28 Ottobre 2017

"Ostinato in ideali di purezza". Due studiosi fanno risorgere Giuseppe Vannicola, genio dimenticato

Le imprese culturali, in Italia, si fanno così. In casa. In modo sartoriale. Geniale. Silvano Tognacci, tra i più letali lettori che io conosca, e Paolo Pianigiani hanno fondato una vera impresa culturale. Un sito dedicato a Giuseppe Vannicola, autore estremo e misconosciuto, che ha attraversato la cristalleria della letteratura italica con l’eleganza (e la ferocia) di una lince. Ho chiesto ai due di raccontarci chi era Vannicola. Il sito, ad ogni modo, è qui. (D.B.)

 

Scoprendo Vannicola

Non sapevo chi fosse Giuseppe Vannicola fino al 2 gennaio di quindici anni fa, quando mi recai in edicola per il giornale dopo la pausa di capodanno… alle 10 erano finiti tutti, c’era solo Il Foglio e mai avrei pensato di conoscere, quel giorno, un personaggio così incredibile come Vannicola. Apro il lenzuolone e vado alla recensione quotidiana… si parlava di Giuseppe Vannicola, Della Solitudine, Edizioni Libreria Dante&Descartes, a cura di Armando Audoli… un libro microscopico nel formato ma immenso nel contenuto, settanta pagine in trentaduesimo che mi hanno svelato un personaggio fantastico e mi hanno accompagnato in questi anni nelle mie ricerche; era sempre nella valigia dei viaggi, c’erano copie dappertutto, come Pollicino, anche perché ne avevo comprato una ventina presso l’editore. Quella recensione mi colpì per la morte di Vannicola, sugli scogli di Capri, per questi 39 anni vissuti inimitabilmente tra orgoglio e sofferenza. Era tutto e il contrario di tutto, era il vero vagamondo italico, cocciuto, triste, tragico ed illuso; con le fotografie ho potuto vedere l’aspetto fisico, però mancava e manca tuttora ascoltare la sua voce, sentire l’odore dei suoi vestiti, manca la vera quintessenza del ricordo, il profumo, forse di Sandalo.

Vannicola libro
Tra i rarissimi libri di Vannicola: “Il veleno”, edito da Sellerio nel 1981

Non mi posso permettere le centinaia di euro che il mercato chiede per possedere le edizioni di Vannicola, non sono un oscuro collezionista, il mio massimo desiderio sarebbe quello di poter sfogliare in guanti bianchi tutti i suoi undici libri stesi su un bel tavolo… sentire la carta, osservare la pressione tipografica dei caratteri, l’impaginazione, la struttura dei capitoli e magari… poterli leggere per assaporare la potenza delle parole… con una eccezione… un’arte d’eccezione! Era la prima domenica di gennaio del 2014, al mercatino di Santarcangelo di Romagna, il decano degli ambulanti librari mi dice: “Ho qualcosa per te!” e sul fondo di una cassetta di cartone (i bancarellai di libri usano quelle delle banane, robuste e capienti) mi appare “arte di eccezione” … lui mi fa: “mi ricordavo che tu cercavi roba di questo autore”. “Si, grazie Sergio, vuol dire che mi pensi… quanto ti devo?”. “Dai dammi cinque euro … è un librino”. Non mi sembrava vero, per la prima volta avevo tra le mani delle parole stampate di Giuseppe Vannicola; ero la persona più felice del mondo. (Silvano Tognacci)

 

Giuseppe Vannicola, chi è costui?

Nacque a Monte San Giorgio il 18 novembre 1877, di famiglia romana; studiò a Napoli, al Conservatorio, e gli rimase per sempre quello spirito scanzonato che l’aria di quella straordinaria città regala a chi la comprende a fondo. Così Papini ricorda l’amico, che conobbe durante le sue frequentazioni fiorentine, sia nei tempi belli che in quelli brutti: Giuseppe Vannicola, uomo peccante verso sè ed altri, ha pagato con la morte le sue colpe. E forse l’aveva già pagate colla vita che fu, specie negli anni ultimi, tristissima, misera e travagliosa. E nessuno potrà fargli i conti addosso, nè ora nè mai, e chi gli ha voluto bene specialmente. Come me, ad esempio, che non l’ho conosciuto soltanto mal ridotta figura curva e verlainiana, cercante invano riposo e dimenticanza di città in città, di caffè in caffè, di casa in casa, ma anche lo vidi e l’amai nei giorni più belli, quando ancor dritto nella persona sperava ostinato in ideali di purezza e godeva dell’arte sua pienamente — cioè della musica, ch’era l’espressione più naturale della sua anima.

VannicolaQui c’è tutta la sua vita, la parabola di un artista che nella musica cercò il suo mondo, per poi trovarlo nel bianco delle pagine di splendide edizioni a stampa. Si trasferì, com’era quasi d’obbligo allora per gli artisti, a Parigi; e rimase impigliato e protagonista in un famoso dipinto di Lionello Balestrieri, Beethoven. Vannicola vi è raffigurato mentre esegue la «Sonata a Kreutzer»; è questa la testimonianza più vera e significativa che rimane del suo periodo francese e della sua virtuosità come violinista. Dopo l’esperienza in terra di Francia ha una crisi mistica, che lo spinge a rifugiarsi nell’abbazia di Montecassino, da dove però ben presto tornerà ai fasti del mondo trasferendosi a Milano, dove spera in un ingaggio stabile alla Scala, e dove incontra Marinetti, iniziando a collaborare alla più bella rivista di letteratura dell’epoca “Poesia”, da lui diretta. Incontra l’amore della sua vita, la bellissima Olga de Lichnizki, raffinata nobildonna russa, ricca di fascino e di soldi. Che servirono, anzi furono indispensabili, nel 1904, quando la coppia si trasferì a Firenze e fondò la «Revue du Nord» (1904-1907); Vi collaborano Papini, Prezzolini e Giovanni Amendola. Suoi testi compaiono in questo periodo anche su diverse pubblicazioni, tra le quali: «L’Alba», «Il Regno», «Leonardo», «Poesia», «La Voce», «Lacerba», «Il Mattino». Dopo l’esperienza fiorentina i due si trasferiscono a Roma, dove viene fondata la rivista “Prose”. Ma la separazione dalla compagna e l’insorgere di una terribile malattia, provocherà la discesa verso il basso, fra uso di alcool e indicibile povertà. Che però seppe affrontare sempre con dignità, e trovando in qualche amico che gli rimase fedele fino alla fine quel conforto che il mondo non seppe né volle più dargli. Cercando un clima più mite, e per stare comunque vicino a quell’ambiente un po’ dandy e un po’ bohemien che amava, si trasferisce infine a Capri, dove muore il 10 agosto 1915. Muore su uno scoglio, sul mare. Abbandonato da tutti, con il sole ad illuminargli il viso e a riscaldargli l’anima. Come muoiono gli eroi e i santi. (Paolo Pianigiani)

 

Le sue Opere:

Trittico della Vergine (1901)

Sonata Patetica (1904)

De profundis clamavi ad te (1905)

Da un velo (1905)

Corde della grande lira (1906)

Kundry (1907)

Distacco (1908)

Elsa l’abbandonata (1909)

Arte d’eccezione (1911)

Il veleno (uscito a Firenze, presso la casa editrice Baldoni & C. nel 1912 come primo numero della raccolta «Prose»).

 

Antologia di testi:

Da: De Profundis calmavi ad te (1905)

Gettate lo scandaglio nel più profondo di voi. Inginocchiatevi sull’abisso e scrutate… Ascoltate se lo scandaglio incontra il fondo… Silenzio! Misurate la gioia e il dolore di cui è capace il cuore dell’uomo. Ascoltate se lo scandaglio incontra il fondo… Silenzio! Silenzio! Contate le attitudini conosciute e sconosciute della gioia e del dolore. Scrutate le capacità di gioia e di dolore. Ascoltate se lo scandaglio incontra il fondo.. Silenzio! Silenzio! Silenzio!

Beethoven è l’uomo del silenzio.

 L’uomo che la parola può appena avvicinare; l’uomo che, avviluppato di silenzio, ispira e comanda il silenzio; l’uomo per cui il silenzio è atmosfera musicale. Le montagne s’alzano nel suo profondo su le montagne; le montagne gettano nel suo profondo un’ombra densa e vastissima; le montagne nel suo profondo fanno silenzio. Un silenzio che abbraccia tutto nelle sue profondità. Un silenzio che non determina, ma che riposa e comprende. Un silenzio che comprende nel suo riposo le musiche che hanno aperto al silenzio orizzonti nuovi, le musiche per cui il silenzio si solleva sul silenzio e le montagne su le montagne, in un Infinito più infinito, in un Silenzio più silenzioso.

 

 

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