S’intitola “Warhol. A Life ad Art”, esce a fine mese, in mille pagine promette di essere “la biografia definitiva di uno degli artisti più famosi e influenti di sempre”. Firma Blake Gopnik, critico d’arte e scrittore per “Newsweek” e “Washington Post”. La biografia esce con l’avallo di Elton John: “Una volta io e John Lennon ci siamo nascosti da Andy in un bagno del Sherry-Netherland Hotel. Avrei voluto conoscerlo meglio. Questa nuova, micidiale biografia mi convince che l’ho fatto. Rivela davvero l’uomo – e il genio – sotto la parrucca d’argento”. Dal libro traduciamo in anteprima parte del capitolo che racconta il sodalizio tra Andy Warhol e Edie Sedwick.
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Una delle più grandi creazioni di Andy Warhol fu senza dubbio il nugolo di eccentrici che si radunavano nella sua “Silver Factory”. All’alba del 1965 prese posto al suo fianco uno dei più celebri seguaci di Warhol.
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“Alla cena di martedì sera, alla vernice della mostra al Metropolitan Museum of Arti la signora Johnson apparve in abito nero, elegantissimo”, gorgheggiava il New York Times, accennando alla first lady degli Stati Uniti, la moglie di Lyndon B. Johnson. Al suo fianco, recita il giornale, “Andy Warhol, l’artista pop, e Edie Sedgwick, in un clamoroso tailleur”. Non proprio la compagna che ti attendi. Edie Sedgwick aveva 21 anni, figlia turbata di un nobile, decaduto ‘clan’ del New England. Il padre era finito in un ranch in California, allevando otto figli a suon di botte, alterando la loro psiche. Uno dei fratelli di Edie fu spedito nel Connecticut, ospedale psichiatrico, per ‘guarire’ dalla propria omosessualità – finì per impiccarsi. Un altro è morto schiantandosi in moto, a New York. Edie accusò il padre di incesto, “Dormiva con me, dall’età di sette anni, gli piacevo…”. Adolescenza travagliata, carattere imbizzarrito, crisi che sfociano in anoressia. Nell’estate del 1964 Edie si trasferisce a New York, inizia la carriera da modella. “Era affascinante”, ricorda Diana Vreeland, all’epoca responsabile di Vogue. “Ma se sei una vera modella vai in palestra, vai a letto presto, niente assurdità, niente vita notturna. Ecco. Edie era il contrario”.
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Warhol incontra Edie a una festa, nell’attico della casa newyorchese del produttore Lester Persky. La vide. Trattenne il respiro. Disse soltanto, “è bel-lis-si-ma”. Da allora la vuole come protagonista nei suoi film. Dopo uno degli innumerevoli incidenti d’auto di Edie è Warhol a starle vicino. I medici dicevano che non sarebbe più stata in grado di camminare, il corpo era consunto di cicatrici. Ma Edie recupera e Warhol è lì, la riprende in Screen Test. “Irradia luce, è una creatura rara”. Warhol era estasiato dai suoi eccezionali eccessi e dalla sua fragilità. “Era bella, ricca, indifesa…”.
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Per un po’ Edie Sedgwick vive nel lussuoso appartamento della nonna in Park Avenue, facendo impazzire il personale, costretto alle sue ore selvagge, agli inviti improvvisi di ospiti. Le sue spese erano fuori controllo. Ha accumulato debiti, frequentava i ristoranti migliori, pagava gli amici, stipendiava le prostitute. Dissipava la propria ricchezza. Dopo un anno passato a spendere la propria eredità, il padre decise di passarle un assegno da 500 dollari al mese. Edie spendeva tutto in ogni sorta di droga. Status sociale, ricchezza, eccentricità, abuso di droghe: Warhol pensava Edie come l’ultimo, perfezionato esempio della propria arte. Divenne la star della Factory.
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L’arrivo di Edie Sedgwick corrisponde con la nuova creatività di Warhol. Quell’anno, Richard Avedon, il rivale di Warhol, costruisce un numero intero di Harper’s Bazaar dedicato a “cosa accade oggi: il lato insolito del tempo presente”. Sono ammucchiati in molti, da Rauschenberg e Lichtenstein e Johns. Manca Warhol. Anche il racconto di Tom Wolfe, Pariah Chic, dimentica Warhol, pur parlando di tutti gli adepti della Factory. Il gemellaggio con Edie consente a Warhol la possibilità di tornare in prima scena – la porterà con sé a Parigi, dove, alla Sonnabend Gallery si realizza una grande mostra fotografica di Warhol.
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Pochi giorni prima della partenza a Parigi, Lester Persky organizza alla Factory una grande festa, chiamata, modestamente, “Fifty Most Beautiful People Party”. Accorrono Tennessee Williams e Rudolf Nureyev; Judy Garland con il suo temperamento selvaggio anima la festa, litigando ferocemente con Persky.
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In Francia, fu un successo. “Andy Warhol mette a soqquadro Parigi”, titola l’edizione internazionale dell’Herald Tribune. L’articolo è firmato da John Ashbery, il poeta, amico di Warhol, che parla di folle parigine attratte dalla pop art di Andy, “causando il più grande clamore transatlantico dall’epoca di Oscar Wilde”. Secondo Ashbery, a Parigi Andy Warhol perse la nota posa laconica. “Ho viaggiato ovunque, sono stato anche a Kathmandu. Non volevo vedere Parigi. Ora non vorrei più andarmene. Tutto è bellissimo, il cibo è superbo, i francesi sono fantastici. A loro non importa nulla di nulla. Sono totalmente indifferenti. Li adoro”, disse.
Blake Gopnik