27 Luglio 2023

La minaccia della gioventù. Su vecchi lanzichenecchi e giovani spacconi

Alain Elkann, 73 anni compiuti a marzo scorso, scrive una pagina di testo che a chiamarlo racconto ce ne vuole (Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi” – la Repubblica). Su Repubblica sarà stato pubblicato perché tira aria di proprietà di famiglia, sia, ma da qui a dire che Repubblica le altre volte pubblichi solo pezzi da antologia d’autore, eh, o solo di specchiata autonomia intellettuale, ce ne passa.

Nel racconto Elkann fa dire io a un personaggio probabilmente ricalcato su Elkann stesso, che si sente fuori dai costumi correnti: prende un treno da Roma per Foggia e lo lascia stupito che la tratta passi per Caserta e Benevento. Chissà quanto tempo è che non prende il treno da Roma per Foggia, ammesso l’abbia mai preso prima, che sia mai stato prima a Foggia. A Caserta magari sì, Caserta ha i suoi presidi culturali classici gridati, ma a Benevento? Persone e personaggi come l’io raccontato da Elkann esistono e hanno il diritto di esistere e di dire io, o i racconti pubblicabili, e le personalità dichiarabili, sono solo quelle che non offrono ai populisti l’occasione di affermare il loro amore per il-popolo-così-come-è, siccome l’importante è che li voti o che li followi?

Il personaggio di Elkann legge libri e giornali in cartaceo (Massimiliano Parente fa notare che il secondo volume della Ricerca non è Sodoma e Gomorra, ma si sa, con l’età qualsiasi io sbarella cognitivamente), scrive con la stilografica su un quaderno, insomma si fa un po’ malinconia: quant’è diverso, incompreso e incomprensibile, rispetto ai giovani con gli smart e i tatuaggi che spacconeggiano tra i sedili, sentendosi in dovere di parlare di calcio e ragazze, tra i pochi argomenti consentiti all’interno del claustrofobico cameratismo maschile.

Avesse avuto un compagno di viaggio con cui commentarli magari l’io-alla-Elkann l’avrebbe saputa prendere con più simpatia, ma il plot è risaputo: sei invecchiato, sei desueto, sei da solo, va da sé che poi i giovani ti sono indigesti, perché loro poi fanno serata e se gli dice bene si troveranno compagnia. Non è da escludere che qualcuno ritorni da Foggia verso Roma innamorato perso alla faccia del tono da maschiaccio rimorchiatore, mentre il personaggio elkanniano al massimo finirà di leggere Proust, scambiando l’explicit per l’incipit.

Nella lettura che ne viene a me in Elkann non c’è niente di snobistico: dato il diritto di farsi andare di traverso chi fa il maleducato in treno, che abbia diciotto anni e parli sguaiatamente con gli amici in dialetto lombardo o che ne abbia ottantuno e parli rumorosamente di fatture al telefonino in dialetto siculo, la sua è una dichiarazione di resa ai nuovi lanzichenecchi, ai nuovi barbari, ai giovani oh, che vanno incontro alla vita e hanno ancora tutto il tempo di farsi e rifarsi, mentre ai vecchi resta giusto il tempo di disfarsi rendendosi conto di starsi disfacendo, e quindi se proprio a Elkann si può imputare qualcosa, letterariamente, è di non essere uscito, lui e taaanti altri, dal cono proustiano secondo il quale il tempo è un sadico assassino perfetto contro cui nessuno nulla può, neanche la letteratura. Bene, Proust questo l’ha scritto benissimo.

Leggendo le reazioni chiassosamente pubbliche, che comunque sono altrettanti attestati di interesse verso un testo che non ne meritava poi chissà quanto, quelle fin qui intercettate sembrano voler cogliere la palla al balzo per bucare il pallone a chi ci sta giocando. Insomma, la solita resa di conti privati a mezzo di pubblica stampa.

A me non preoccupa la desolata opinione sui giovani del personaggio elkanniano ma insospettisce la corsa a schiararsi dalla loro parte, a volerseli imbonire, a voler far passare l’idea che essere moderni significa, se non che a settanta anni si fa ancora in tempo a mettere il cappellino e a tatuarsi, almeno a farsi piacere il conformismo giovanile, ma il conformismo è brutto, cioè banale, sempre. A me stucca il paternalismo non richiesto di chi vuole farsi passare per chi i giovani li ha capiti, a differenza di Elkann che non li avrebbe capiti perché quelli che ha incontrato lui sul treno Roma-Foggia gli sono stati antipatici.

E quello spavento raccontato verso il finale di chi era, davvero solo del personaggio elkanniano e basta? “…ma nessuno dei passeggeri diceva nulla. Avevano paura di quei ragazzi tatuati…”. Elkann se la sta inventando l’omertà degli adulti rispetto ai giovani? La paura che i primi hanno dei secondi, incapaci come sono di comunicarci, dunque di farci cultura assieme? È proprio tutto snobismo questa confessione di inadeguatezza degli adulti verso i giovani i quali giovani se non danno prova di portare rispetto forse è perché non gliene è mai stato portato, o perché gl’è mancato il discorso sulla libertà che è principalmente quella di sapersi dare da sé i propri limiti senza invadere la libertà e la conseguente sensibilità altrui, compresa quella di voler stare in un vagone senza doversi ritrovare in un esuberante circoletto sportivo?

Il testo di Elkann non è completo se lo si legge senza la prima cordata di reazioni indignate ma direi più calcolatrici – non inimichiamoci il pubblico del futuro!, che dubito li leggerà e/o voterà mai, però mai dire mai – perché una volta in più assieme mostrano come da noi manchi il racconto dei giovani e dei vecchi, poiché gli unici vecchi consentiti devono essere gioviali e giovanilisti, mentre i giovani: beh, sono perfetti come sono no?, l’importante è che invecchino alla svelta perché non rappresentino più quella minaccia chiamata gioventù.

Antonio Coda

Gruppo MAGOG