Anni fa, quando Macron dava scalpore accompagnato da Brigitte decisamente più matura di lui, non si prestò caso – né lo si fa ora, tanto più – al fatto che nella memoria culturale di ogni francese blandamente letterato agisce il ricordo di Fabrizio Del Dongo.
Fabrizio è l’eroe della Certosa di Parma, quello che si trova intrappolato alle prime pagine nella battaglia di Waterloo a cui assiste o meglio partecipa, come noterà bene facendo tesoro il conte Tolstoj impegnato con Guerra e pace. Per poi finire in un modo che, come ha detto benissimo Kundera, oggi non è più possibile: E si ritirò nella certosa di Parma. Prima soldato, poi prete bello. E nel frattempo emozioni da tutti pori più uno.
Si capisce che gli interpreti di Fabrizio sullo schermo siano stati uno più belloccio dell’altro: dal venticinquenne, statuario, classico Andrea Occhipinti della serie Rai fino a quello più recente, romanticamente e stendhalianamente azzeccato: Rodrigo Guirao Diaz (tren’anni rotondi).
Quel che colpisce e di cui nessuno si era accorto scrivendone è che Stendhal si era basato sugli autori antichi, e precisamente su Tacito, per eseguire il ritratto del giovane storirdito e avventuroso adescato dalle malie della matura di turno (la Sanseverina) mentre sgomita agevolmente ai danni del di lei marito (che nella Certosa ha un nome programmatico: conte Mosca).
Ora, dietro l’interesse, la passione di Stendhal per la sua milf, diremmo oggi senza temere la volgarità tanto è consolidato l’archetipo, sta una lettura protratta nel tempo delle pagine di Tacito, osservato con attenzione e diligenza.
Vediamo nel dettaglio.
Bisogna incominciare dal diario di Stendhal a 23 anni. Secondo l’edizione datane da Rizzi, complice Italo Calvino all’Einaudi nel 1977:
17 febbraio 1805
Al mattino, letti madame Roland e Tacito. Scopro che la monarchia, introducendo i rapporti personali tra sovrani, mescola le passioni agli affari di stato.
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L’interesse sornione per Tacito e le dissolutezze imperiali delle sue Storie incomincia a delinearsi come costante: tratto curioso per un autore come Stendhal che tende a essere sfuggente. Di lì a pochi mesi il giovane soldato napoleonico annota questa considerazione dopo esser stato come ogni sera a teatro:
26 luglio 1805
In Rodogune mentre parla Laonice Cleopatra ha l’aria di fare una lezione di politica. Politica splendida, ma fuori luogo. Raggela la tragedia. Le massime vanno mostrate nei fatti, non a furia di citazioni. Il secondo difetto viene probabilmente dagli spagnoli. Per un malinteso senso del pudore, i personaggi non entrano mai in particolari, così in nessun momento il terrore ci incalza, come nelle tragedie di Shakespeare. Non osano neppure nominare la camera da letto, non parlano mai a sufficienza di ciò che li circonda.
Poi scorrendo gli anni troviamo un ventinovenne che cerca il classico ufficio comodo al Ministero della Guerra, un filo più smaliziato ma pur sempre e tenacemente platonico con le sue amanti:
2 luglio 1813
Ho letto Tacito tutto il giorno […] Riprendo il Tacito di La Bastide. La filosofia di Tacito era fatalistica, le cause non venivano ricercate. Mi pare che Mocenigo sia esente da questo difetto, egli scorge con chiarezza il come di ciascuna cosa.
Piccola nota di passaggio: quel Gallon nominato a proposito di Tacito era Gallon de la Bastide che ne aveva mandato in stampa le Storie a Parigi un anno prima, nel 1812.
Sinora abbiamo raccolto diversi elementi tacitiani in Stendhal:
– ogni monarchia si basa sulle passioni, quindi sulle mogli degli imperatori
– gli scrittori antichi vanno assorbiti e non citati, quindi nella Certosa vedremo un re-enactment nella Sanseverina delle mogli degli imperatori, senza che Stendhal debba citare esplicitamente Tacito nel romanzo
– infine, Tacito è gradito a Stendhal per la forza cieca delle sue storie, dove non si trova mai una e una sola causa per spiegare le emozioni, i moventi, le passioni sanguinarie.
Ma la nota più importante è quella segnata a 25 anni e rimasta depositata nel suo inconscio sino alla celebrazione felice della milf nella Certosa:
13 ottobre 1808
Stile della Storia. – La gravità, la gravità… Il mio stile avrà una fisionomia tutta particolare, si burlerà un po’ di tutti, sarà esatto, e soprattutto non farà addormentare.
Perché è necessaria la gravità? – Per trasformare gli storici in predicatori e fustigatori dei vizi. Vuol forse istruire, la storia? – Kings. Loro se ne fottono. Mettine in ridicolo gli strumenti, e diventerà loro difficile o impossibile ciò che hai tentato invano di render loro odioso. E io dovrei astenermi dal rubare una bella donna al marito perché lo stimato autore di nome Tacito, un tipo serio, bolla tale crimine? Che bella ragione! (Tradotto da S. T., p. 7 del primo volume).
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Ormai ha imparato tanto dal suo autore da poterlo rovesciare nel contrario: la Certosa è antitacitiana nella misura in cui sgorga tutto per antifrasi di dallo storico antico. In Stendhal così tensione storica e slancio morale saranno talmente intrecciati da capire a stento cosa ci sia dietro.
Ora però facciamo un piccolo passo avanti, una breve verifica, e cerchiamo se in altre opere precedenti alla Certosa (1839) compare mai il nome di “conte Mosca”, l’imperatore tradito dalla moglie per il giovane di turno.
In effetti il nome compare in quel gioiellino di osservazioni etniche, amato da Goethe e Byron, che è Roma Napoli Firenze nel 1817, dove si legge che a Pesaro il 2 giugno Stedhal è di passaggio nella villa del conte Mosca nell’attuale villa Caprile. (Per avere un saggio di Stendhal viaggiatore in quel giro d’anni si può leggere velocemente anche il suo diario brianzolo)
Anche in questa circostanza Stendhal descrive l’ambiente solo per parlare di quel che gli interessa senza rischiare la censura: descrive la villa del conte solo per parlare dell’educazione degli italiani e con il rinvio, in una nota bellissima, ai tre volumi di Gorani sull’Italia.
Insomma Stendhal qui dileggia la poca chiarezza e la pomposità degli italiani e a conti fatti si tratta dell’educazione di Fabrizio che verrà redento dall’amore magistrale della matura Sanverina.
Il conte Mosca da par suo è il politico senza tempo dell’Italia di ieri e di domani. Ferocemente antinapoleonico, si trova però a reggere un palco di vorna virtuali per opera di uno più giovane come Fabrizio che per giunta è pure napoleonico, quindi sconfitto dalla storia.
Uno stendahliano di ferro quale Savinio in un passaggio di Ascolto il tuo cuore, città nota con malizia che il conte Mosca è politico perché come un mafioso condanna con una sola parola, quasi col calembour: “Anche sulla freddura, come su tante altre cose, la parola più sottilmente vera l’ha detta il Milanese [Stendhal]. L’uomo che gioca con le parole è troppo su nelle sfere dello spirito, troppo lontano dalle buie regioni ove la vita è presa sul serio e si commettono gli assassinii. Montaigne loda gli italiani, perché hanno fatto di tristezza sinonimo di malignità“.
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Forse si sbagliava, non lo so. Ma è certo che quella donna appassionata, che aveva appena rifiutato senza neanche pensarci due patrimoni smisurati, portò la gioia nel castello di Griante. Le sue due nipoti sembravano impazzite dalla gioia. «Mi hai fatta tornare ai bei giorni della giovinezza,» le diceva la marchesa, e l’abbracciava. «Prima che tu arrivassi, mi sembrava di avere cento anni.»
Poi, insieme a Fabrizio, Gina tornò a visitare i dintorni incantevoli di Griante, descritti con tanto entusiasmo da tutti i viaggiatori: la villa Melzi, dall’altra parte del lago, proprio di fronte al castello, in piena vista, e, sopra, il bosco degli Sfondrata, e il brusco promontorio che separa i due rami del lago – quello di Como, sontuosamente affascinante, e quello di Lecco, più austero. Sono luoghi di una bellezza nobile, elegante, paragonabili, e non inferiori, al paesaggio più famoso del mondo, quello del golfo di Napoli. Gina era felice: ritrovava i ricordi di quando era bambina, li confrontava alle sensazioni che provava ora.
«Qui non è come al lago di Ginevra,» pensava, «non ci sono tutti quei campi ben coltivati con i metodi più efficienti, che fanno pensare ai soldi e alle speculazioni. Su queste colline ineguali gli alberi nascono come vogliono, la mano dell’uomo non li ha ancora guastati, costretti a rendere. Tra queste colline stupende, movimentate, giù, a precipizio, verso il lago, sembrano veri i paesaggi della poesia, come nei versi del Tasso, dell’Ariosto. C’è nobiltà, e tenerezza, e tutto parla d’amore, non c’è niente che ricordi le brutture della civiltà. I paesi, a mezza costa, si nascondono nel folto degli alberi, e sopra si vedono spuntare i loro bei campanili; i campi sono piccoli, tra i boschi di castagni e di ciliegi selvatici, e si prova piacere a guardarli, come se le piante che crescono qui fossero più forti e vive delle altre. Dev’essere bello stare in quegli eremitaggi, in cima alle colline… E, più lontano, stupefacenti, ecco le Alpi, coperte di neve, così severe, e brusche, a ricordare i dolori della vita quel tanto che basta a rendere più intenso il piacere di vivere… E poi, da qualche paese nascosto dietro gli alberi, si sente sonare una campana, e la fantasia ne è provocata, e il suono cade sull’acqua, e diventa più dolce, malinconico, rassegnato, e sembra che dica: «La vita corre via, e allora non essere diffidente davanti alla felicità che ti si offre, non perdere tempo, sii felice.»
Quei luoghi meravigliosi, unici al mondo, parlavano al suo spirito, le restituivano il suo cuore di sedici anni. Non capiva come avesse potuto star lontana dal lago per tanto tempo. «Forse,» pensava, «è sulla soglia della vecchiaia che la felicità si è nascosta!» Comprò una barca, e lei, Fabrizio e la marchesa la abbellirono con le loro mani, perché non avevano soldi.
Il conte Mosca è intellettualmente scaltrito, al confronto Fabrizio è tutto muscoli, nervi, giovanilismo.
Sciascia aveva visto bene: Fabrizio potrebbe assumere, a letture protratte della Certosa, la fisionomia di un imbecille.
L’unica vincitrice, nella Certosa come dappertutto, è la donna, è la Sanverina.
«Ti ricordi,» aggiunse poi, a bassa voce, avvicinandosi a Gina e guardandola con gli occhi che gli brillavano, «ti ricordi quel castagno che la mamma ha piantato l’inverno che sono nato io, nel bosco, vicino alla fontana? Prima di fare altri passi, ho voluto andare a vederlo. Pensavo: la primavera è appena incominciata, e se il mio albero ha già le foglie sarà un segno, e anch’io dovrò riscuotermi dal torpore di questo castello freddo e malinconico. Non pare anche a te che queste vecchie mura – adesso sono simboli, ma una volta erano strumenti del dispotismo – siano proprio un’immagine dell’inverno? Sì, per me sono proprio quello che l’inverno è per il mio albero. Bene: lo credi, Gina? Ieri sera – erano le sette e mezzo – sono arrivato davanti al mio castagno, e c’erano delle foglie, certe stupende foglioline già abbastanza grandi! Le ho baciate, senza fargli male, e ho smosso un po’ la terra, con rispetto, intorno alle radici del mio caro albero. Ero pieno di entusiasmo, mi sono buttato subito per la montagna e sono arrivato a Menaggio. Quello che mi occorreva era un passaporto per entrare in Svizzera. Il tempo era volato, quando mi son visto davanti la porta della casa di Vasi era già l’una di notte. Credevo di dover star lì un bel po’ a bussare, per svegliarlo, e invece lui era ancora alzato, insieme a tre amici. Appena ho aperto bocca mi ha gridato: “Tu vai da Napoleone!” e mi è saltato al collo. Anche gli altri mi hanno abbracciato, erano entusiasti. Mi ricordo che uno diceva: “Ah, se non fossi sposato!”».
La signora Pietranera si era fatta pensierosa, e si sentì in dovere di fare qualche obiezione. Se Fabrizio avesse avuto un po’ di esperienza, si sarebbe accorto che neanche la zia credeva alle buone ragioni che gli stava esponendo. Ma in mancanza di esperienza aveva una gran decisione, e non volle neanche ascoltarla. E dopo un attimo Gina si era ridotta a esigere che almeno parlasse del suo progetto alla madre.
«Ma lo dirà alle mie sorelle! Quelle donne mi tradiranno senza neanche accorgersene!» gridò Fabrizio in tono di eroico disdegno.
«Andiamo, parla con più rispetto delle donne,» disse Gina, sorridendo tra le lacrime, «perché saranno loro a fare la tua fortuna. Agli uomini non sarai mai simpatico, hai troppo entusiasmo per piacere a chi ha un’anima prosaica.»
Andrea Bianchi
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Una selezione dei passi del diario di Stendhal
3 agosto 1804
La curiosità ha un gran ruolo nell’amore: io che per abitudine al disegno cerco il nudo sotto i panni, e me lo figuro nettamente, sono meno esposto all’amore di tanti altri.
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10 agosto 1811
Non si può apparire diritti in uno specchio ondulato. Grande verità. Per i Machiavelli e altri geni della stessa risma, i D.D., i Des. [il maestro di università Destutt de Tracy], e compagnia bella, mi presterei sempre alla calunnia. Il sistema per evitare intrighi tali da ferire profondamente la mia fierezza e da farmi commettere qualche sciocchezza? Restare sconosciuti. E così sono cinque mesi che non vado dall’Arcicancelliere.
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25 luglio 1815
Il partito dello spegnitoio trionfa. Un bel veniteci a vedere da dire ai filosofi tedeschi così avversi a Bonaparte, se costoro avessero abbastanza cervello da capire. Non mi resta che un voto, che gli infingardi parigini siano ben oppressi dai soldati prussiani installati in casa loro. Infingardi! Si può ben essere disgraziati, ma perdere l’onore! […] I bastardi esulteranno. La Francia non sarà mai felice se non governata da un sovrano illegittimo, che debba il suo posto cioè alla costituzione.
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23 agosto 1817
Lite. – Nel secolo scorso, si era all’avanguardia dell’opinione corrente sparlando di san Paolo; nel nostro, merita il titolo di filosofo chiunque dimostri la non legittimità dei Sovrani e spieghi che fuori della costituzione inglese non v’è scampo.
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Parigi, 9 dicembre 1829
Politica di san Paolo. – Mi piacerebbe molto chiedere dei pareri su un manoscritto. Obiezione, Franklin non riesce ad attuare il suo progetto di gabinetto letterario fintanto che se ne dichiara autore. L’anno seguente, lo propone come inventato da un altro e le sottoscrizioni fioccano. (Vedere le lettere di Franklin. Avevo scritto prima di leggerle che san Paolo ha avuto la stessa idea inventando J. C.)