10 Agosto 2019

10 agosto, muore Giuseppe Vannicola, piccola margherita della letteratura italiana che nessuno ricorda (tranne noi)

Nell’implacabile scorrere del tempo, ci sono giorni dell’anno che si elevano a vero e proprio spartiacque per un evento importante accadutovi. Il mio San Silvestro personale è il 10 agosto, perché nel 1915 moriva, solo e sfinito, a Capri, lo scrittore Giuseppe Vannicola e nel 2013 se ne andava mio babbo, quindi perdonate la mia immodesta intemerata, se dico: “sono l’unico in Italia che ricorda Vannicola”. Sia la Treccani che il Dizionario Letterario Bompiani lo ignorano, sul Fedele della UTET ci sono venti righe curate da Giorgio Barberi Squarotti… tutto qui, questo violinista e scrittore vive nel mio cuore perché “ho raspato la terra per scoprirlo”, ho cercato di capire, senza riuscirci, il motivo del suo forzato oblio… ho visto con il binocolo “l’ultima gazzella del branco che zoppicava” ed ho scoperto che si chiamava Giuseppe.

Trovo agghiacciante versare oceani di lacrime di coccodrillo quando scompare un papavero e nel contempo spegnere un mozzicone di sigaretta col piede sopra una piccola margherita… è un fiore anche lei… forse perché non ha scritto quella gnorgnia di Montalbano, ha meno diritto ad essere guardata? Io sto con le margherite, tifo per l’ortica e lascio volentieri le rose rosse a quelle squadriglie di petulanti raganelle che condiscono i loro dialoghi di “come dire” e “assolutamente si”; abbiamo la lingua più bella del mondo e queste povere soffriggitrici di fuffa chiamano una bacheca, “moodboard”, un incontro di lavoro, “briefing”, un sano e gioioso vaffanculo, “fuck off”.

Il reverendo King aveva il suo “dream” e lo ha urlato a Washington; anch’io ho un sogno e lo scrivo, ospite della tribuna di Pangea e per bontà di Davide Brullo che ancora mi sopporta: “volgiamo il nostro sguardo agli scrittori dimenticati, ai poeti feriti  che non sono riusciti a sopportare il peso della vita, ai letterati che chiedevano di essere ascoltati”. Parafrasando l’Ecclesiaste, c’è un tempo per ascoltare e un tempo per parlare, ma nella commedia umana che stiamo tutti interpretando non esiste un tempo per tacere, perché il silenzio per uno scrittore è l’attimo prima della morte.

Silvano Tognacci

***

 (…) L’arte non potrebbe vivere soltanto di idee: bisogna che un artista prodighi loro la vita, che è il dono proprio dell’artista. Possono esservi poeti per quanto si vuole, di belle idee e di nobili forme: la vita soltanto è il segno dell’arte. Dove c’è un uomo vivo, c’è un’opera d’arte. Il dono della vita è infinitamente al di sopra di tutti gli altri.

Così scriveva, sei mesi prima della morte, Giuseppe Vannicola, in un articolo apparso su Il Mattino di Napoli, in ricordo dell’amico Butti; da alcuni anni, bontà di Davide Brullo che pubblica i miei interventi, ci si ricorda di questo singolare intellettuale del secolo scorso, morto in una stradina di Capri, forse, per tristezza, il 10 agosto 1915. Ricordo bene, quando nel 2015 in occasione dei cento anni, l’unico articolo uscito in Italia fu quello su La Voce di Romagna, con la raccomandazione di conservarlo, per la sua unicità. Addirittura la Treccani non lo annovera tra le sue voci, non esiste nel Dizionario Letterario Bompiani e le uniche venti righe su di lui sono quelle vergate da Giorgio Barberi Squarotti per il Fedele della Utet.

F.T. Marinetti, cantore della più famosa “sbornia con uscita di strada” della letteratura italiana, lo ricordava così: “Fui legato da profonda amicizia a Giuseppe Vannicola. Lo conobbi molti anni fa sul lago di Lecco, nella villa del drammaturgo Butti… Spesso deliziava le pause delle nostre notti consacrate allo spiritismo con delle inebrianti cavate del suo magistrale violino… Scrisse, tentò tutte le forme letterarie, sempre lanciato in folli e mirabili esplorazioni spirituali. Anima tentacolare, egli si logorò le braccia a stringere i più terrorizzanti fantasmi. Tutte le seti della terra, del cielo-inferno che le sue vene mistiche portavano, lo condannarono fatalmente all’alcool… Compiangerlo? Non credo. In realtà non fu vinto: vinse. Amò tutto, e anche l’impossibile; superò, ridendo liricamente, la vita; beffeggiò la miseria, ed ora certamente sorride con grazia, pensando al prodigioso terno al lotto di un riposo definitivo sulla marina ideale dell’Isola paradisiaca”. Allora, sonnambuli zukkerberghiani, come vi pare questa vecchia prosa polverosa dei primi del Novecento ?… stendiamo un velo pietoso sul frutto dei Vostri polpastrelli con il finale dell’ultimo articolo redatto per Il Mattino, che fu pubblicato il 15 agosto 1915 con la seguente avvertenza: “Articolo postumo di Giuseppe Vannicola. Questo, che è l’ultimo articolo che il povero e delicato artista abbia scritto, avrebbe dovuto veder luce nel Mattino, quando Vannicola è morto. Lo pubblichiamo come estremo omaggio alla sua memoria”. (Silvano Tognacci)

*

(…) Nella primavera del 1905, un giornalista ozioso annunciò all’Europa che Oscar Wilde viveva ancora, viveva chiuso in un convento spagnolo; e trattando da sofista una lettera del poeta, e aggiungendo della sua fantasia, cercava di rendere probabile la novella.

Ma no! Oscar Wilde è morto, è ben morto. Una sera di esperimento spiritistico io ho potuto parlare con lui.

Avvenne a Parigi, in casa di André Gide. Durante il pranzo la conversazione si aggirò naturalmente intorno alla fantasia di quel gazzettiere. A poco a poco, si rimase solo in quattro: un’intellettuale dama che agiva da medium scrivente, Gide, il pittore belga Theo Van Ruyssemberg, ed io. Non rammento chi propose per celia la seduta.

Per la curiosità dei lettori, creduli o no, posso però riprodurne qui il colloquio come io lo fissai nella notte stessa. Eccolo in tutto il suo laconico mistero:

Wilde – Doriano mi ha tradito.

Gide gli domanda di riassumere le sue impressioni circa il processo.

Wilde – Vero inglese. Falsi, ipocriti puritani.

Io – Tu sai il culto ch’io tributo alle tue opere. Ti prego di voler esprimere un giudizio su di me.

Wilde – Grazie, Vannicola, delle armonie che hai pensate e scritte per me.

Ruyssemberg – Ci sarebbe caro di conoscere la tua opinione sulla esistenza di oltretomba.

Wilde – Confusione caotica di nebulosità fluidiche. Cloaca di psiche e d’essenze di vite organiche.

Gide – E sull’esistenza di Dio?

Wilde – è anche per noi il gran Mistero…

Giuseppe Vannicola

*

*Per capire la personalità di Vannicola si può leggere qui e qui.

Gruppo MAGOG