Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.
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La bellezza non è doppia, ma sa essere ambigua – il bello valica la comprensione, non è domestico ma indomato. Di Beatrice colpisce la totalità degli occhi, un imperativo, come se tra una pausa di ciglia potessero inaugurarsi imperi. Il modo in cui si descrive è curioso, per eccesso di esattezza: “Allora io sono il caos, non so se dipende dal mio regno zodiacale (gemelli) e il mio ascendente (bilancia) due segni doppi con due diversi modi di pensare, non si sa mai come reagisco non si sa mai cosa mi va e di conseguenza anche le mie passioni sono così… Sono sempre due versioni o caldo o freddo, insicura o ‘forte’. Quindi anche i miei sogni posso mutare con il tempo”. Se gli indizi della ragione non sono sufficienti, meglio cercare se stessi tra le stelle, facendo una specie di astrologia dell’anima. La parola caos, usata con cruenta spavalderia da Beatrice, ci manda a una delle poesie più belle di Boris Pasternak, in cui il grande poeta parla dell’amare:
Quando ama un poeta
è un Dio smanioso che si innamora.
E il caos di nuovo sbuca alla luce
come nei tempi dei fossili.
E verserà in un bacio il disgelo delle Ande
e l’alba della steppa sotto il dominio
di stelle polverose, quando la notte al villaggio
picchia con un biancheggiante belato.
Soltanto il poeta ha occhi per vedere nell’alba un belato bianco e nell’amore il ritorno al caos, la creazione di un nuovo mondo… e dal rebus di fossili, forse, emerge l’angelo dagli occhi azzurri.
*Le fotografie sono di Antonio Tonti
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