23 Gennaio 2024

“Non so chi ti abbia messo dentro di me”. Il Gesù di Alda Merini

Bisogna percorrere Corpo d’amore. Un incontro con Gesù (2001) – primo volume della Mistica d’amore, silloge visionaria di inaudita bellezza, che riunisce cinque opere composte da Alda Merini tra il 2000 e il 2007 intorno alle figure fondamentali del cristianesimo – per attraversare una lunga dichiarazione d’amore, altissimo, segreto, supremo, per Gesù.

“Non so
da vera innamorata qual sono
come tu faccia a conoscermi
e chi ti abbia messo dentro di me.
Sei un foglio,
un disegno astratto,
uno che vola come un aquilone,
uno che manda manciate di sale
nelle mie ferite aperte,
ma non importa: […]
Quello che mi dici non ha importanza,
nessuno dei due ascolta l’altro
perché i nostri richiami sono calati in un mondo
dove viviamo solo io e te
in compagnia di un amore
che non discuterà mai nessuno
perché a nessuno ne abbiamo parlato”.

Alda invoca Gesù “Questo mi serve: averti, rubarti, e in qualsiasi parte tu sia, anche insieme a un’altra donna, ma avere in me la tua figura”. Non teme “l’abbraccio del dolore”: prega affinché questo non distrugga le sue povere forze. Sa che Gesù si è cinto il collo con il suo dolore e lei è “diventata il suo monile più bello”. Cammina per le vie e aspetta che lui passi ad ogni angolo di strada. Più non le importa della primavera, delle rose, degli elfi e delle fate: non vede che lui e la sua follia d’amore.

Anni addietro, nell’inferno del manicomio, ultimo tra gli ultimi, Alda aveva incontrato il Messia “confuso dentro la folla, un pazzo che urlava al cielo/ tutto il suo amore in Dio” (La Terra Santa, 1984). Straordinaria è la visione poetica: Gesù non come amico dei folli, né medico, infermiere o terapeuta al loro fianco, no: pazzo tra i pazzi, che urla al cielo il suo amore.  

Il Gesù meriniano è “torcia umana [che] illumina il cammino di chi soffre”, nuovo sguardo che ci costringe ad uscire da noi stessi, a fissare gli occhi in quelli dell’altro, senza più temere quella “grande caldaia in ebollizione che è l’amore”, un amore che è uno squarcio di cielo abitato al contempo da angeli e demoni, vapori angelici e sangue.

Gesù ha lasciato sgorgare quel sangue dalle sue ferite e ce l’ha donato. Per questo è anche scandalo, è catastrofe, è carne che grida verso il cielo non la sua devozione, ma il suo amore di carne.

“La carne che soffre e che ansima
E si copre di veli e di parole,
[…] la carne che diventa un ruscello di allegria,
[…] la carne sì piena di memorie segrete”.

Gesù non inchioda il piacere alla croce, ma lo libera, trascinando “la sua lunga veste che pareva lo strascico da sposa. Infatti lui era la vera sposa del Cantico” (Cantico dei Vangeli, 2006). Che immagine spiazzante e solenne la figura del Cristo meriniano con lo strascico: toccante intuizione poetica del suo cuore femminile “Gesù ha sofferto le carni della donna e dell’uomo e sa benissimo che il desiderio e il piacere sono alla base della creazione”.

La carne non come maledizione, dunque, ma come porta verso il divino, verso l’amore, che è anche sangue e dolore e deserto. Uno spazio infinito e faticoso perché

“è sabbioso, è vuoto, ma i grandi innamorati vogliono che tu viva nel deserto, che tu viva lontano da tutti. Perché gli innamorati sono gelosi”.

L’amore non sovverte il dolore: il resoconto di Dio sta anche nelle nostre lacrime, forse nelle nostre maledizioni e bestemmie, ma è canto dell’anima. “Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara” diceva Alda. E sono parole vere, autentiche, vissute nella sua stessa carne, lacerata dai colpi inferti dalla sorte e dall’internamento manicomiale. Ma proprio lì, nella casa della follia, tra le più spaventevoli miserie umane, Alda approda in un’inaspettata Terra Santa, in cui è più facile “toccare il paradiso”, “sfiorare il mantello di Dio”. “Ecco la Terra Santa” scrive nel Poema della Croce (2004):

“ecco il deserto della fede, ecco lo strapiombo della luce, perché il Verbo, la parola, la poesia, e persino gli angeli e persino le mosche, nascono unicamente da quella terra tragica e possente che è il dolore”.

Ancora una volta, dal dolore all’amore, come araba fenice, Alda Merini risorge – e ci fa risorgere – nella sua poesia che è sempre un patto tra umano e divino, un pozzo che fissa il cielo.

Marilena Garis

Gruppo MAGOG