15 Ottobre 2017

Vogliamo una poesia sulle prime pagine dei giornali

Mi scrivo con una giornalista che ora è a Ushuaia. A leggere l’Enciclopedia Britannica Ushuaia, masso perduto nella Terra del Fuoco, è la città più a Sud del mondo. Di fronte c’è un’isola che pare il bastione di Mordor. Oltre c’è un pezzo di oceano. Poi c’è l’Antartide, quella bianca previsione d’innocenza. Il primo ad abitare a Ushuaia, verso la fine dell’Ottocento, fu un missionario inglese. Cosa abbia visto lui è roba degna di un romanzo di Joseph Conrad. Nel 1884 ci mettono piede gli argentini. Che si dividono quel pezzo gelido di terra con i cileni. La giornalista si chiama Maria Soledad ed è di Buenos Aires. Le ho chiesto di scrivermi un reportage da Ushuaia. Ora è imbarcata su una nave della marina argentina. Mi ha inviato delle foto che ispirano al nitore, alla pulizia, che benedicono l’assenza. Acqua, pietra, cielo. Non c’è altro. In una mail la giornalista mi scrive. “Si può vivere senza politica, non si può vivere senza poesia”. Da questo lato del mondo, leggo Rainer Maria Rilke a un gruppo di studenti. Gli studenti capiscono poco. Capiscono che non importa capire. Trasecolano dallo stupore. Sono – letteralmente – trafitti. “Un dio può. Ma come, dimmi, come può/ un uomo seguirlo con la sua lira inadeguata?/ Il suo senso è la scissione”. Canto terzo dei Sonetti a Orfeo, venuti a Rilke nei primi mesi del 1922, in un momento di definitiva estasi. Gli studenti non capiscono ma capiscono una cosa fondamentale. Che è bello abitare quelle parole. Che quelle parole sono superiori a tutto ciò che hanno udito prima d’ora. Che sono altro dal solito, che quelle parole, finalmente, ti portano altrove. Tanto basta. La parola poetica ha il dono di sistemare le cose. Immediatamente, al suo cospetto, le cose necessarie risaltano, le altre restano sullo sfondo, sfuocate, sfondate. L’Italia, che ha fondato la poesia europea con Petrarca e che ha dato vita al poema più folgorante dell’umanità, grazie a Dante, snobba i suoi poeti. Li relega nell’indifferenza. Il poeta è uno sfigato, inutile alle sorti progressive del Paese. Alla peggio, la poesia va bene come attività ricreativa per sfogare le frustrazioni quotidiane di almeno metà dei cittadini. I poeti non scrivono sulle prime pagine dei quotidiani; le loro poesie non ci abbagliano nel tiggì della sera. Come mai? I poeti non sono nelle trasmissioni di prima serata. Perché? Perché la parola poetica crea sobbalzi, induce alla rivolta. La parola poetica, per sua natura, rompe le norme della grammatica, fugge dal carcere del vocabolario, ci precipita al di là delle convenzioni, degli slogan soporiferi, delle polemiche pestilenziali, del quieto vivere. La parola poetica ci deterge di enigmi, ci tartassa, non ci dà pace, ci costringe alla ribellione. Ustiona. Per questo non la vuole nessuno. Pensate se al posto del solito editoriale del solito strapagato trombone sulle colonne del Corriere della Sera ci fosse una poesia. La poesia di un autore vivente sul ‘tema del giorno’. Il poeta, se è un vero poeta, con la micidiale capacità di sintesi che ha, con la sua brama di assoluto – il poeta è un cecchino delle emozioni, mira subito al cuore delle cose – ci farebbe storcere lo sguardo, ci bloccherebbe a mezza gola il caffè, manderebbe all’aria il poltronificio dei giornalisti di mezza Italia, sbalordirebbe i piani della politica italidiota. Tutti gli occhi sarebbero per lui. Il poeta. Lo scemo, l’idiota, l’inutile, il poveraccio, quello che non sa nemmeno dirti da dove gli vengano le parole. Nel mondo anglofono esiste il ‘Poet Laureate’, il poeta ‘laureato’. Da noi i poeti non entrano nemmeno nelle università. Dare una carica ‘sociale’ al poeta non significa renderlo un arlecchino del potere. Al contrario, è il residuo di un pensiero sano. Il ‘potere’ sa che solo la parola del poeta può vincerlo. Perché è una parola che parla ai morti e si proietta verso chi nascerà tra diecimila anni: è una parola che viene dai remoti per essere incisa ai futuri. Per questo il potere, quando si installa, si preoccupa di sterminare i poeti. In Italia i poeti, silenti per natura, sotto i ponti, nei sottoscala, umili come il muschio luminosi come il cristallo, ci sono. Sono rari. Ma ci sono. Vogliamo i poeti in prima pagina. Vogliamo una poesia ad aprire il telegiornale della sera. Tutte le cose, così, senza alcuna spiegazione, occuperanno il posto a loro assegnato.

 

Davide Brullo

Gruppo MAGOG