Alessandro Ceni è nato alla poesia, pubblicamente, poco più che ventenne, quarant’anni fa, nel 1980. Nel “Quaderno collettivo” del volume “Poesia Uno” edito da Guanda, una specie di ‘lavori in corso’, di registro e abbecedario della poesia italiana, una scommessa, il fiuto del futuro, Ceni era in compagnia, tra gli altri, di Dario Villa, poeta d’estro linguistico; tra i ‘grandi’, nella prima sezione del volume, figurano Giovanni Giudici, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Giampiero Neri e Valentino Zeichen. L’archeologia conta poco; importa una osservazione. All’epoca, Ceni esordisce con una silloge che s’intitola “I fiumi d’acqua viva”; in questo testo inedito si legge che l’acqua è “spenta”. L’acqua, che era “viva”, è morta, ora, specchio nel secchio dove il pugile vede di sé le ferite, un sussurrato addio. Poeta raro e ritirato – l’ultimo libro, “77”, edito da Helicon l’anno scorso, è una antologia a cura di Silvia Zoppi Garampi, con tre inediti – Ceni è passato dall’esuberanza linguistica a testi miliari, esatti, radenti l’enigma (“Mattoni per l’altare del fuoco”, 2002): qui il ritmo è cauto, le immagini nitide (il ring che si muta in una specie di zattera), il detto epigrammatico. Quando gli chiedo qual è il contesto in cui è nata la poesia, Ceni risponde senza pose: “la morte”. E ciò che resta chissà se è la pietà, la luce bianca che emana la salma, perché chissà cosa davvero muore, o se tutto s’impegna nel sempre. (d.b.)
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Pugile alla 15° ripresa
Gong asciugamano secchio,
mai come dopo la morte
si fa evidente la stupidità degli oggetti.
Spenta l’acqua
chiusa la luce
cantando dall’abisso
adesso naviga nel punto esatto,
metti la prua tra i denti del vento
e fai quadrato nel gomitolo di corde.
Qualcuno
in controluce
appuntandovi lo sguardo
per qualche lungo attimo insistito
si allontana e sembra invece avvicinarsi,
camuffato ipotetico putativo,
e non capisci più
se l’esistenza è il senso di trappola
quando è lei che apre la porta con la chiave
oppure la pietà del barbiere che compone la salma
pur lasciandovi il senso della lama.
Alessandro Ceni
In copertina: Roma, 1960, Cassius Clay esulta