22 Aprile 2020

“Togliamoci le mascherine di sicurezza, ogni sicurezza mascherata, e lasciamoci almeno infettare dal contagio di una domanda di disperata speranza”. Il virus tra sepolcro e camera chiusa. L’editoriale di Andrea Ponso

A cosa si è ridotta la nostra esistenza forse proprio in questi giorni lo possiamo vedere, ma in una modalità del vedere che non è l’immagine chiara che abbiamo davanti agli occhi ma, piuttosto, tutto ciò che le sta intorno come sfuocato e indistinto: crediamo di essere l’immagine chiara, mentre siamo più prossimi ai suoi contorni sfuocati che, appunto, si indistingono in noi. Dunque, se volessimo dirlo in modo dualistico, perché è comunque questa la condizione in cui siamo immersi, da una parte la difesa del biologico ad oltranza – difesa che si fa presa e gestione tecnicopolitica, accettata ciecamente o imposta più o meno forzosamente –  e dall’altra una generica e generalizzante astrazione di dati su dati, in cui, come già aveva riconosciuto Ivan Illich, è proprio la singolarità incarnata e concreta della vita umana, in tutte le sue forme, a trasformarsi in mero simulacro – disincarnandosi nelle curve di previsione statistica dei ricoveri, dei contagi e delle ricerche o proposte medico-scientifiche.

Potremmo dire di essere sospesi e divisi tra la chiusura nel sepolcro del mero corpo biologico di Cristo e l’altra chiusura, colma di paura e spaesamento, dei discepoli in quel luogo in cui il Risorto entrerà e non verrà subito riconosciuto nella sua pienezza di corpo e spirito, nella sua incontenibile e inarginabile possibilità di vita che, si badi, non nega la morte, poiché i segni sono tutti nel corpo risorto, ma la include senza lasciarsi includere e con-cludere in essa. Tra queste due ‘stanze’, il sepolcro e il luogo in cui sono riuniti i discepoli, non meno sepolcrale quest’ultima, si estende la zona grigia in cui noi viviamo oggi la nostra condizione di uomini.

Cosa c’è in questa zona grigia? Cosa rimane di noi, preservato o privato? Chi veramente l’attraversa senza fermarsi in un punto o nell’altro, la tecnologia? La politica? Il sacro? Siamo una comunità che scopre di essere tale nella distanziazione sociale e nell’emergenza sanitaria o, piuttosto, è ora che ci rendiamo conto di non essere mai stati davvero una comunità se non nelle rappresentazioni forniteci dalla retorica politica e popolare? Cosa ci impedisce di passare, senza dividerli e senza sostare in essi, dal sepolcro a quella stanza dove sono riuniti i discepoli? Sono solo domande, volutamente solo domande – di contro ad ogni presunta forza di sicurezza, di fronte a qualunque protocollo operativo, di fronte a qualunque grafico delle probabilità, di fronte a qualunque triage medico, di fronte a qualunque impossibile autocertificazione. Togliamoci le mascherine di sicurezza, ogni sicurezza mascherata, e lasciamoci almeno infettare dal contagio di una domanda di disperata speranza.

Andrea Ponso

Gruppo MAGOG