21 Gennaio 2018

Hanno tra i 40 e i 50 e con le foto scollacciate scacciano la vecchiaia che incombe. Memorie delle mie milfone tristi. Una lettera d’amore

È una vera è propria invasione. No, per una volta, non uso l’espressione in riferimento ai migranti. Sto parlando di tante amiche, amanti, e conoscenti che vedo ogni giorno sfogliando la bacheca di Facebook e Instagram. Hanno tra i quaranta e i cinquanta. Rispetto alle loro coetanee di un tempo, hanno la peculiarità di non volersi arrendere alla fine della giovinezza. Postano foto scollacciate, provocanti. A volte, bisogna riconoscerlo, anche ben studiate. Attirano l’occhio, turbano il pensiero. E, una cosa è certa, mi convincono che, per quanto sia irrimediabilmente trascorsa la loro età più leggera, non per questo ne ha risentito la bellezza e l’appeal. Sono vive, vive più che mai. Niente come la bellezza che diventa consapevole dell’inesorabile. Acquisisce fascino, una sostanzialità dolorosa. Fa venir voglia di essere consumata come tutto ciò che si sa prossimo a svanire. È una fame differente rispetto a quella della brama giovanile. È rabbiosa e malinconica, come la voglia di mare negli ultimi giorni d’estate. Lo confesso: amo queste donne che temono l’invecchiamento e la fine delle loro potenzialità attrattive. Sono esibizioniste, ma non sempre stupide. Alcune sono donne colte. Magari hanno anche amato dei bruti, ma con la maturità cercano la lusinga dell’uomo con qualche lettura alle spalle. Adoro le foto in cui ritraggono le loro gambe su cui sta posato un volume di Philip Roth, o Michel Houellebecq. Dà l’idea di poter intavolare una piacevole conversazione di carattere letterario, prima, o meglio ancora, mentre si tasta con vigore quella bella coscia tonica e ancora nervosa. Saltuariamente, al pomeriggio, nell’ora maggiormente propizia, di fronte a una loro immagine piena di malia e hashtag, fantastico di incontri in quelle loro case lussureggianti – come fate a tenerle sempre in ordine? –, con Proust come scusa per un decamerone di mani curiose e sbarazzine, per niente pecorecce. Vagheggio, e mi appago come posso. Ah, quanto è bella la vita sognata!

Ci sono poi quelle che, quando entri in confidenza, se vedono che sei discreto e decoroso, quanto abile nel lusingarle, ti deliziano con immagini private. Dapprima è un ritratto che tu commenti con un qualche verso. La cosa le tocca nel profondo e allora si lasciano andare. Ti spediscono la foto di un piedino delizioso – il feticismo può avere una sua pudicizia. Poi risalgono. Le mani, i seni. Di solito compare anche un accenno dell’oscuro oggetto del desiderio maschile. È spesso depilato, come nelle giovanissime. Tant’è che è difficile oramai capire se si tratti di una fica di madre o di figlia. Noi romantici sappiamo commuoverci in entrambi i casi. Tiriamo fuori il nostro repertorio di citazioni migliori e, davvero, per qualche attimo siamo perfino rapiti, molto più coinvolti che di fronte alla messa a nudo un poco asettica del porno.

Da uomo non propriamente vecchio, ho sempre amato le donne più grandi. L’indulgenza materna di queste femmine che magari sono sposate, ma non hanno più un marito. Te lo confidano – ogni carnalità è una scusa per giocare al confessionale. È un atteggiamento particolare quello che hanno nei tuoi confronti. Ti vogliono attrarre perché non attraggono più il compagno, ma conoscono le gioie dell’essere madre, sicché non si limitano a scoparti, ma ti coccolano. Riconosco che la cosa abbia dei tratti morbosi, come tutto il vero erotismo. Ma del resto il vero maschio è sempre a caccia di una madre con cui finalmente possa mostrarsi uomo, visto che per colpa di Edipo non ha potuto esserlo con la sua. Le signore ancora un po’ ragazze, poi, amano il maschio più giovane, dalla sicura virilità. Vogliono la sua attrazione e si impegnano per farlo godere, stimolate anche dall’assillo della concorrenza giovanile. In tal senso, hanno indiscutibilmente ragione i liberali: la competizione aiuta a eccellere.

Ah, mie amate milfone, dolci e sempre insoddisfatte, con tante tragedie amorose alle spalle, con le vostre croci, e la tenera decadenza che si insinua tra le vostre carni… Non vogliatemene per l’amore che tanto sfacciatamente vi manifesto in pubblico. E state tranquille, i vostri nomi non li farò mai a nessuno.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG