13 Gennaio 2024

Il nudo, il gusto della solitudine e la guerra che “riavvicina a Dio”. Sia lode ad Aldo Palazzeschi

In una vecchia intervista televisiva, davanti ad una platea di giovani studenti delle medie superiori, Aldo Palazzeschi (1885-1974) sosteneva che la sua generazione era capace di ironizzare su tutto, poiché a quel tempo, cioè all’inizio del XX secolo, l’ironia pareva un disinfettante. Un’arma in più per demolire ogni residuo del vecchio mondo, e ricostruirne un altro subito dopo (non era proprio lui che nella raccolta L’Incendiario del 1910 scriveva la famosa poesia Lasciatemi divertire?). Poi venne la Prima guerra mondiale e cambiò tutto. Alla prima fase di adesione al futurismo, seguì un ritorno all’ordine più attento delle conquiste borghesi. Enrico Ghidetti, osservatore e studioso dell’opera dello scrittore, da qualche parte diceva:

«il passaggio dal primo al secondo tempo di Palazzeschi – documentato dal saggio Due imperi…mancati – si rivela molto più traumatico: l’indignazione etico politica e la tensione ideologica che animano le pagine di quel libro non lasciano intravedere ripensamenti o conciliazioni a breve termine. E sono proprio la crisi morale e il travaglio civile dell’intellettuale a profilare un diverso orizzonte letterario dopo la conclusione della ventura avanguardistica sancita dal rifiuto del marinettismo e dal conseguente pensionamento dell’”incendiario”».

Per nostra fortuna, gli articoli e i bozzetti di Palazzeschi raccolti in Usanze d’oggi (Aragno, 2023), a cura di Giuseppe Balducci – che in appendice allega un prezioso ritratto dell’autore, e il manifesto futurista Il Controdolore redatto nel 1914 – sono pervasi proprio da quell’antica ironia cui si accennava. Motivo per il quale andrebbero letti con il sorriso. Già apparsi in Ieri oggi e… non domani del 1967 e sulle pagine del “Corriere della Sera”, questi scritti, pur appartenenti all’ultima fase della sua produzione giornalistica, rappresentano una guida straordinaria per orientarsi nell’universo dello scrittore fiorentino.

Fantastico e surreale il più delle volte (Codice di Perelà, 1920), ma anche mimeticamente realista (Sorelle materassi, 1934) e legato alle miserie della vita quotidiana. Pertanto, si leggano le sue osservazioni sui passeggeri degli autobus di Roma (città in cui Palazzeschi, frattanto, si era stabilito) quale pratico suggerimento a come comportarsi nella calca dei mezzi pubblici:

«Salito come esige il regolamento dalla porta posteriore, si trattava a poco a poco di aprirsi il varco verso quella anteriore per la regolamentare discesa attraversando, lungo dieci buoni metri […] Il regolare permesso richiesto con perfetta cortesia dalla persona bene educata, non esercita in questo caso un minimo d’influenza […] Scoperto il mio stato d’inquietudine […] il signore ch’era dietro di me attaccato a spalla, avvicinatosi al mio orecchio vi soffiò dentro con voce calda e quella dolcezza del tutto romana: «Una spintarella», e al tempo stesso la cordialità di chi mette al corrente un timido od ignaro sopra una pratica necessaria e di consuetudine quotidiana».

La quale, attenzione, non è una semplice e volgare spinta ma «un invito al dialogo che si svolge fra due corpi e a bocca chiusa, sotto forma di domanda e di risposta, un’apertura di conoscenza per quella momentanea necessità che provoca un istante di simpatia o antipatia, uguali entrambe al fine di aprirsi la strada, e che richiede il massimo di delicatezza».

Vivere nella capitale, per Palazzeschi, era motivo di gioia assoluta. L’ avvicinamento alla religione, avvenuto a cavallo tra le due guerre («è la guerra che riattizza il cristianesimo. La guerra riavvicina a Dio», in un’intervista del ’72), lo spingeva a misurarsi con l’eternità di una Storia senza inizio né fine, un po’ come quella della città capitolina. L’amore per la Chiesa gli era di conforto più di qualunque altra cosa: sovente lo si vedeva ricevere l’Ostia consacrata in S. Eustachio (il santo che dismette i panni del cacciatore per vivere cristianamente) e passeggiare dalle parti del teatro Valle, vicino alla sua abitazione di via dei Redentoristi.

Quella di Palazzeschi era una religiosità fatta di dogmi, che lui definisce «fervide astrazioni ricche di poesia»; e di scandalo, ovvero ciò che rende il Cristianesimo davvero una rivoluzione ininterrotta. Anche quando è la nudità della moda corrente a solleticarne la curiosità, come in Spogliarello, l’autore non esita di attingere all’esperienza di Francesco d’Assisi per smascherare la fallacia d’un falso provincialismo:

«Osserverete senza dubbio come San Francesco rimanesse nudo in faccia a tutti spinto da un impulso altissimo dello spirito, per mettere in pratica un insegnamento del Vangelo (cosa che non accade tutti i giorni nel mondo cristiano), proclamando davanti al popolo e ad ogni autorità il disprezzo per i beni terreni incominciando dall’abito. E nell’ammirazione di un bel corpo umano credete che non entrino per nulla i valori dello spirito e non provochino spontaneo il pensiero di chi lo ha creato quel corpo, esaltando Lui, esaltandolo?».

(A pensarci bene, il manifesto Il Controdolore iniziava proprio con l’immagine di un Dio «omone grande grande, o nudo, dalle membra e dai muscoli ciclopici»).

Riflessioni che interessano il modello di donna prodotto dai rivolgimenti della suddetta moda che, oltre ai segni della vita esteriore, comprende «certi fenomeni della vita naturale inaccessibili in maniera irrevocabile, e ai quali cerchiamo di togliere il loro carattere per farli credere nel nostro fugace e fragilissimo potere». Un elemento su tutti è lo stabilirsi della larghezza quale carattere predominante della bellezza femminile. L’esempio di Sofia Loren è quanto mai calzante, a parere del poeta. Si, perché, invece che avere, come tutte le donne del passato, una bocca a fessura, stretta e cattiva, l’attrice napoletana non lesina di certo quanto ad apertura ed estensione. A tutto discapito dell’uomo che, al contrario, se la vede restringersi sempre più, e senza poterci fare un granché. Da una così minuta considerazione, c’è anche spazio di prefigurare la decolonizzazione prossima ventura:

«anche qui devo portare quale esempio una figura da tutti conosciuta per farmi intendere: De Gaulle. Vi siete domandati coma mai un vecchio ed eroico soldato alto due metri possa avere una bocchina tanto mai stretta come nel secolo passato avevan le donne? Sui misteri e i miracoli della moda c’è dato appena di fantasticare. Resta solo da chiederci come possa fare da un’apertura tanto mai stretta a passare l’Algeria, un intero paese».

In Usanze d’oggi vi trovano posto – oltre a considerazioni su oggetti quali la borsetta o l’importanza sacrale di un momento come il lutto – pagine bellissime dedicate, ad esempio, alla finanza, essendo lo scrittore «figliolo di mercante all’uso antico fiorentino», e, insieme a queste, altre ancora che lasciamo scoprire a chi avrà la curiosità di leggere il libro.

Una cosa, però, la si può dire. Che in Palazzeschi la componente solitaria, l’unica in grado di permettere uno sguardo profondo sulle cose, era fortissima. A tal proposito, viene in mente Paolo Monelli e il suo capolavoro Scrittori al girarrosto (1965), una sorta di galleria dei più grandi nomi del Novecento letterario italiano. Qui aggirandosi quasi da intruso all’interno di una casa tanto piena di rimandi alla vita dell’inquilino, Monelli coglie di Palazzeschi l’origine delle sue doti di grande osservatore, ovvero la solitudine. Valgano come una parziale conclusione, dunque, queste sue parole, utilissime a capire che nulla di compiuto dall’autore sarebbe stato pensabile altrimenti:

«Questo amore della solitudine non è un portato dell’età; (egli) la cercava da bambino, da giovane, sapeva chiudercisi dentro anche quando raggiungeva gli amici alle Giubbe Rosse […] si metteva in un angolo e restava in silenzio ascoltando o no i ghiribizzi i paradossi gli aforismi degli altri […] Una solitudine interiore, che è condizione della sua poesia, ispirazione delle sue prose, compagnia sicura di un paziente varcare traverso gli anni fino a questa sua vecchiezza serena».

Alberto Scuderi

Gruppo MAGOG