03 Gennaio 2021

Uomini che si fecero lupi. “Il Wehrwolf” di Hermann Löns, un libro maledetto

Il Wehrwolf di Hermann Löns – pubblicato nel 1910, da subito un successo editoriale con 700 mila copie vendute, ora tornato nel convegno editoriale in una edizione De Piante per Terra Insubre – è un romanzo di fondazione, così si potrebbe definire il genere in cui si narra della presa di possesso di una terra e del popolo che vi riuscì. “In principio la landa era vuota e deserta. L’aquila di giorno pronunciava la sua grande parola, la notte era del gufo; orso e lupo erano i signori della terra e regnavano su ogni animale” scrive icastico Löns nell’incipit della sua genesi, poi arrivarono gli uomini a dissodare, coltivare, rendere abitabile il luogo.

Di pochi anni successivo, anche il Risveglio della terra di Knut Hamsun, che valse allo scrittore norvegese il Nobel nel 1920, similmente racconta l’epica di un uomo che sottrae alla natura una particola ai limiti del mondo e la recinta fino a farne, stagione dopo stagione, un nuovo paradiso in cui poi i suoi figli cresceranno e i figli dei figli ancora. C’è una iniziale analogia tra i due libri, scritti in un contesto nordico non tanto diverso, da due scrittori che pagarono il loro conservatorismo. Solo che Isak, il prototipo di Hamsun, è costretto a battersi contro le avversità della natura, dapprima solitario agli estremi della tundra, in lotta contro le proprie debolezze, l’universo sopra con i suoi ritmi disinteressato alle vicende umane, la neve e la pioggia che cadono, la tempesta, poi il sole che torna e il vento. Isak è un Adamo: il primo uomo scacciato dall’Eden con fatica e pena lotta contro gli elementi della natura a cui, però, non è ancora del tutto estraneo. Wulf, il capostipite di Löns, al contrario, deve difendere la propria casa da altri uomini: lui è un Abele in tempi di Caino, la natura fa da sfondo alla saga, ma solo pochi uomini sono ancora radicati in essa.

Dunque, la fondazione. Löns, al pari di Hamsun, costruisce la propria landa immaginandone i confini, ma è diversa, per esempio, dalla contea di Faulkner, l’assolata e pur umida Yoknapatawapha, dove gli uomini si muovono assecondando desideri e passioni. Immersi nell’acquitrino, i contadini di Löns rispondono invece a primordiali forze, su loro grava un destino atavico e quando essi amano, soffrono, gioiscono non ci sono margini per analisi sociologiche, o per falsi psicologismi. Al massimo li muove un qualche istinto. Essi sono tetragoni nel loro stare al mondo. E per questo possono essere definiti eroi: si contrappongono a forze insensate e superiori, dei che regolano il corso dei fiumi e delle stagioni, che danno la vita e la morte a caso o per cause che non è dato conoscere. La landa è una scacchiera dove dio gioca una partita che alle pedine, ai pedoni, ai fanti e ai cavalieri non è dato sapere, e neppure conoscere chi li muove e li urge, chi li strattona e li fa capitolare.

Soprannominato il poeta della landa di Lüneburg, Hermann Löns, uno dei massimi esponenti del tardo romanticismo tedesco, nacque nel 1866 a Kulm, nella Prussia occidentale, oggi Polonia, da famiglia originaria della Bassa Sassonia. Costretto fin da giovane a cambiare spesso città a causa del lavoro del padre, professore di liceo, dapprima si dimostra uno studente modello, ma in seguito non finisce gli studi di medicina, inventandosi giornalista e dedicandosi alla letteratura e alla poesia. Entomologo di passione, fu una sorta di proto ecologista in lotta per la salvaguardia dei luoghi selvaggi della Germania, ed è considerato uno degli ispiratori dei Wandervögel, il movimento di giovani tedeschi, hippy ante litteram, dediti al vagabondaggio naturista. Il concetto che propose di “heimatschutz” (difesa della casa e della terra) fu ripreso, a partire dagli anni Trenta del Novecento, dal regime nazista che ne travisò il fondamento etico. Per questo motivo, nel Dopoguerra cadde una ingiusta damnatio memoriae sulla sua produzione e nello specifico sul Wehrwolf. Nel frattempo però Löns era già morto da almeno tre decenni. Nonostante si avvicinasse ai cinquant’anni, aveva voluto partecipare volontario alla prima Guerra mondiale, non come corrispondente di un giornale bensì da semplice soldato. In una delle prime e più aspre battaglie, il 26 settembre 1914 a Reims, durante un assalto un proiettile francese gli aveva centrato il cuore.

Torniamo alla landa che è lo sfondo dove avvengono i fatti, ma senza sfondo non esisterebbero fatti in quanto il fondale assorbe i personaggi che sono quasi indistinti; non fosse per Wulf, essi non hanno tratti, non hanno caratteri, non hanno peculiarità, al massimo hanno nomi: Harm, Ul, Hors, Bock, Bolle, Otte, Katz, Duw, Specht, Petz che sono appena sillabe sputate.

Questa è la regola dell’epos; protagonista è il popolo, cioè lo sfondo dove si fondono i caratteri diventa l’assoluto primo attore, e da questo fondale si staglia talvolta un uomo prima di essere di nuovo riassorbito: gli eroi sono infatti negazioni momentanee e fugaci del tutto, ma non si ergono per vanità, semmai sono spinti ad emergere perché le condizioni o i tempi lo richiedono.

Il fondale è anche la storia e se non fosse letteralmente “una cronaca contadina” della guerra, quella di Löns sarebbe di certo un idillio: la natura esuberante, provocante, il lupo, la lince, l’orso, lo scoiattolo, e i cavalli, gli armenti, e poi innumerevoli uccelli, gru, corvi, gazze, allodole, ghiandaie, picchi fanno da coro agli eventi; e poi gli alberi, gli ontani, i ginepri, il sambuco giallo, i narcisi, la moltitudine di fiori; e sopra un cielo denso. Il coro sovrasta il solista. La natura non è quindi residuale, semmai è indifferente agli eventi pur tragici che si succedono. La natura è il substrato che genera gli uomini e più ancora il popolo, esso ha radici nel nomos della terra: nel 1942 sul fronte russo Ernst Jünger lo annota nei suoi diari, rileggendo il libro di Löns che ha sapore di antica saga e il taglio grossolano delle xilografie. Questi uomini sono tagliati appunto dalle zolle e non solo rispettano il diritto naturale, il diritto degli uomini in quanto uomini, bensì possono discernere il bene e il male dell’universo perché figli della terra dove presto torneranno. C’è stato infatti un tempo in cui uomini e animali partecipavano dello stesso tutto, adesso invece gli uomini sono stranieri sulla terra e gli animali comprendono questa nostra estraneità.

Hermann Löns (1866-1914)

Chi sono dunque i wehrwölfe? La storia racconta della guerra dei Trent’anni che, tra il 1618 e il 1648, sconvolse l’Europa centrale e soprattutto la Germania, devastandone i territori; mentre si va sgretolando il Sacro Romano Impero, gli Stati cattolici e quelli protestanti si scontrano in un conflitto, da principio, religioso, poi egemonico che mette a ferro e fuoco il continente; gli eserciti papisti e antipapisti, fedeli all’Imperatore e contrari, svedesi e danesi, francesi e spagnoli, soprattutto le milizie mercenarie, italiane e croate, flagellano le terre che incontrano, le saccheggiano, compiono atti feroci, uccisioni di massa, nessuna pietà neppure per donne e bambini. Alla fine, dopo tre decenni, solo in Germania si contano milioni di morti, uccisi prima dalle armi poi dalle carestie e infine dalle epidemie di peste. Ma in questo ampio contesto storico, il libro racconta in dettaglio di alcuni contadini della Landa di Lüneburg, più precisamente del Wietzenbruch poco lontano dalla città di Celle, che si fecero lupi per difendere la propria terra dalla devastazione. Da qui il termine che unisce la radice del verbo sich vehren (difendersi) con il sostantivo Wolf, lupo. Tutt’altra cosa, è bene ricordarlo, sia dai werwölfe delle leggende, gli uomini lupo, licantropi bestiali e feroci, sia dai werwölfe reparti speciali delle SS costituiti negli ultimi mesi della tregenda che fu la Seconda guerra mondiale.

I contadini di Löns sono lupi per necessità, prima per difendersi poi per attaccare quando non sarà più sufficiente la difesa e i loro parenti e amici verranno trucidati. Diventano lupi, sotto la guida del burgravio Wulf che ha perso la moglie e i figli, lasciano i campi, abbandonano le fattorie bruciate, smettono di arare e seminare, e si nascondono nella parte più remota della brughiera, l’acquitrino, fortificando un accampamento, così da essere protetti dalle scorribande. Istituiscono un esercito di lupi per assaltare i battaglioni che si inoltrano in quella parte oscura della landa e giustiziare con l’impiccagione gli assassini. Essi sanno ancora cosa sia il bene. Lo discernono. Poi il compito di giustiziare diventa un monotono lavoro di macelleria che compiono quotidianamente, provando orrore per la loro ferocia, ma senza mai perdere fino in fondo l’umanità che li contraddistingue. Essi sono benedetti dal loro prete perché “Chi sparge sangue altrui, a sua volta vedrà spargere il proprio sangue. Ma questo non vale per noi; chi assale il fratello alle spalle è come un lupo, e il suo sangue non macchia chi lo elimina. Le nostre mani sono pulite davanti al Signore”; e resiste in loro quel senso di diritto che proviene dalla terra. Essi sanno ancora ridere e sorridere, talvolta qualcuno fischietta perfino il Brummelbeerlied che è una vecchia canzone d’amore.

Angelo Crespi

*Hermann Löns, “Il Wehrwolf. Cronaca contadina della guerra dei Trent’anni”, De Piante Editore per Associazione culturale Terra Insubre, 2020; info: segreteria@terrainsubre.org

**In copertina: Johann Christof Merck, Lupo, 1712

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