Nessuno, sulla propria agenda, ha scritto, al primo dicembre, “ricordarsi di Giorgio Soavi”, perché la genialità e la poesia amano l’ombra e le canzoni di Aznavour.
Soavi aveva due palcoscenici eleganti dove esprimersi, Ivrea e Milano, le capitali italiane dell’industria e del design negli anni Sessanta; a Ivrea c’era un direttore d’orchestra, Adriano Olivetti che come Re Mida trasformava gli impiegati in geni, solo adesso i cosiddetti “strumenti di comunicazione” si accorgono di Olivetti, si sciacquano la bocca con “l’etica e morale in economia”, con “l’approccio olistico”, “la sostenibilità sociale” per planare candidamente sul “benefit corporation”… a quel punto abbiamo già puntato la contraerea e cominciato a far fuoco (dalle narici).
A Milano c’era Indro Montanelli, un blocco granitico di carta vetrata toscana dove tanti strisciavano i loro polpastrelli, tanti, non tutti e Giorgio Soavi no; in una video intervista su Youtube racconta come fu lui a dare il nome al nuovo quotidiano di Montanelli, “Il Giornale” e quando Soavi disse ad Indro: “senti direttore, non so a che diavolo ti potrei servire io, perché non sono un giornalista…”, lui gli rispose, “tu scriverai quel cazzo che ti pare, ti va bene?”. Era dotato di una scrittura e di un eloquio raffinatissimi ed eleganti e poi, uno che passava il tempo nello chalet di Balthus, era amico di Giacometti e teneva in camera da letto un disegno di Bacon era già in Paradiso, aveva l’ufficio in cima all’Everest. Ho ritrovato suoi articoli degli anni Ottanta usciti su Il Giornale, sono attualissimi e nutrienti come una teglia di lasagne al forno e ci fanno capire come la scrittura è una grande sottrazione, una continua operazione “a sottrarre”, perché, è con poche parole che si deve dire tanto; quindi ho iniziato a “salvare” i libri di Giorgio Soavi dalle bancarelle dei mercatini, “Un banco di nebbia”, “Un amore a Capri”, “Il Conte”, purtroppo i saggi sul mondo dell’arte costano ancora tanto, anche se usati e i libri di poesia, data la tiratura, sono rarissimi. L’editoria è una strana idra, gli editori stampano libri e i maceri si nutrono di quelli non venduti. I libri sono come gli alberi, invece di buttarli piantateli, fate una buca, ci mettete un libro e la richiudete (come fanno i soldati israeliani quando fanno la cacca, la ricoprono). Perché queste parole in onore di Giorgio Soavi?… perché sono dieci anni che il suo corpo non c’è più e nessuno lo ricorda. La sua delicata sensibilità visiva cammina nei figli, che si occupano di arte e di cinema, i suoi libri cerchiamo di farli continuare a vivere e a leggere, e comunque, come scriveva Borges: “Dureranno più in là del nostro oblio; non sapran mai che ce ne siamo andati”.
Silvano Tognacci