06 Aprile 2022

“Il tempo dell’Altro è passato”. Benvenuti nel regno degli Uguali, degli omologati

In L’espulsione dell’Altro Byung-Chul Han sentenzia che “Il tempo in cui c’era l’Altro è passato. […] La negatività dell’Altro cede il posto alla positività dell’Uguale. La proliferazione dell’Uguale dà luogo a quei mutamenti patologici che infestano il corpo sociale”. Tuttavia l’Altro che costui colloca in un tempo andato non è stato affatto espulso ma addomesticato, reso docile e conciliante. Se si vuole, l’aspetto più inquietante della faccenda è oggi l’assoluta omologazione della diversità grazie alla quale l’infestante morbo dell’Uguale si è diffuso come un contagio.

È l’Uguale, dunque, che ai nostri tempi popola le società del pianeta, quelle società che ci piace definire “a vocazione gemellare”. Una società gemellare è quella in cui, per dirla tutta, l’uniformità del pensiero domina la scena culturale e appiattisce qualsiasi dibattito, ridicolizza l’arte, guida l’informazione, acceca la critica, zittisce o esclude il diverso. Se un tempo alimentammo disuguaglianze con ingiustificato livore e disprezzo, oggi addirittura rincorriamo il fascino fanatico e perverso dell’Uguale. Tutto deve assomigliarsi in uno spettrale mondo di specchi.

Nell’antichità i gemelli erano esposti, i loro genitori erano tenuti a isolarsi dalla comunità e obbligati a riti di purificazione, la loro perfetta somiglianza era considerata mostruosa e terrificante. L’uguaglianza dei gemelli, insomma, faceva il pari con maleficio e contagio. Nella nostra epoca, invece, ogni cosa sembra essere minacciosamente uguale all’altra, vicina, prossima, connessa. La digitalizzazione mondiale delle informazioni, poi, ha reso questo processo di trasformazione in direzione dell’Uguale molto più sconvolgente e veloce. Ma in questo caso si tratta per lo più di tenere i nervi saldi e le mani a posto.

Quella che qui chiamiamo società gemellare è anche la società di uno stato totalitario ai suoi primi vagiti, al suo primo inconsapevole stadio di maturazione. In tale contesto gli individui che la costituiscono assumono atteggiamenti mimetici, imitativi e omologanti. (In La struttura psicologica del fascismo, Bataille chiama omogenea una società di questo tipo). Nelle società gemellari l’individuo tende a fare dell’Altro una copia identica e speculare di sé, addirittura con le stesse nevrosi, le stesse paure, la stessa sclerotizzazione del linguaggio, gli stessi fottuti orizzonti.

Un esempio calzante di società gemellare è quello che esprimono aujourd’hui le società dominate dall’emergenza sanitaria e dall’ossessivo controllo tecno-digitale, sopraffatte dalla propaganda politico-mediatica, dalla rude affermazione della sovranità nazionale e delle radici etnico-religiose. Qui l’assoluta somiglianza degli individui è l’espressione stessa del virulento contagio psicologico che essi, con i loro disperati e ridicoli tic, vorrebbero combattere o almeno limitare. In queste società tutto appare identico o replicato smisuratamente. Eppure, la dualità del gemello – dell’Uguale – è illusoria poiché quel doppio che si percepisce non è che l’immagine riflessa dell’uno, della singolarità o, per dirla diversamente, il risultato di una visione che manca di profondità. (Del resto, è proprio a questa profondità di campo che gli individui che popolano una società gemellare rinunciano in prima istanza. Una rinuncia che presto conduce a miopia o addirittura a cecità, a un’assoluta linearità prospettica, all’assenza definitiva di punti e linee di fuga). Nelle società gemellari, insomma, si sta soltanto da una parte, questa. Non vi è più fuori, né altrove. La questione – sempre che ve ne sia ancora una – si risolve qui, con sé stesso o al cospetto dell’Uguale. Ecco perché anche la questione di “chi viene da fuori”, dell’étranger, lo straniero, su cui Derrida disse la sua, è superata. Magari si protesta, si sciopera, ci si batte per questa o quella causa, purché ogni cosa accada senza che ci si allontani dal centro che garantisce alla società di tenere in piedi la sua struttura gemellare e di replicarsi per scissione, come i batteri, senza diversità o differenze.

Persino il Volto dell’Altro che in Totalità e Infinito Lévinas ci costrinse a guardare come a qualcosa “che viene dall’altro mondo” è irriconoscibile in una società a vocazione gemellare. La sua spietata somiglianza ad altri volti specularmente identici rifugge l’infinito per richiudersi e accomodarsi nella più confortevole e totalizzante coincidenza dell’Uguale. Ogni relazione umana è ridotta alla sola compresenza: io faccio esperienza del tuo essere qui e tu fai altrettanto senza che tra noi si stabilisca una vera relazione. In una società gemellare, il posto del Volto dell’Altro è stato preso da un Colui qualsiasi che, per esempio, condivide con me una sala d’attesa, mi è davanti in fila alla cassa del supermercato, riempie insieme ad altri Colui il vano di un ascensore. Dell’Altro, insomma, non è rimasto che un’esile traccia mnestica oppure, qua e là, un esserino innocuo e gracidante.

Qualcuno più audace potrebbe obiettare che una società gemellare abbia qualcosa in comune con quella massa di cui Ortega y Gasset raccontò la rivolta (La ribellione delle masse, 1937). Nulla di più azzardato e fuorviante. All’uomo-massa di Ortega, a questo signorino soddisfatto, la soverchia ignoranza, la spocchia di sentirsi al pari di una certa élite, ossia sullo stesso piano di un uomo per intelletto e creanza a lui di gran lunga superiore, conferiscono almeno una certa dignità letteraria, una posticcia aura da parvenu. L’Uguale, invece, questo subdolo individuo che spadroneggia nella società gemellare, non ha né schemi né ideologie. Egli è uno che mena le giornate accontentandosi di vedersi riflesso nell’immagine speculare di un suo simile e di sapere che l’identificazione di questi attraverso sé stesso non sarà alterata da nessun confronto, da nessuna funesta teoria. Dopodiché finiscono anche le sue miserabili velleità.

Intanto, la tragedia non aspetta ad arrivare. Venendo a mancare l’Altro, in una società gemellare il desiderio svanisce. Anche Byung-Chul Hal se n’è accorto: “L’Altro come mistero, l’Altro come seduzione, l’Altro come Eros, l’Altro come desiderio, l’Altro come inferno, l’Altro come dolore scompare”. I famosi concetti di triangolazione del desiderio e rivalità mimetica cui Girard dedicò una parte considerevole dei suoi studi, sono già da tempo una pia fraus. Senza l’Altro il desiderio non può realizzarsi. Le società gemellari sono afflitte anche da questa mancanza. Il loro destino è quello di produrre un desiderio che si avvita su sé stesso. In altre parole, esso non s’incarna più in ciò che io desidero attraverso o tramite la mediazione dell’Altro, ma soltanto in ciò che io desidero per me stesso, o al più, in ciò che io voglio che tu desideri attraverso o tramite me. Tutto si riduce a una messa in scena, a una burletta, a un vaudeville. E così, questa auto-rivalità mimetica, questo desiderio circolare che non va da nessuna parte, segna anche l’epilogo e la fine di ogni speranza. Esso desidera soltanto ciò che è a portata di mano o che già si possiede, ossia l’ovvio, il superfluo, qualsiasi amenità, una Coscienza Felice. Ogni cosa, insomma, tranne la libertà.

Vincenzo Liguori

Gruppo MAGOG