19 Settembre 2020

Chi sa creare un mondo non è di questo mondo. Piccolo discorso sull’opera di Angelo Borgese, artista dalla barba babilonese, dotato di indicibile talento e di clamorosa pietà

Come tutte le grandi persone, si fa piccolo, può starti in un palmo di mano, lo trovi sotto la sedia. A volte gli abbraccio le ginocchia, come insegna a fare Dante quando si incontra un maestro. Dal viso, puro, potresti riandare alle nascite precedenti – Angelo Borgese, però, benché appaia docile tra gli uomini, non è un uomo innocuo.

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Angelo conosce i segreti della materia. Di ogni oggetto rinnova la natura remota, il destino inattuato, inattuale. Per alcuni lavori, la base è una scatola di fuochi d’artificio, oppure il cubo di cemento usato come prova in un cantiere, poi scartato. Lui dice, pressappoco, che dona nuova vita ai materiali dimenticati, creduti inutili. Insomma, Angelo è uno che sa la resurrezione. Fa risorgere. Quando lo vedo, con quella barba arcana, babilonese, mi sembra un antico sapiente della Torah, di quelli che sfregavano i versetti biblici perché, nel mezzogiorno del senso, accada Dio, nel ballo. Mi ricorda quei sapienti nei luoghi miseri e fangosi dell’Est, catapultati nel miracolo permanente, il fantomatico rebbe di Kotzk, per dire, che diceva, “Si è rannicchiato, si è accovacciato come un leone (Nm 24, 9). Il sapiente anche quando cade cade come un leone”. Mi sembra che si capisca, qui, che ciò che è docile non è innocente, è fermo, ferino.

Le immagini sono tratte dalla mostra in atto a Rimini presso lo spazio Augeo

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Angelo scolpisce volti, disegna corpi: sa l’arte alchemica della resurrezione. Le sue sculture sembrano feticci tratti dall’equatore, sembrano amuleti disseppelliti a Ecbatana: sono al di là del tempo. Nessun materiale è alieno a Angelo: incide una lastra povera, leviga il legno, lavora la ceramica, estrae piccoli santi dalla cartapesta, abbozza divinità nel sughero. Angelo Borgese si è perfezionato a Urbino, ha vita & studio in Romagna, ma le sue radici sono siciliane, è di Catania. Ogni lavoro, dunque, è salmo e scongiuro al cospetto dell’Etna, al confine tra fuoco e mare, tra parto e cenere. Quando mi spiega le diverse tecniche dell’incisione – acquaforte, puntasecca, xilografia… – si accende, come una specie di Empedocle che esplori il punto di giunzione tra eros e caos. So che in casa, nei suoi infiniti cassetti borgesiani (nel senso di Borges/Borgese), ha una serie di quaderni, album della vita meridiana, esercizi li dice lui, emblema che l’uomo è un astro, dico io, creatura che cristallizza la rabbia in bellezza.

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Il discorso della fama è imbarazzante per un artista – un artista è famelico, attende, non può pretendere dagli altri attenzione. Angelo Borgese, tra i grandi artisti di oggi, è decentrato per necessità, deve concentrarsi sul vulcano e sul mare: chi sa creare un mondo non è di questo mondo. Oggi l’opera di Angelo, ad esempio, è visibile allo spazio Augeo di Rimini, in corso d’Augusto, grotta di bronzea magnificenza (chi è da quelle parti sappia che il 25 e il 26 settembre può incrociare l’artista, in ogni caso, manovrate su fb e capite tutto).

Angelo Borgese appare tra le sue opere

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“Come una madre difenderebbe con la vita il suo proprio figlio, il suo unico figlio, così tu sviluppa un animo illimitato nei riguardi di tutti gli esseri viventi”, dice il Sutta Nipata, antica scrittura buddista. L’idea dell’amore fino alla morte, della cura suprema, dell’essere illimitato riguarda l’etica dell’artista. Parlando della sua opera – con pudore d’acciaio, giusto – Angelo ricorre spesso alla parola “eleganza”. Di ogni cosa, in effetti, va trovato il ritmo, il punto di morte e di rinascita. Spesso realizza dei volti – una agiografia somatica. Spesso disegna delle mani – non s’incrociano, sono nell’attimo che precede il nodo. Il mondo, là fuori, urla, le creature gridano la propria transitorietà. L’artista danza tra ciò che è sparito, pieno di una pietà indicibile. (d.b.)

Gruppo MAGOG