18 Maggio 2019

“L’esistenza di un uomo qualunque trasformata in un incubo indecifrabile”. Incontro con Andrea Vitali, che parla dei libri come fossero giorni, scrive con le matite e legge Euripide

Scrive a mano, a matita, dice di essere un collezionista seriale di matite. Non le matite cinesi, che reputa di serie C 2, ma le matite quelle vere, vuole sentire il profumo del legno e della mina, mentre tempera. Quando incontro Andrea Vitali, per la presentazione del suo ultimo romanzo, Certe fortune, edito da Garzanti – un nuovo caso del maresciallo Ernesto Maccadò – mi racconta di aver scritto, la mattina stessa, un paio di capitoli. Una volta, certo, usava la macchina da scrivere, una Olivetti, quella con il mappamondo che girava. Prima ancora, scriveva con la mitica Everest 42. “Era monumentale, un carro armato, scrivere allora era come fare pilates, mio padre che lavorava in comune a Bellano l’aveva portata a casa, occupava molto spazio”.

Questa sera Vitali indossa un piumino senza maniche (altro che camicia e via dicendo), più che lo scrittore ad una presentazione sembra un professore in gita scolastica, o un pescatore vestito di domenica. Solo le toppe marroni sui gomiti del maglione lo fanno avvicinare all’idea. Non uno che sgomita – mi pare un tipo per i fatti suoi – ma uno che consuma i gomiti sulla scrivania. Scrive a matita, trascrive a computer. Mi dice candidamente che, tra l’altro, è appena uscito, ieri, un altro suo libro. Ma come? Documenti, prego. È stato pubblicato con un altro editore, Einaudi, giusto per non confondere le idee ai suoi affezionati lettori. Si tratta di un libro di impronta buzzatiana, surreale, metafisico. Un libro che si ricollega a quei suoi primi racconti pubblicati, nel 1987, su Il bel paese, una rivista diretta da Raffaele Crovi, edita da Camunia. Insomma parliamo di una linea narrativa che ha perseguito in modo minore, caratterizzata da una riflessione senz’altro più impegnativa. “L’esistenza di un uomo qualunque trasformata in un incubo indecifrabile”. Ecco Andrea Vitali è un po’ così, lo sguardo grigio dietro gli occhiali, i capelli in disordine, piuttosto indecifrabile, inafferrabile. Più che vivere, sembra osservare, come se prendesse appunti per la sua vita narrativa.

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Gli dico che compie trent’anni, che è sulla cresta dell’onda editoriale da decenni (il suo esordio nel 1989 con il romanzo Il procuratore, che si è aggiudicato l’anno seguente il premio Montblanc per il romanzo giovane) e scopro, nel suo sguardo, un velo di amarezza. Forse è soltanto nostalgia. Siamo seduti in cattedra (la presentazione alla biblioteca Bruna Brambilla, dentro la mia scuola “Anna Frank” di Varese), ci sono almeno una ventina di suoi libri sparsi sul tavolo, ma lui non si scompone, è soltanto una carezza il vederli.

Parla dei libri come fossero giorni. Ti dice, infatti: “I miei libri? Li considero il passato, è inevitabile pensarci come pensare al passato, ma preferisco il futuro, pianificare, programmare il futuro, senza pensare a ciò che è stato. Il mio libro preferito? Penso a Pianoforte vendesi, come al piccolo bambino ammalato che finalmente guarisce, il rachitico della famiglia, il libro che mi ha fatto più incazzare, che ha avuto più stesure, il libro che ha collezionato più non ce la farò”. Se getti un occhio al suo curriculum, ci trovi sia incenso che consenso. Nel 1996 il premio letterario Piero Chiara con L’ombra di Marinetti. Una finestra vistalago, nel 2003, Garzanti, si conquista il premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e il premio Bruno Gioffrè 2004, poi ottiene, il premio Bancarella nel 2006 (La figlia del podestà), il premio Ernest Hemingway nel 2008 (La modista), il premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante, il premio Campiello sezione giuria dei letterati nel 2009, quando è stato anche finalista del premio Strega (Almeno il cappello), il premio internazionale di letteratura Alda Merini, premio dei lettori, nel 2011 (Olive comprese). Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia e nel 2015 il premio premio De Sica. Oggi siede nella prestigiosa giuria del Premio Strega.

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Andrea Vitali insieme a Linda Terziroli

Come è il mondo della letteratura contemporanea? “Il salotto della letteratura non lo frequento, lo vivo un po’ da fuori, in periferia, lo frequento attraverso i libri, gli autori. Fra i diciassette romanzi del premio Strega ho votato il libro che non ha vinto. Nel mondo della letteratura vedo grande fermento, una delle cose che mi stupisce di più è la massiccia presenza di questori, vicequestori… Una regola a cui non derogherò mai è il protagonista seriale, l’unica serialità che rispetto è il lago. Anche il maresciallo Maccadò non è il protagonista del mio romanzo, è una parte corale. La serialità è un crimine, la serialità mancherà sempre nei miei libri. Tutti questi autori sanno che devono tenere in vita il personaggio tutto questo tempo e, se non ti chiami Simenon, Camilleri, Manzini, è facile cadere, scivolare in una caduta clamorosa da parte del pubblico, che si è affezionato al protagonista. Il lago, per me, è una via di fuga, uno scenario, una scusa. Non mi manca niente”.

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Cosa significa scrivere? “Avevo il sogno di diventare uno scrittore, scrivere era la mia passione giovanile, ma fare il medico mi ha arricchito dal punto di vista umano, non riesco ad immaginare un altro lavoro che permetta di entrare, così in profondità, nella psiche delle persone, a regalare minuterie della conoscenza umana. La sincerità mi obbliga a dire che scrivo per comunicare e per essere letto da altri. Ma, quando scrivo, non lavoro mai con una scaletta. La scrittura è talmente malleabile, è molto duttile, ti offre infinite possibilità. Per portare il romanzo a riva, lavoro quotidianamente, senza Natale, Pasqua, è la necessità di dare un senso. Una delle difficoltà divertenti sono le sorprese quotidiane che escono mandando avanti il racconto di giorno in giorno, i personaggi che nascono. Considero l’attività di scrittore come un lavoro pari ad altri lavori, un’attività quotidiana, con risultati variabili da giorno a giorno. Sin dalla più tenera età, non mi è mai mancato il materiale per appunti, abbozzi di romanzi, la sostanza per chi si occupa di questo mestiere. E non puoi divagare, fare giri intorno all’ombelico, perché il lettore si aspetta una storia, una storia intrigante in senso artigianale. Per impiantare un primo seme, devi immaginare una trama, ma magari storie che sembrano brevi poi si dilatano per molte pagine”.

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Tra il pubblico, un alto e fervido lettore di Vitali gli domanda come vive il fatto di essere erede o continuatore di Piero Chiara. “Vedo l’eredità come un debito – risponde lo scrittore – sarebbe sciocco negare che Chiara fa parte della schiera dei narratori che hanno dato vita al romanzo italiano. Mi piacerebbe, sarebbe bello, essere inserito in quella corrente. Ho una memoria buona, non dimentico il fascino della scoperta di Piero Chiara, un grande narratore italiano nato sulle rive di un lago, dove c’è l’alone di mistero, un mondo che non è scomparso del tutto. Un mondo più semplice da vivere, senza la possibilità di scappare, un mondo più ricco di fantasia”.

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Quali libri legge Andrea Vitali? “Quali sono i miei autori preferiti? Preferiti o no devo leggere i libri in finale al premio Strega. Ora sto rileggendo il mio preferito tra i tragici greci, Euripide (in particolare l’Ippolito), rileggo annualmente l’Odissea, leggo la letteratura greca, per mantenere alto il livello della scrittura. I costumi restano gli stessi, i temi, l’invidia, l’odio, l’amore. Per quanto riguarda gli scrittori italiani leggo De Roberto, Sciascia, Parise, Cassola, mi sono riscoperto un fan di Leopardi, di Gabriele d’Annunzio. Per quanto riguarda gli autori non italiani, leggo Friedrich Dürrenmatt, Saramago, il giapponese Murakami”.

Nel tempo libero cosa fa? “Incontro i miei lettori, faccio circa 170 presentazioni all’anno e, quando posso, mi dedico all’attività di volontariato in una comunità psichiatrica della Valseriana”.

Quale sarà il suo prossimo libro? “Pubblicherò una favola, Il nonno empereur, la storia di un giovane nipote che dorme con suo nonno, che, un giorno, si sveglia ed è diventato di colpo Napoleone”.

Linda Terziroli

Gruppo MAGOG