08 Febbraio 2023

“Il dolore allontana, la malattia spaventa”. Sul potente romanzo di Ada d’Adamo

Forse a causa delle reticenze che soprattutto negli ultimi tempi allignano in certe cordate letterarie, una folta schiera di scrittrici, critiche e giornaliste sta facendo in modo che ci si avvicini allo struggente romanzo d’esordio di Ada d’Adamo con la sensibilità, la poesia e la sospensione di giudizio di cui solo le donne sono capaci. Lo si percepisce dai blurb, dai commenti e dalle critiche (tutte entusiaste, più che giustamente) che stanno uscendo, a pochi giorni dalla pubblicazione di Come d’aria (Elliot edizioni). Invece un modo interessante per accedere senza pregiudizi ai pesantissimi temi che affronta il libro, potrebbe essere proprio il punto di vista di un uomo. Non necessariamente quello di chi scrive, ma quello di un uomo. Uscendo dall’equivoco che questo genere di narrazioni risultino sempre troppo distanti dagli uomini, che in quanto tali non dispongano dei mezzi umani per capirle fino in fondo, e che quando anche ne siano dotati non sappiano usarli. Insomma, nel nostro piccolo ci proveremo.

Cominciando col dire che Come d’aria non è un romanzo ma una dichiarazione d’amore, nonostante tutto una dichiarazione d’amore per la vita. Nonostante tutto, già. Nonostante contenga l’evoluzione di una malattia terribile, l’oloprosencefalia di cui è affetta una bambina/ragazza (appunto Daria, nel romanzo i suoi anni scorrono veloci) il cui corpo risponde a pochissime sollecitazioni. Nonostante racconti del cancro di cui si ammala sua madre, la protagonista del romanzo (ovvero la stessa autrice). Nonostante affronti con coraggio la necessità dell’aborto, specie in una società così irresponsabile, cinica e immatura come la nostra. Nonostante si occupi del vuoto degli affetti che si crea intorno al dolore, quando una cosa sembra riguardare molti ma appartiene per davvero solo a pochissimi. Nonostante lo faccia grazie a una scrittura mai sbavata, mai compiaciuta, anzi puntualissima (forse l’unica soluzione a disposizione della d’Adamo), di matrice tecnica e quindi in brevissimi tratti anche scientifica, spoglia e crudele (da manuale letterario pagina 25, in cui confronta felicità e sconforto), ma piena di solitudine che diventa grazia, in alcuni momenti elegia. Nonostante tutte queste cose, Come d’aria è un grande inno alla vita, al mistero di vedercela scorrere intorno, accanto e dentro.

Si può discutere sull’enfasi di alcune presentazioni, recensioni e consigli di lettura – come detto, tutti rigorosamente declinati al femminile e da voci femminili – ma non si può discutere sul coraggio analitico dell’autrice e su una scrittura che sembra donata dalla necessità di sopravvivere più che acquisita da un’esperienza diretta (come in realtà è). 

«La chiesa, la politica, la medicina smettano di guardare alle donne come a puttane che non vedono l’ora di uccidere i propri figli. L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico».

E infatti Ada d’Adamo racconta di un aborto senza conseguenze, eseguito per conservare il proprio equilibrio affettivo. E di un altro che non ha mai pensato di eseguire, che quindi è diventato parto. Il parto da cui è nata Daria, la bambina, la malformazione della quale cambierà la stessa vita che avrebbe voluto proteggere.

Forse sarà per questo che, con eccessiva fretta, questo bellissimo libro viene quasi tenuto al riparo dalla possibile analisi di lettori uomini, ma per le ragioni sopra espresse – e per il materiale esplosivo che maneggia con straordinaria incoscienza – di questo romanzo consiglierei la lettura soprattutto agli uomini. Come una mannaia, una ghigliottina sulle buone intenzioni che non avrebbero ragione di esistere al cospetto di queste drammatiche casualità (come le chiama l’autrice) e che invece continuano a stare in cima ai desideri di chi prova a cimentarsi con la faticosa impresa della famiglia. 

«Volevo spezzare la divisione tra buone e cattive madri. Non volevo piegarmi all’ipocrisia, autoincludendomi senza alcun merito nel novero delle donne che avevano abbracciato la croce ed erano state citate come esempio di virtù».

L’autrice rappresenta con lucida intensità anche il dramma della solitudine del dolore, del vuoto che si fa intorno a chi deve affrontare l’umiliazione di uno Stato che ha totalmente dimenticato la diversabilità (campagne elettorali e ministeri vuoti a parte). Insegnanti di sostegno che cambiano ogni anno, scuola che comincia dopo quella dei compagni di classe, strumenti e marchingegni per superare le barriere fuori e dentro la casa, mille indifferenze intorno a una condizione che sembra cristallizzata per condanna e che invece scava dentro qualsiasi cosa. 

«Scavano pure quelle poche persone che ti sono state vicine i primi tempi, ma poi la loro vita è andata avanti, i figli sono cresciuti e se li sono portati via verso le feste di compleanno e picnic, corsi di nuoto e campeggi estivi e pigiama party. (…) Sono via, lontano, anche quelli che dovrebbero stare più vicino. Via fratelli e sorelle. Via nonni, zii, cugini, nipoti. Il dolore allontana, la malattia spaventa. Le famiglie si sfasciano. Via, via, via. La solitudine fa talmente compagnia che a un certo punto non si ha più niente da dire».

Da tempo non leggevo un romanzo così istruttivo sull’impotenza e sulla prevaricazione del destino nei confronti di due donne, una bambina/ragazza e sua madre. Ma resto dell’idea che questo romanzo – di una potenza fuori dal comune, di una consapevolezza così rara da non sembrare appunto un romanzo ma un invito a partecipare, a spendersi per la vita – debba essere strumento di crescita soprattutto per gli uomini, soprattutto per chi crede di essere solo sfiorato da queste cose ma invece ne fa parte, ne è parte. Come d’aria è una storia così ingiusta che vien voglia di lamentarsi, di strapparlo il libro (verso pagina 90 o poco più, quando il cancro complica le cose in maniera per fortuna reversibile). Ma dentro il lamento degli umani, c’è la dignità degli dei. E Ada d’Adamo diventa un cantico, non un’autrice ma un’ode alla miserabile forza che la sopravvivenza riesce a tirar fuori dalle viscere di ciascuno di noi.  Soprattutto dalle donne (è vero!), ma non solo. Perché questi gesti d’amore, questi testamenti letterari così rari, devono diventare materia d’esame per gli uomini che hanno voglia di imparare come si fa. E ve ne sono, tanti. 

Davide Grittani

Gruppo MAGOG