Quindi c’è da una parte, Maduro, che è un brutto dittatore di estrema sinistra ma che ha vinto le elezioni, e dall’altra parte un giovincello di destra (come si chiama… Guaglió?) che è comparso dal nulla e si è autoproclamato Presidente con l’appoggio di Trump, giusto?
No, le elezioni che Maduro dice di aver vinto in maggio 2018 (e secondo le quali si è insediato il 10 gennaio scorso) sono state sfacciatamente truccate e non riconosciute né dentro né fuori dal paese. Furono convocate, illegalmente, dall’Assemblea Nazionale “Costituente” creata da Maduro per sostituire l’Assamblea vera che è controllata dall’opposizione (2/3 dei seggi). Anche il Tribunale Supremo di Giustizia è controllato da Maduro perchè quello vero è dovuto scappare in esilio. Il giovincello (35 anni) Juan Guaidó, ingegnere, figlio di un tassista, è comparso by default: secondo la rotazione annuale, la Presidenza dell’Assemblea corrisponde al suo partito (Voluntad Popular, centro sinistra). Il capo del suo partito è agli arresti domiciliari. Il vice capo è rifugiato in un’ambasciata. È toccato a lui. Non si è “autoproclamato”: dato che l’elezione di Maduro non è stata riconosciuta valida dall’Assamblea, quest’ultima ha deciso di applicare l’articolo 230 della Costituzione (che fu scritta da Chàvez), secondo il quale corrisponde al Presidente dell’Assamblea coprire il vuoto di potere ad interim, formare un governo di transizione e convocare elezioni presidenziali.
E sia… le elezioni erano truccate e il giovincello ha letto bene la Costituzione, però Trump lo ha subito appoggiato, dimostrando che siamo alle solite, siamo tornati alla guerra fredda: gli imperialisti americani intervengono nella loro zona di influenza per evitare che i nemici russi, cinesi e altri approfittino delle ricchezze del Venezuela. Questo film l’abbiamo già visto!
Non proprio. L’appoggio di Trump al giovincello Guaidó è stato chiesto da quest’ultimo, anzi, il suo partito lo ha preparato al tavolino da vari mesi. Finora, gli unici interventi e le svariate ingerenze esterne (di tipo militare, politico, di intelligenza, finanziario) provengono da Cuba, Russia, Cina, Iràn, Turchia. E non sono nuovi: è ben conosciuta la presenza nel paese di truppe cubane (20.000 secondo varie fonti, da circa 15 anni), così come l’esportazione (gratis) di petrolio venezuelano a Cuba, che è come dire il suo ossigeno. Alla Russia (la sua impresa petrolifera Rosfnet) interessa la produzione e distribuzione di petrolio attraverso l’impresa statale venezuelana Citgo, della quale ha acquisito il 49% delle azioni nel 2017, e che distribuisce benzina nella zona Est degli Stati Uniti. Anche la Cina guarda il petrolio venezuelano e molto altro: ad esempio il coltan, quel minerale che serve alla produzione di telefonini. Iràn, invece, è interessato all’uranio, ma si dedica anche ad appoggiare la presenza di guerriglieri di Hezbollah in Venezuela. Che ci fanno là? Forniscono armi e formazione militare alle guerriglie della regione, in particolare quelle colombiane (finanziate anche dai narcos), che ora hanno le loro principali basi in territorio venezuelano. E la Turchia? Compra minerali ma specialmente oro, molto oro (secondo varie fonti tra cui Forbes). Gli Stati Uniti hanno una lunga, vergognosa e colpevole storia di interventi nei paesi latinoamericani. Ma qui la storia si è ribaltata: nella regione non si è mai vista una presenza esterna così importante, durante tanto tempo e da vari paesi in simultanea. Neanche durante la crisi dei missili russi a Cuba nel 1962. Resta il fatto che le immense ricchezze del Venezuela (tra cui le riserve petrolifere piu’ grandi del pianeta) fanno gola a molti. Guaidó ne è cosciente.
Certo, ed è per questo motivo che Chàvez o Maduro (o tutti e due?) hanno nazionalizzato la produzione del petrolio e del gas, per evitare lo sfruttamento delle imprese multinazionali.
No, la nazionalizzazione è avvenuta nel 1974. È stata una decisione presa da un governo socialdemocratico. L’impresa statale venezuelana, Petróleos de Venezuela (PDVSA) è stata un gioiello di buona gestione (era la terza al mondo nel suo settore) finché Chàvez ha deciso di usarla come strumento politico e ideologico. Questo tema è talmente importante per il Venezuela (il 90 % dei suoi introiti derivano dalle esportazioni di petrolio e gas), che uno dei primi punti dei piani di ricostruzione previsti dal futuro governo di transizione è di mantenere lo status quo, cioè di non privatizzare l’impresa petrolifera ma di rimetterla in sesto al più presto.
Una cosa è chiara: il governo di Maduro è un fallimento economico – guarda che miseria, che fame… manca tutto, me lo ha detto un mio cugino di secondo grado che è nipote di un mio prozio che è emigrato là negli anni Cinquanta. Ho letto che negli ultimi due anni sono emigrati circa 3 milioni di venezuelani (il 10% della popolazione), per disperazione. Tutto colpa dell’embargo e delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro le politiche sociali di Chàvez e Maduro, troppo di sinistra secondo loro.
La miseria e la fame sono il risultato di politiche disastrose e di un gigantesco saccheggio iniziato da Chàvez 20 anni fa. Non ci sono mai stati né embargo né sanzioni di nessun paese contro lo Stato venezuelano. Ci sono solo state sanzioni di Stati Uniti e UE ad personam, cioè contro determinati esponenti politici e militari del regime di Maduro, ricercati dall’agenzia antinarcotici DEA, o accusati di riciclaggio di denaro sporco (varie migliaia di milioni di dollari) in vari paesi. Né Chàvez né Maduro hanno mai smesso di vendere petrolio agli Stati Uniti (che ha sempre pagato in contanti, contrariamente a Cuba e Cina), perché sarebbe stato come uccidere la gallina dalle uova d’oro. Tanto è vero che Maduro il 23 gennaio scorso, dopo una manifestazione mostruosa dell’opposizione e le prime dichiarazioni di Washington in appoggio a Guaidó, si è affrettato a dire: “io non ho nessuna intenzione di interrompere le vendite di petrolio agli Stati Uniti”. Tutto ciò è cambiato il 28 gennaio: per la prima volta, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha bloccato i beni dell’impresa PDVSA e il suo commercio, assecondando la richiesta di Guaidó (dato che ne ha riconosciuto la legittimità come rappresentante ad interim dello Stato), e trasferendo queste risorse a un fondo a favore del giovincello. La gallina dalle uova d’oro è ora in possesso dell’opposizione.
Ho capito cosa succederà nei prossimi giorni: ci sarà un colpo di stato militare (con o senza Maduro), sbarcheranno i Marines, si scontreranno con i militari cubani, russi, iraniani e via dicendo, e inizierà una guerra civile. In fondo, è quello che vuole Trump.
È vero che ci sono tutti gli ingredienti per uno scenario tipo Siria, in peggio. Ma non sarà così: uno sbarco di Marines sarebbe uno sproposito e una guerra civile non la vuole nessuno. Non la vogliono neanche i militari più fanaticamente pro-Maduro, né l’opposizione più pro-USA, né lo stesso Trump. Non la può volere il governo di Cuba, troppo realista e pragmatico, né la Russia, troppo lontana. La stragrande maggioranza della popolazione (80%? solo delle elezioni pulite potranno dirlo) preferisce l’appoggio di Trump, ma senza intervento, all’agonia infinita del regime di Maduro. Adesso si aspetta con ansia l’implosione naturale del regime di Maduro. Ci sono negoziati in corso tra alcuni vertici militari e rappresentanti del giovincello. Chissà, forse è questione di giorni, di ore.
Manuela Tortora