20 Dicembre 2023

“Fanciulla di cui tutti hanno abusato”. La Maddalena di Alda Merini

Era il maggio del 1945. Una splendente mattina di primavera, in una Milano ancora distrutta dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Appena quattordicenne, persa nei suoi pensieri, tra le strade del centro, Alda Merini entra in una libreria, alla ricerca di poesia. Urgenti quanto il pane sono per lei le parole: come tornare a vivere dopo le devastazioni e le miserie, se non attraverso il verbo?

Passando tra gli scaffali osserva, annusa, sfiora, sfoglia e misura col palmo quei corpi di carta, finché in un angolo, quasi smilzo rispetto ai tomi che gli sono accanto, vede spuntare un piccolo libro. Multa paucis pensa tra sé. Con mano lesta lo afferra, lo sfoglia e comincia a leggere: “Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere/ degli angeli?”. Prosegue nella lettura ed è l’ingresso nell’indicibile. Ha un mancamento. I suoi polsi stanno reggendo le immense pareti delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke. Potenti e sublimi, quei versi tuonano nelle sue viscere.

“E lì Alda Merini si vede tutta intera forse per la prima volta. E si scopre poesia. Quelle pagine di Rilke così abitate da angeli le aprono lo spazio a quelle visitazioni angeliche che attraverseranno tutta la sua vita. […] quegli angeli le sembrano accovacciati sulle guglie del duomo, curiosi e pazienti nello scrutare la vita degli umani. Non sono però quelli di Rilke gli angeli di religioni tutelate: sono prima di tutto il nostro doppio. La parte trascendente dell’umano. L’angelo che la Merini vede sempre alla sua tavola, o sdraiato al suo fianco nel letto”.

Alda comprende che deve leggerlo tutto, quel libro, ma non ha una lira, non può acquistarlo. La soluzione è una sola: rubarlo. Lo nasconde nella cintura della gonna, rimbocca la maglietta e con un colpo di reni esce dalla libreria.

“Adolescente ladra di poesia, Alda Merini si domandò sempre se in quel mattino di maggio avesse incontrato la grazia o il peccato. In quella Milano che aveva fame di pane, rubare poesia sembrava forse un atto di superbia, ma lei, che sente per la poesia la stessa fame del pane, quel giorno sceglie di rubare bellezza per non morire di fame”.

È Marco Campedelli, prete di frontiera, narratore, burattinaio, insegnante e grande amico di Alda, a raccontarcelo in un libro straordinario: Il vangelo secondo Alda Merini, edito da Claudiana nel 2019. 

Un furto necessario dunque, quello della giovane Alda, per non morire di “fame di poesia”, prepotente magia che già la abitava e che abbracciò come autentico destino fin dentro all’abisso, fino all’ultimo suo respiro.

Forse nessuno come Alda Merini ha saputo vivere e cantare ogni più autentica contraddizione dell’animo umano, partendo dalla propria vita, gravida d’amore impastato al dolore. Un amore perdutamente umano, vissuto “sulla propria pelle” e donato con incandescente verità anche e soprattutto negli angoli più bui dell’esistenza, dopo aver attraversato gli infiniti corridoi e le inumane stanze di tortura del Paolo Pini, dove visse internata per lunghi anni.

Nel suo libro, Campedelli ci racconta il travaglio esistenziale e la tessitura evangelica della sua poesia, di cui è stato testimone oculare. Ci accompagna tra le sue metafore bibliche e nella sua passione per quel Gesù, poeta, dal cuore di donna, amico degli ultimi e dei diseredati, che amava “ballare la vita”. Ci aiuta a sentire la sua indignazione nel cacciare i mercanti del tempio, il suo cuore innamorato di Maddalena, peccatrice e prima discepola, che rimarrà al suo fianco fino alla fine, fino alla morte e oltre.

Come la Maddalena aggrappata al legno della croce, nel Cantico dei Vangeli, Alda abbraccia con i suoi versi il Cristo crocefisso e raccoglie il suo sangue. Da vera rabdomante della parola, si libra in un dialogo estremo, intessuto di ossimori mistici e carnali che danzano tra i versi in perfetta armonia contrappuntistica.

*

Maria Maddalena

Chi avrebbe mai detto
che mi avrebbero lapidata?
Ma tanto la mia bellezza
era un vuoto a perdere.
Stesa per terra, sporcata dai loro baci,
io guardo il cielo […]
Il loro modo di baciare il mio corpo
era un modo come un altro per non parlare,
ma tu, Gesù, mi hai parlato,
e non hai visto soltanto le mie labbra […]
Come mi hai amato, Signore,
come mi hai posseduta con la parola.
La tua parola mi ha dato un brivido
per tutto il corpo.
Non c’erano né leziosità né catene […]
Lo so, mi avresti stretta al cuore,
e tutte le piaghe
che hanno inferto questi stupratori
si sono richiuse […]
E così io sciolgo i miei capelli, Gesù,
per carezzarti i piedi,
affinché diventino un lino
che ti deterge dalla stanchezza.
Tutti credono che tu abbia percorso la Galilea,
ma gli altri non sanno
quanto cammino hai fatto.
Tu non hai camminato, Gesù,
sei volato sui monti e sugli abissi,
aquila dallo sguardo feroce e benevolo.
Tu non hai calpestato solo la terra
ma il cielo […]
tu sei un Dio affaticato.
Il sale delle mie labbra guarirà
le tue molte ferite […]
In verità, Gesù,
non so chi mi abbia partecipato il tuo destino,
ma ti amo e di te so tutto,
come qualsiasi donna
che ama il proprio marito.

Gesù

Maria Maddalena,
sei fatta di terra come tutte le cose del mondo,
ma il tuo volto, Maria,
va oltre le mie speranze.
In te vedo la creatura del Padre
e la creatura mia.
Sei fuoco e amore,
sei l’amore che incendierà il mio corpo,
ma sei anche l’amore
che lo renderà puro […]
tu hai asciugato i miei piedi stanchi,
li hai lavati con le mie lacrime.
O Maria,
soltanto peccando
hai potuto conoscere
l’uomo che era in me.
Soltanto tu potevi avere pietà
dei miei piedi trafitti dalla stanchezza
e soltanto tu
hai potuto baciare i miei chiodi
prima della crocifissione.
Avevi capito tutto,
avevi già visto tutto,
hai conosciuto la carne dei peccatori
e hai baciato la carne dell’uomo giusto.
Perciò io ti salvo.
Non ti toccherò
come hanno fatto gli altri uomini:
bacerò la tua fronte di fanciulla
di cui tutti hanno abusato […]

*

A margine della lapidazione e della crocefissione, Maddalena e Gesù intrecciano un dialogo ai confini tra l’umano e il divino, ove si sviluppano, come forze titaniche contrapposte, il bene e il male. Ne emerge una visione poetica illuminata di compassione, elevazione e riscatto. E la forza dirompente del bene, attraverso le cure reciproche dell’amore, vince sul male, sulla violazione dei corpi per mano di coloro che non sanno parlare, cioè amare. Quel vuoto dello spirito si risolve nella forza bruta delle loro azioni “Chi avrebbe mai detto/ che mi avrebbero lapidata?/[…] Il loro modo di baciare il mio corpo/era un modo come un altro per non parlare,/ ma tu, Gesù, mi hai parlato”.

Condannata ad essere la meretrice che non era, Maddalena è catturata dal logos, che si impossessa della sua anima e solleva il suo cuore nel misticismo “Come mi hai amato, Signore,/ come mi hai posseduta con la parola”. Il verbo si fa dunque espressione dello spirito e carne viva insieme “La tua parola mi ha dato un brivido/ per tutto il corpo”, un brivido “senza leziosità, né catene” che agisce come porta al conforto dell’amore che richiude le piaghe “Lo so, mi avresti stretta al cuore,/ e tutte le piaghe/ che hanno inferto questi stupratori/si sono richiuse […]/ E così io sciolgo i miei capelli, Gesù,/ per carezzarti i piedi”.

Là ove gli altri uomini vedono solo il corpo desiderabile di Maddalena, Gesù vede il suo volto, il suo essere “la creatura del Padre/ e la creatura mia […] l’amore che incendierà il mio corpo,/ ma […] anche l’amore/che lo renderà puro”. Agli occhi di Gesù, il suo essere stata costretta al peccato altrui, ridotta al rango di oggetto, le ha conferito uno sguardo “laterale” sugli abissi della vita e dell’essere umano: “soltanto peccando/ hai potuto conoscere/ l’uomo che era in me”. Diventata lei stessa una ferita sanguinante, ha riconosciuto i suoi piedi trafitti dalla stanchezza e ha baciato i suoi chiodi; il suo amore le consentirà di reggere la geometria del dolore sulla croce e sopportare la (temporanea) ingiustizia inferta dagli aguzzini.

Quell’esegesi di dolore che condannerà (momentaneamente) Gesù sulla croce e lascerà Maddalena impotente ai suoi piedi, Alda Merini l’ha vissuta nella sua stessa carne, ne ha sentito tutto lo smarrimento, il vuoto, la lacerazione. Spogliata d’ogni cosa, inclusa la dignità, nell’inferno del manicomio, Alda risponde a quel “vuoto d’amore” con la pienezza del sentimento, corpo della sua poesia, “un corpo che sente il freddo e il caldo, che ha scritte nella pelle le ferite e le indicibili gioie della carne […] ci spinge a immaginare i dettagli dello stupore, la consistenza delle lacrime, lo sbocciare dei fiori al passaggio del Messia”, scrive Campedelli.

Nella sua cieca fiducia verso l’amore divino, Maddalena diviene icona di elevazione. Segue Gesù nel Calvario; sommersa dalla sofferenza, si affanna a raccoglierne il sangue. Quando Cristo, sul momento di esalare l’ultimo respiro, lancia al cielo il suo grido di dolore: “Padre mio, perché mi hai abbandonato?”, si volge allo stesso cielo e si raccoglie in preghiera. Accesa d’ardente amore per lui, non si stacca dal sepolcro. Persevera nel cercare e alla fine le è dato di trovare: sarà la prima a vedere il suo volto.

Leggendo fra la trama e l’ordito di questo fitto dialogo esistenziale, si può ancora udire, attraverso i secoli, l’eco di quello scambio di grida, eternamente tratto dalla poetessa; e a noi, fragili creature incredule di fronte al “dolore che diventa amore” in questa magistrale rilettura delle Sacre Scritture, non resta che lo sconcerto di lancinanti domande: com’è potuto accadere? V’è più violenza nel subire o nell’assistere impotenti al supplizio? Pur trascinati nello sconsolante destino che attende gli spettatori nel circo del male, Alda Merini ci ha permesso di meglio intuire la beatitudine che segue al martirio di alcune esistenze.

Munifici e magmatici, reali e metafisici, i versi di Alda Merini – intercalati ai testi del Vangelo – ustionano e curano al contempo. Evidenti recano in sé le stigmate del capolavoro: Maddalena, Alda e Gesù sono qui riuniti in trinità, una triade di sofferenza e amore, di speranze perdute e ritrovate. Un appuntamento a future e imperiture resurrezioni. Grazie, Alda.

Marilena Garis e Riccardo Peratoner

Gruppo MAGOG