
“In tutti voi si annida il demone della distruzione”. Anton Čechov, lo scrittore ambientalista
Cultura generale
Diana Mihaylova
C’è troppo chiasso, anche per gli antichi dèi. Un varietà mitteleuropeo, un fumoir con tanto di coppe di champagne, grammofoni, sofà, sigarette e pistole. Presenze fantasmagoriche in versione burtiana, violenti cluster sonori. Ma la caciara non diventa, di necessità, sublime: spesso resta caciara e basta. I classici sono difficili da mettere in scena ma le modernizzazioni idiote non aiutano di certo. Da qualche anno a questa parte l’Inda (Istituto nazionale del dramma antico) ha gettato peplo e chitone per costumi ben più attuali. Estremamente attuali. Non che una qualsivoglia rivisitazione non sia opportuna, a volte magari necessaria. Ma, diciamolo, il baccano delle ultime stagioni al teatro greco di Siracusa si è fatto sempre più assordante. Uno stuolo di registi televisivi e cinematografici, artisti anche di grande “spessore”, ha deciso di cimentarsi con la grecità. Con pessimi risultati (ma forse buoni incassi). Avete visto l’Eracle di Emma Dante o le Baccanti di Carlus Padrissa?
È quest’anno Davide Livermore, per dire. E la sua versione dell’Agamennone di Eschilo (fino al 5 luglio). In scena tondi video wall, uno verticale sullo sfondo, l’altro orizzontale sul pavimento. I costumi di Gianluca Falaschi richiamano gli anni ’30-’40. È la fine della guerra e vecchi generali in sedie a rotelle vengono portati a spasso da infermieri: il coro greco (per così dire). Una casa di riposo? Un ospedale psichiatrico? Il doppio spettro di Ifigenia (una sorta di Mercoledì Addams alla Tim Burton) si aggira sul palcoscenico, richiamato da suoni che ricordano la colonna sonora di Profondo Rosso. Sul pavimento digitale navigano barchette di carta, la flotta partita per distruggere Ilio. Il rosso vermiglio domina la scena: l’abito di Clitemnestra (interpretata da Laura Marinoni), il tappeto di fiori steso al passaggio di Agamennone, il sangue che sgorga dai corpi dei morti ammazzati.
La massima spettacolarizzazione della tragedia greca, insomma, mentre, nemmeno a dirlo, della rappresentazione classica rimane ben poco. Prendiamo Agamennone, per esempio, il sovrano argivo. Interpretato da Sax Nicosia (nulla da ridire sugli attori, sia chiaro) l’Agamennone di Livermore non è affatto quello descritto da Eschilo. Il re di ritorno ad Argo è cambiato. Non è più il tracotante capo supremo degli Achei. Attraverso il tempo (e il sacrificio “per volere divino” della figlia), ha appreso la lezione del pathei mathos: l’esperienza del dolore porta alla conoscenza. Il luogo cardine greco rende tutti consapevoli dei limiti dell’uomo, soprattutto di fronte al volere degli dei. Livermore mette in scena altro. Un Agamennone re-dittatore-comandante: immagini da video-propaganda con tanto di microfoni vintage, per far risuonare proclami di memoria nazista. Non solo. Dov’è il coro che esprime considerazioni critiche sulla spedizione troiana? Che spiega come sia stato alto il prezzo della vendetta di Menelao (troppi morti in guerra). Che affida precetti di vita agli spettatori: la felicità da perseguire è quella che non conosce l’invidia. Qual è in questa tragedia il ruolo di Dike? Chi è Ate? Gli uomini sono pienamente responsabili delle loro azioni? Che concezione della donna (Clitemnestra o Cassandra che sia) è in funzione?
Livermore (e anche l’Inda degli ultimi anni) nella sua costante rilettura moderna dell’antico dimentica, elude tutti i temi fondamentali che fanno della tragedia una tragedia. I personaggi si muovono su un altro registro, quelle di uno spettacolo con un cast d’eccezione costretto a strizzate l’occhio all’uso e al gusto attuale. Pop invecchiato e puro modernariato, quando alla fine della rappresentazione gli interpreti cantano Glory Box dei Portishead, mentre il pubblico illumina i cellulari e balla all’unisono. C’è troppo chiasso sulla scena ma domina il silenzio del contenuto. Ma il fine ultimo delle tragedie greche non era tramandare un insegnamento? Se cercate questo, sappiate che, ormai da tempo, a Siracusa è andato perduto.
*In copertina: una immagine dall’Agamennone secondo Davide Livermore; photo Ballarino