui civilizzati.

Il sesso è l’unica alternativa al nulla relazionale ed esistenziale, l’orgasmo un memento mori.

Ricorre di continuo, as usual, il sesso, nella narrazione houellebecqiana, rendendo mirabili alcuni passaggi. Il raffronto fra il coito memorabile con una buddista tibetana che “sapeva contrarre la fica” o la “fellatio approssimativa” di una buddista zen di Sciences Po, le filosofiche discettazioni sul senso ultimo di un episodio di sesso orale nei bagni d’un locale, “Doveva essere ubriaca, oppure stava attraversando una specie di momento sartriano, ma applicato ai cazzi, ‘un cazzo fatto di tutti gli altri, che li vale tutti, e tutti lo valgono’, bastava che ci fosse un uomo pronto ad approfittare di quella botta di culo” o il congresso politico ad Addis Abeba, dove nessuno avrebbe trovato soluzioni per lo sviluppo dell’Africa, bensì prostitute africane “desiderose di mettersi al servizio di un cazzo occidentale”.

Eros, quindi, ma anche thánatos, e la vita, in sostanza, si riduce al proprio modo di affrontare la morte – raffigurata come una puttana borghese, di classe e sexy, a cui tutti possono fare appello, dai ricchi alle classi popolari – vero tema nodale di Annientare, evocato fin dal titolo.

Al centro, un Sisifo postmoderno, dai tratti kafkiani – Paul, alto dirigente ministeriale dalla marcescente vita matrimoniale e una malattia che ne restringe sensibilmente le aspettative di vita – che dell’esistenza comprende l’assurdo, l’impossibilità di razionalizzare tutto, di vivere incollati al determinismo assoluto. Ma che, contrariamente al suo omologo camusiano, che a Houellebecq è sempre apparso “evidentemente infelice poiché compie gesti vani, ripetitivi e dolorosi” (così scrive nel 2014 in Un remède à l’épuisement d’être, pubblicato in Interventions, Flammarion, 2020), compie gesti vani, ripetitivi e piacevoli. Solo quando riscopre il piacere sessuale con la moglie Prudence, infatti, Paul riesce ad abbandonarsi alla vita e, di conseguenza, all’idea della fine.

“Prudence non era una donna fatta per il sesso, di questo almeno cercava di convincersi Paul, ma senza molto successo, perché in fondo sapeva bene che Prudence era fatta per il sesso esattamente come la maggior parte delle donne, e forse di più, che nel profondo di sé avrebbe sempre avuto bisogno del sesso, nel suo caso di sesso eterosessuale e, a voler essere precisi, di un cazzo che la penetrasse”.

Al contrario, l’emblematico fratello Aurélien – restauratore medievalista dalla vita sentimentale disastrata – non giungendo in tempo alle medesime conclusioni esistenziali, si autoinfligge una morte violenta. Il suicidio, quindi, o una serena esistenza da condannati a morte, come uniche possibilità di scampo al disfacimento dei rapporti moderni.

Per citare Pascal, con la sua solita brutalità, più volte ripreso da Michel Houellebecq, “L’ultimo atto è cruento, per quanto bella sia stata la commedia in tutto il resto; alla fine, ci gettano un po’ di terra sulla testa, ed è finita per sempre”, in fondo, tutto è annientare.

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