Sulla nascita del genere poliziesco le idee sono diverse, da quelle che ne identificano l’origine con l’opera d’un singolo autore – facendola coincidere, ad esempio coi racconti di Edgar Allan Poe – a quelle più retrospettive che, se identificano un “caposcuola”, ritengono abbia raccolto l’eredità del passato, rinnovandola con innesti originali o varianti capaci di creare un salto di livello.
Il suo personaggio Caleb Williams, infatti, dedito a risolvere con logica inflessibile un caso d’omicidio, si può definire il primo detective in senso moderno: Things as They are; or The Adventures of Caleb Williams è il romanzo in tre volumi di cui è protagonista, pubblicato nel 1794 (da noi l’ha pubblicato Theoria nel 2018).
“Da molti anni la mia vita è teatro di sventure. Sono stato oppresso da una tirannia ossessionante alla quale non potevo sfuggire. Ho visto le mie speranze stroncate. Il nemico si è dimostrato sordo alle implorazioni e infaticabile nel perseguitarmi. Le sue vittime: la mia reputazione e la mia felicità.”
Con questo incipit dal tono melodrammatico, Caleb Williams scrive le sue memorie affinché i posteri gli rendano giustizia: la sua narrazione il solo strumento di riscatto. Egli racconta di essere divenuto segretario di Mr. Falkland, un gentiluomo colto e onesto; ma i ripetuti attacchi di depressione e collera a cui questi è soggetto infiammano la sua curiosità e gli generano sospetti, spingendolo a indagare sul passato del suo padrone presso Mr. Collins, il maggiordomo.
Si descrive così la giovinezza di Falkland, il suo viaggio in Italia, dove venne coinvolto in questioni d’onore, poi il suo ritorno in patria e lo scontro che lo oppone all’arrogante Mr. Tyrrel, un vicino signorotto locale, rozzo e violento. Ad accrescere l’inimicizia fra i due contribuisce la sfortunata storia d’amore tra Falkland e Emily, parente povera del protervo Tyrrel, che prima le impone il matrimonio con un bifolco e poi, non riuscendo a convincerla, la perseguita con ferocia finché la poveretta muore nella prigione dove egli l’ha fatta rinchiudere per pretesi debiti.
Falkland, conosciuti i fatti, eccita l’opinione pubblica contro il malvagio, fino a farlo radiare dal circolo locale. E Tyrrel, inviperito dall’affronto, arriva a schiaffeggiare pubblicamente Falkland. Ma ecco che, poche ore dopo, viene trovato assassinato.
Fatta una sommaria indagine, il fittavolo Hawkins e il figlio, a loro volta angariati da Tyrrel, sono accusati del delitto e impiccati. Da quel momento, Falkland sfugge ogni compagnia e Caleb si persuade che l’assassino di Tyrrel sia lui. Così, nel secondo volume si svolge la metaforica partita a nascondino che oppone il segretario-inquisitore a Falkland, il quale tenta con ogni mezzo di sottrarsi all’esame.
Caleb, convinto della colpevolezza di Falkland, nella frenesia di trovarne le prove tenta di scassinare, durante un incendio, il baule che Falkland conserva nello studio; ma questi lo coglie sul fatto, e in un impeto d’esasperazione finisce per confessargli l’assassinio, vincolando Caleb al segreto con terribili minacce. Ne segue una convivenza forzata, in cui Caleb s’accorge che Falkland segue ogni suo gesto e non gli permette di allontanarsi da casa; e, quando finalmente riesce a fuggire, viene catturato e condannato per furto su denuncia di Falkland.
Il terzo e ultimo volume ha inizio con l’evasione dal carcere di Caleb, che viene riacciuffato dal cacciatore di taglie Gines, grazie a un falso pamphlet in cui si narrano le avventure del “bandito” Caleb Williams. Ricondotto in prigione, il protagonista viene fatto scarcerare dallo stesso Falkland, che rinuncia a procedere contro di lui. Ma i suoi guai non sono finiti, poiché Gines continua a perseguitarlo grazie all’opuscolo, distruggendo la sua reputazione ovunque egli cerchi di rifarsi una vita.
A un passo dal perdere ogni speranza, Caleb ottiene un inatteso confronto con Falkland davanti a un magistrato: mosso a pietà dalla vista del nemico ridotto all’ombra di se stesso, Caleb si riconcilia con Falkland, che alla fine ammette la propria colpevolezza e muore pochi giorni dopo, mentre il protagonista, lungi dal trionfare, si riconosce responsabile della sua morte.
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Una trama complessa, dunque. Nei primi due volumi è il segretario a perseguitare il padrone, la cui vendetta si rivela affine al torto subìto: come Caleb ha estorto con armi subdole la sua confessione, così Falkland nasconde la propria argenteria nel baule del segretario (riposto in una stanza segreta, che crede di conoscere lui solo), accusandolo di un furto che è emblema del suo vero “crimine”.
Il romanzo è basato sull’assunto che il potere immancabilmente corrompe: a macchiarsi del crimine, infatti, è uno squire cioè un possidente del ceto nobiliare che usa eludere la severità della legge, purché non si tradisca la sua classe sociale. Alla giustizia divina, che per definizione colpisce il criminale comune, e alla nemesi popolare che – come abbiamo visto – mette il cappio al collo di Jonathan Wild, nel romanzo di Godwin si sostituisce un vero e proprio vendicatore: Caleb Williams, da molti considerato il primo detective.
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Things as They are; or the Adventures of Caleb Williams: sin dal titolo, il romanzo si presenta come una ricognizione realistica dell’Inghilterra di fine Settecento. Nasce come romanzo giacobino, pregno dell’ideologia dell’autore che condanna l’istituzione monarchica e allo stesso tempo rifiuta il regime democratico. Godwin, fiducioso nella perfettibilità dell’uomo e nel sistema di convivenza sociale, con grande visione sostiene che è necessario abolire le leggi, le prigioni, la proprietà privata, il matrimonio e la chiesa.
Infatti, nella prefazione del 1794 l’autore evidenzia il valore di pamphlet del romanzo, spiegando di aver tracciato un quadro delle cose “così come sono” perché in esse si specchia il governo politico, il cui spirito deviante s’infiltra in ogni strato della società. Ma quando il romanzo verrà ripubblicato nel 1831 col semplice titolo di Caleb Williams gli ideali giacobini ormai saranno in declino e gli intenti ideologici oscurati dal ritratto del protagonista e dalla forza coinvolgente della storia.
Godwin ricorda di aver concepito il progetto di un libro d’avventure sostenuto da un potente motivo d’interesse, e di aver seguito un metodo compositivo “inverso”, ideando dapprima il terzo volume, poi il secondo, e infine il primo. Partire dall’epilogo per arrivare all’incipit gli avrebbe consentito di costruire una trama incalzante e priva di smagliature, capace di catturare l’attenzione del lettore. Questo è il dato rilevante: Godwin concepisce prima l’effetto e poi la causa, dando al romanzo la coerenza strutturale (unity of design) tipica del novel, in cui l’autore ha una tesi da illustrare e considera superfluo tutto ciò che non è funzionale al procedere della trama o alla descrizione di una situazione o di un personaggio.
È questa eredità che verrà raccolta da Edgar Allan Poe, il quale allude più volte al metodo di composizione dello scrittore, sostenendo che la trama è una costruzione complessa che dev’essere determinata in tutte le sue componenti ancor prima d’iniziare a scrivere, e che nessun elemento del plot può essere alterato senza stravolgerne la struttura.
In particolare, secondo Poe il metodo “inverso” di Godwin riflette il modo di ragionare induttivo tipico del detective: partendo dalla causa si cerca di risalire agli effetti che l’hanno determinata. Ma mentre in Poe (e, più in generale, nei detective novelists) economia e coesione suscitano un piacere di tipo “enigmistico”, in Godwin esse hanno uno scopo ideologico, quello di meglio istruire. Però è lo stile incalzante di Caleb Williams a indurre a un passo svelto di lettura e a renderlo, più che un romanzo impegnato, un proto-romanzo poliziesco.
Per questo Caleb Williams può essere considerato un antecedente diretto del poliziesco alla Poe: innanzitutto per il metodo compositivo che richiede un piano, rispetta certe regole e sa in ogni momento dov’è diretto, e in secondo luogo per l’indagine psicologica che accompagna la unity of design, del tutto simile al metodo di Poe, secondo cui le azioni umane obbediscono a leggi e sono quindi prevedibili. Infine, per la materia narrativa basata su elementi di matrice poliziesca, quali l’omicidio, l’indagine, la scoperta del colpevole; e poi la calunnia, il furto, la prigione, l’evasione, l’inseguimento, il processo.
Da notare che, pur essendo sprovvisto di una formazione specifica, Caleb è dotato di una “inquisitive mind”: non trascura di trarre preziose informazioni da conversazioni e da libri. Con la mente sempre all’erta, dimostra quella particolare sensibilità per le concatenazioni di cause ed effetti che costituisce il marchio dell’investigatore. La sua passione per la logica si traduce anche nell’ossessione di “leggere” nell’animo umano: proprio alla lettura è riconducibile il lavoro che Falkland svolge insieme al segretario, il cui compito è scrivere sotto dettatura saggi letterari, spesso consistenti in “an analytical survey of the plans of different authors, and conjectural speculations upon hints they afforded, tending either to the detection of their errors or the carrying forward their discoveries”.
La terminologia di questo frammento – un’indagine analitica dei piani dei vari autori, e speculazioni congetturali a partire dagli indizi che esse offrono, le quali portano o alla scoperta di errori intrinseci al processo o a ulteriori scoperte –non potrebbe essere più allusiva: in pratica, è lo stesso Falkland a iniziare Caleb al metodo d’indagine che questi applicherà.
Alla formazione dell’apprendista detective, tuttavia, non concorrono soltanto le doti logiche, la capacità di osservazione e la curiosità, ma anche la conoscenza della letteratura criminale. La natura di queste letture è rivelata dal personaggio stesso: rifugiatosi a Londra per sfuggire alla prigione, Caleb sopravvive pubblicando racconti, ma invece di attingere a una vena personale, sfrutta “the resource of translation” e, grazie alla sua ottima memoria, riscrive i libri che ha letto, tra cui le storie di Cartouche e Guzmàn de Alfarache.
A ben vedere, la posizione di Caleb sta a metà fra il detective e il ladro: lo dimostra l’episodio in cui, per trovare conferma ai propri sospetti su Falkland, tenta di forzare il suo baule. Raccogliendo informazioni sul padrone, spiando ogni sua espressione, leggendo una lettera a lui indirizzata, compie un vero e proprio furto metaforico. Investigare appare dunque più un vizio che una missione: già conosciamo la scarsa simpatia che i delatori e i thief-takers esercitano sull’opinione pubblica dell’epoca; ad essa corrisponde la situazione ambigua dell’investigatore, la cui indagine mira alla distruzione di un gentiluomo che ha ucciso anche se in realtà è più grave il secondo crimine di Falkland, quello di lasciar condannare due innocenti al posto suo, per un eccessivo senso dell’onore.
Onore che è il fondamento di una società stratificata, dove l’aristocrazia fonda il suo potere sulla solidarietà di classe e sul continuo mantenimento di un equilibrio al suo interno. La perdita dell’onore avrebbe comportato per Falkland un destino di proscrizione dai suoi pari, analogo a quello che egli, per vendetta, decide di infliggere a Caleb.
Paolo Ferrucci
Nel 1814 la figlia di Godwin, Mary, ha 17 anni e un bambino da Percy Shelley che di anni ne ha 22. Il bambino muore dopo poco più di una settimana e nemmeno si era fatto a tempo a dargli un nome. Mary è fondamentalmente sola: certo il padre guadagna, è un uomo affermato a livello pubblico. Nel 1798 la politica si decideva scrivendo libri e il botta e risposta tra Malthus e Godwin era di quelli che succedono una volta ogni cento anni.
Però Mary è sola: dopo la morte nel 1801 della madre, la grande Mary Wollstonecraft, babbo Godwin si è risposato e la fanciulla non è nell’età per elaborare la cosa. Tanto più che la “matrigna” porta in casa due figli da un’unione precedente.
La nuova moglie di Godwin, dice Mary nelle lettere, “è una donna che mi fa rabbrividire se solo ci penso” e “ogni volta che la nomino mi sale su qualcosa di simile al disgusto”.
In queste condizioni mentali è un toccasana viaggiare sul continente, percorrere un’Europa devastata dalle guerre e stretta nella morsa di un clima più freddo che mai per una lontana esplosione di vulcano. Scenario fantasmagorico: se poi aggiungiamo che Mary si era scelta un poeta per compagno, e per giunta rivoluzionario, i conti tornano.
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La scena si fa ancora più deliziosa quando immaginate che la coppia nell’estate del 1816 decide di punto in bianco che ormai sono belli vecchi i generi letterari in voga, quelli dell’orrore tedesco e gotici dei monaci inglesi. Mary e Percy vogliono creare qualcosa di nuovo, affiancare la scienza, inseguire il progresso: si decide la sfida una sera in Svizzera insieme ad altri compagni di viaggio.
Il tema è inventare una storia di fantasmi. Detto così suona velleitario ma vennero fuori:
a) un frammento di Byron, La sepoltura;
b) la prima storia in assoluto di vampiri di là dalle tradizioni orali a opera del medico della brigata (Polidori, ne riparleremo);
c) un frammento di Shelley sui fantasmi inedito sino al 1862 e che iniziava con “Prese una palata delle ceneri di lui…”
d) Frankenstein.
Il Frankenstein quella sera non assomiglia a quello che vi hanno insegnato a scuola o col cinema in bianco e nero. Il Frankenstein di Mary è la proiezione paterna: una creatura talmente pura e specchiata da essere rifiutata dalla società. Come il padre che tentava di smuovere l’ordine sociale dell’Inghilterra scrivendo romanzi polizieschi, intrecciando polemiche con quell’austero economista politico che era Malthus e, in fondo, vivendo in modo libero: pensate che i cinque figli di Godwin erano tutti da unioni diverse.
Tanto basta per notare a che punto psicologico siamo arrivati: non serve scomodare Freud per capire i termini della faccenda. Sul punto sono state fornite delle ottime indicazioni da Fabio Camilletti che insegna a Warwick e ha curato nel 2018 la prima traduzione del Frankenstein nella stesura originale, prima che il testo venisse “oliato” con giri di frase iperletterari dal compagno di Mary, Shelley. Perché poi tutte le edizioni che sono venute in seguito hanno ignorato senza farlo apposta la stesura originale del 1816, con la prosa sconnessa di una diciannovenne che manco fosse Leopardi riesce a parlare di assoluti con tre parole indefinite: infelicità, disgrazia, empatia. Con questo bagaglio linguistico Mary dice l’esclusione dal mondo di un uomo intelligente.
E così abbiamo finalmente capito perché quando leggevamo Frankenstein trovavamo quella strana dedica “A William Goldwin, autore di Political Justice, Caleb Williams &c. l’autrice dedica rispettosamente questi volumi”.
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La versione del 1816 è pulita, è una mente di ragazza e, a detta degli esperti, è proprio quel che bisogna far leggere ai ragazzi: non una storia dell’orrore ma una vicenda semplice sulla discriminazione degli onesti scritta da una diciannovenne persa dietro un poeta di ventitré anni. A detta del curatore, “Mary ha una prosa anglosassone fino al midollo, è pragmatica e vaga, diretta e approssimativa. Calcola a occhio con perfezione geometrica la lunghezza dei capitoli e calibra con nonchalance i colpi di scena”. Insomma questa stesura originale vi ridarà l’infanzia in una forma che non potevate conoscere e troverete che per Mary Frankenstein era più che il buon selvaggio: era l’uomo istruito e perfezionato e per questo screditato dal mondo, additato come mostro.
Per gli esperti è questa la versione da insegnare. Accidenti, è un po’ come scoprire che Il giovane Holden non era agli inizi quello che pensavamo di conoscere perché l’aveva scritto un ragazzo e non un adulto: qualcosa di più elementare e congenito, insomma.
Meglio non perdersi. Non si è conservato il diario di Mary dell’estate del 1816 quando concepiva la storia del suo fantasma, però in compenso abbiamo le note del 1817 che valgono oro. Sono più che letteratura, è vita talmente bella da non aver bisogno di trucchi.
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Giovedì 10 aprile 1817
Correggo Frankenstein. Shelley legge l’Alcesti – un po’ di trambusto la sera.
Venerdì 11
Correggo Frankenstein. Shelley legge le poesie di Wordsworth a voce alta di sera.
Domenica 13
Correggo Frankenstein. Leggo Political Justice di babbo. Passeggio con Shelley e Peacock e vedo un gufo bianco – dopo il tè Shelley legge Spencer a voce alta.
Mercoledì 28 maggio
Sono malinconica quando leggo il terzo canto del Childe Harold di Byron. Ricordi, Shelley, quando me l’hai letto la prima volta? Una sera in Svizzera dopo essere tornati a Villa Diodati. (…) Magari rivedremo ancora Byron e godremo della sua compagnia, ma verrà anche un momento in cui ciò che è ora atteso sarà solo nella memoria – e alla fine verrà la morte e ogni cosa sarà sogno. Sono tanto melanconica, vero? Babbo è via e io terminerò il canto, benché tema che non migliorerà il mio umore.
Andrea Bianchi
*in copertina Incubo di Fuseli (1821)